Nello Scavo, Avvenire 17/1/2013, 17 gennaio 2013
AFFARI DI COSCHE, VINCE IL NORDOVEST
Per la ’ndrangheta l’espansione nel Nord Italia non è solo una questione strategica. Senza le infiltrazioni nelle regioni più ricche i boss venuti dall’Aspromonte tornerebbero all’età dell’abigatto. «A differenza delle altre organizzazioni, che ricavano una parte consistente dei propri ricavi nella regione di origine, i ricavi della ’ndrangheta provengono dalla Calabria per il 23%, dal Piemonte per il 21%, dalla Lombardia (16%), Emilia- Romagna (8%), Lazio (7,7%) e Liguria (5,7%)». Il dato è contenuto nello studio commissionato dal ministero dell’Interno al Centro interuniversitario Transcrime su "Gli investimenti dalle mafie".
I ricercatori, guidati dal professor Ernesto Savona, hanno calcolato per la prima volta su dati certi e non su stime l’Indice di penetrazione mafiosa nel territorio italiani. Oltre a confermare il forte controllo criminale nelle aree d’origine dei clan, è emerso come a livello regionale, Lazio, Liguria, Piemonte, Basilicata e Lombardia facciano registrare una marcata presenza di organizzazioni criminali. A livello provinciale, Roma si colloca in 13ma posizione, Imperia al posto numero 16, seguita da Genova, e poi Torino al 20esimo e Milano al 26simo.
«Dopo aver definito quali organizzazioni criminali operano e dove, il secondo obiettivo – spiegano da Transcrime, il centro promosso dall’Università Cattolica e da quella di Trento – è stato quello di stimarne i livelli di ricchezza per capire quale fosse il potenziale economico di investimento nell’economia legale». Le droghe generano i maggiori ricavi, in media 7,7 miliardi, estorsioni (4,7), sfruttamento sessuale (4,6) e contraffazione (4,5).
I risultati hanno rivelato che i ricavi annuali delle mafie variano tra un minimo 8,3 e un massimo di 13 miliardi. In media, le estorsioni forniscono il 45% del fatturato, seguite dalle droghe (23%), usura (10%), contraffazione e sfruttamento sessuale (8% ciascuna). A livello nazionale, Camorra e ’ndrangheta conseguono quasi il 70% dei ricavi delle organizzazioni mafiose, mentre Cosa Nostra non arriva al 18% dei ricavi. Tra il 1983 e il 2011 il patrimonio confiscato alle organizzazioni criminali mafiose è pari a 19.987 beni (immobili, mobili e aziende). In termini numerici, la quota più rilevante degli investimenti è stata destinata all’acquisto di immobili (52,3% sul totale dei beni confiscati). Seguono i mobili registrati (20,6%), altri beni mobili (18,4%) e aziende e titoli societari (8,7%).
Tra i beni immobili su cui le organizzazioni mafiose hanno investito spiccano le abitazioni (42,4%) seguite dai terreni (25,6%). Da alcuni anni, però, i boss si sono fatti anche imprenditori. «L’investimento delle organizzazioni mafiose in aziende risponde – ha spiegato Ernesto Savona – ad una pluralità di motivi: la massimizzazione del profitto economico, l’esigenza di riciclare o occultare le attività criminali, il controllo del territorio, il consenso sociale e altre ragioni di ordine culturale e personale». Le società a responsabilità limitata sono quelle di gran lunga preferite (46,6%), seguite a distanza dalle imprese individuali (25,8%), dalle società in accomandita semplice (14,5%) e dalle società in nome collettivo (8,8%). Al contrario le società per azioni sono presenti in misura ridotta (2%).
Più si conoscono le «fenomenologie » dei sistemi mafiosi e dei loro investimenti «meglio si possono aggredire e debellare», ha commentato il vicecapo della Polizia, Alessandro Marangoni, intervenuto alla presentazione dello studio. Marangoni ha definito la ricerca come uno «strumento importante» in quanto «su base scientifica si ha per la prima volta un quadro definito» degli investimenti delle mafie e «deducibile dai dati reali».
E se Milano è oggi la terza città italiana, alle spalle di Palermo e di Napoli, per numero di aziende sequestrate dalla polizia per attività legate alla mafia, «in alcune zone del Nord stiamo vedendo joint venture – spiegano gli analisti – tra la ’ndrangheta e la camorra». Aprendo a scenari criminali inediti.