Enrico Sisti, la Repubblica 17/1/2013, 17 gennaio 2013
IL TRIONFO DELLA BUNDESLIGA STADI, GIOCO E BILANCI AL TOP
L’arrivo di Pep ufficializza il definitivo salto di qualità della Bundesliga. Ora lo possiamo chiamare, senza paura, “das Meisterschaft”, il campionato. Il migliore, da qualche tempo anche per il bel gioco offensivo, il più virtuoso, perché i bilanci dei club tendono al positivo (ben il 57% delle società professionistiche non sono in rosso, altrove si resta al di sotto del 39%, e il 52% di questi gruppi possono vantare profitti rilevanti, più del 20% negli ultimi due anni ha incrementato il proprio fatturato del 15%), il più democratico perché gli stipendi sono a norma, il più promettente perché la Germania ha già superato l’Italia nel numero di
squadre qualificate per la Champions. La prossima casa agonistica di Guardiola è un universo modello che non supera la Premier per volume complessivo di affari ma forse neppure vuole: 3 mld di euro contro 2,5 mld. Sono vietate le follie per acquisti e ingaggi, i settori giovanili sono funzionanti, la cultura sportiva multietnica è un dato di fatto da anni, gli stadi sono sempre pieni: fra i sei stadi più affollati d’Europa (e quindi del mondo) il primo è il Westfalenstadion di Dortmund, 80.577 spettatori di media per una capienza di 80.645, il che vuol dire che viene sfruttato per il 99,9% delle sue possibilità. Dopo
Camp Nou, Old Trafford e Bernabeu, 5° è l’Allianz Arena di Monaco e 6° il Veltins-Arena di Gelsenkirchen dove gioca lo Schalke 04. È qui che ancora si percepisce, diffuso e contagioso, il fascino discreto del calcio, quasi una sensazione di antico, soprattutto se il riferimento base restano i più blasonati, sbandierati
ma finanziariamente critici Premier e Liga. La Bundesliga, cui sta cercando di somigliare la Ligue 1 francese, emana un fascino sottile ma travolgente che si può riassumere nell’exploit del Borussia Dortmund di Jürgen Klopp, il Kusturica del pallone, la guida spirituale e fisica di una banda d’orchestrali provenienti da ogni angolo d’Europa e che si perfeziona nella lungimiranza dei dirigenti del Bayern, con la sua rosa ricca di scuole, tanto variegata quanto cementata, inclusi il nero austriaco Alaba, il fratello di Kevin Prince Boateng, Jérome, di nazionalità tedesca però, il bahiano Dante e il
«napoletano» Contento. Il tutto arricchito dai fenomeni “normali”, da Schweinsteiger, Müller, Gomez, Kroos, quelli della Germania di Löw. Così viene da domandarsi: ma come gli è potuta sfuggire la Champions dello scorso anno? Se Guardiola ha scelto Monaco di Baviera disdegnando i soldi arabi e russi, se ha scelto la Bundesliga che domani con l’anticipo Schakle-Hannover riparte dopo la pausa invernale, non ci deve essere per forza un motivo. Non uno solo. Se la calamita del nuovo mascherato da tradizione ha funzionato anche su Pep vuol dire che la Germania è il paese perfetto per continuare a sperimentare e a stupire. E forse lo si può anche fare con meno pressioni che altrove. Se non altro Mourinho sarà troppo lontano per farsi coinvolgere in dispute d’altri tempi...