Maurizio Molinari, La Stampa 17/1/2013, 17 gennaio 2013
L’IMPRENDIBILE MOKTHAR VUOLE UN AFGHANISTAN NEL DESERTO DEL SAHARA
A firmare l’assalto al campo petrolifero algerino di Ain Amenas è Mokthar Belmoktar, il leader salafita denominato «l’imprendibile» dai servizi segreti francesi, più volte erroneamente dichiarato morto, le cui gesta terroriste hanno accompagnato dal 1993 il progressivo insediamento jihadista nella regione del Sahel.
Belmokhtar nasce nel 1972 a Ghardaia nell’Algeria centrale, è durante il liceo che si innamora della Jihad ed a 19 anni parte per l’Afghanistan, dove si addestra nei campi di Al Qaeda a Jalalabad. È qui che matura la convinzione di appartenere a una rivoluzione globale e quando nel 1992 torna in Algeria arruola volontari con i quali, dopo il golpe militare che annulla la vittoria elettorale del Fronte di salvezza islamico, torna nella natia Ghardaia per formare il Battaglione dei Martiri la cui area di operazioni dal 1993 è il Sahara. Gli islamici del Gia si convincono che è il comandante più adatto ad aprire il fronte Sud contro l’esercito algerino e ciò lo trasforma nel titolare della «nona zona di operazioni» dei Gruppi islamici. È la prima volta che i salafiti operano stabilmente nel Sahara e quando dal Gia si formano i Gruppi per la predicazione e il combattimento è lui a guidarli nella penetrazione verso il Sahel.
La tattica che adopera è allearsi con gruppi autonomisti locali - come il movimento per la liberazione dell’Azawad nel nord del Mali - e rapire stranieri per accumulare denaro con cui armarsi e pagare i militanti. Nel 2007 i salafiti cambiano ancora denominazione, diventando Al Qaeda nel Maghreb islamico e lui consolida la zona di operazioni nel Sahel aumentando gli attacchi in Mauritania e Niger.
Più volte dichiarato morto e resuscitato, crea gruppi jihadisti sempre più violenti: dai Firmatari con il sangue alla Brigata Mascherata che ha messo a segno il blitz nel campo petrolifero con la cattura di 41 ostaggi inclusi 7 americani.
«Mokhtar Belmoktar è un capo terrorista sanguinario - spiega Jonathan Schanzer, l’arabista autore di “Al Qaeda Army” nel quale descrive le trasformazioni della galassia jihadista - che ha scelto come campo di operazioni in Sahel, sfruttando la manodopera dei gruppi salafiti maghrebini e l’esistenza di ampie zone del Sahara che sfuggono al controllo degli Stati». Capace di sopravvivere fra dune, con o senza il sostegno dei Tuareg, rafforzato dai jihadisti arrivati dalla Libia dopo la caduta del regime di Gheddafi e convinto di essere lui l’unico e invincibile Emiro del Sahara, Belmoktar «ha attaccato ora in Algeria perché vuole sfruttare a proprio favore l’intervento francese in Mali», spiega Schanzer.
Dall’indomani della perdita dei campi in Afghanistan, la strategia degli «eserciti di Al Qaeda» è stata sempre di attirare l’Occidente in un nuovo conflitto al fine di tenere aperto il fronte di guerra e l’intervento francese in Mali «ha creato tale scenario nel quale Belmoktar tenta di inserirsi con gesta spettacolari, puntando ad allargare all’intero Sahel il campo di battaglia, attirando più nemici possibile».