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 2013  gennaio 15 Martedì calendario

SPIK INGLISH


“Ay dont spik inglish” . Nessuno straniero scriverebbe una frase del genere, a scuola (a meno di non voler prendere un votaccio), sul lavoro, forse nemmeno su una cartolina. Ma tutti, leggendola, la capirebbero. Si usa dire che la principale difficoltà nell’apprendere l’inglese è la pronuncia, eppure non è del tutto vero: la difficoltà principale è la differenza tra il modo in cui una parola è scritta e quello in cui viene pronunciata. Ora qualcuno ha finalmente escogitato un rimedio: anziché sforzarsi di capire come deve essere pronunciata una parola, basta scriverla come va pronunciata. Semplice come l’uovo di Colombo. “Cat” (gatto) diventa “
kat”,
e fin qui il cambiamento è minimo. “
Queen”
(regina) si riscrive “
kwiin”,
ed è già ben diverso. “
Exchange”
(cambio, scambio) si trasforma in “
ikstsheynj”,
e sembra uno scioglilingua in turcomanno: provate a leggerlo ad alta voce, però, e dalla bocca vi uscirà un perfetto “
exchange”,
come lo dicono gli inglesi di madre lingua (o quasi). L’idea di questa piccola rivoluzione fonetica è venuta a un ex-banchiere della Goldman Sachs di origine siriana, Jaber Jabbour, che oggi ha la sua società di investimenti e viaggia spesso in giro per il mondo. Così si è reso conto di come la lingua scritta e la lingua parlata, in certi idiomi, siano molto più simili che in inglese, ricordandosi quanta fatica ha fatto lui stesso per impararlo soprattutto per questa ragione. E una notte, in aereo, gli si è accesa la proverbiale lampadina in testa: perché non riscrivere l’inglese in modo da farlo diventare molto simile, se non proprio uguale, alla sua forma orale? Il risultato si chiama Saypu, acronimo di
Say as You Pronounce Universal alphabet
(Alfabeto universale per dirlo come lo pronunci), dotato di un sito che permette di “tradurre” qualunque frase in questo inglese scritto foneticamente più comprensibile (e di fare lo stesso anche con altre lingue). Inglese maccheronico, lo chiameremmo noi, e in effetti mister Jabbour ha semplificato a più non posso. Per cominciare ha eliminato dal nuovo alfabeto tre lettere che gli sembravano inutili, la C, la Q e la X, che potevano essere sostituite con maggiore precisione fonetica dalla S, dalla K e dall’accoppiata GZ. Per creare il suono “
ch”,
ad esempio, lui scrive “
tsh”.
Poi ha pensato che gli serviva una lettera in più per rendere il suono delle vocali in determinate parole, e a tale scopo ha preso una “e” rovesciata, la ɘ.
A questo punto, collegandosi al sito
saypu. com
e premendo un tasto del computer, si può tradurre qualsiasi parola e frase dall’inglese scritto tradizionale, quello di Shakespeare,
della
Bbc
e della regina per intendersi. Il
Times
di Londra, un altro arbitro dell’inglese corretto, ha fatto una prova e ne ha pubblicati i risultati sul giornale di ieri, con effetti a dire il vero un po’ comici: “
tɘ bii or naat tɘ bii:that iz thɘ kwestshɘn”
sarebbe “
to be or not to be: that is the question”
(essere o non essere: questo è il problema), la celebra battuta dell’Amleto. E se poi dalla letteratura si passa alla vita di tutti i giorni, insiste il giornale, si rischia di farsi venire il mal di pancia: “Ay w ɘd layɘ k kaapii ɘv Thɘ Taymz, pliiz”,
traduzione di “
I would like a copy of the Times, please”
(Vorrei una copia del
Times,
per favore).
Avrà successo la singolare iniziativa? “
Seemz unlyklee”,
ironizza un editoriale del quotidiano londinese, ovvero “
seems unlikely”
(sembra improbabile), e avrà certamente ragione. Ma per tutti noi che non siamo di lingua madre inglese, e abbiamo sofferto sui banchi di scuola o in vacanza per farci capire nel meraviglioso
ma impronunciabile idioma degli anglosassoni, il Saypu sembra meno folle e decisamente più comprensibile. «Perfino Shakespeare diventa più accessibile nella mia versione », commenta mister Jabbour, «sono in Inghilterra da dieci anni e ancora non so pronunciare correttamente
thy
(tuo, nell’inglese poetico del passato,
ndr),
sarebbe molto più facile se lo si scrivesse
thay
».
Waat du yuu think?
(Che ne pensate?)