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 2013  gennaio 16 Mercoledì calendario

PAURA DEL CRAC, I TEDESCHI RIPORTANO A CASA L’ORO

[Pronto il piano di rimpatrio da Usa, Francia e Inghilterra. Le riserve auree possono servire da garanzia per tornare al marco] –
Angela Merkel vuole riavere nei suoi cassetti l’argenteria di famiglia che finora, per oltre mezzo secolo, era stata custodita in casa di amici. Solo una questione di gestione contabile, oppure un problema di fiducia? La risposta dovrebbe giungere oggi a Francoforte da una conferenza stampa convocata dalla Bundesbank. La banca centrale tedesca, che negli ultimi tempi si è specializzata nel lancio di siluri contro il timone comunitario di Mario Draghi, illustrerà un piano per riportare gradualmente in Germania le riserve auree.
Anticipazioni attendibili trapelate ieri nella metropoli sul Meno lasciano intendere che il progetto della Bundesbank prevede il trasferimento fisico dei lingotti dall’estero nei forzieri domestici. Una garanzia in più contro le incertezze economiche evidenziate anche ieri dagli ultimi dati sul Pil tedesco in curva recessiva, con un calo dello 0,5 per cento nell’ultimo trimestre del 2012. E le stime di crescita per il 2013 sono state dimezzate allo 0,5 per cento su scala annua.
Tre mesi fa, dopo il semaforo verde della Corte costituzionale di Karlsruhe che spianava la strada all’onerosa partecipazione tedesca al Fondo salva-Stati (Ems), la Bundesbank aveva squadernato in pubblico, per la prima volta, cifre dettagliate sui depositi all’estero delle sue riserve auree.

A FORT KNOX
Si è appreso così che la fetta più consistente (1.536 tonnellate pari al 45 per cento) si trova negli Stati Uniti, nella gigantesca cassaforte della Federal Reserve a Fort Knox nello Stato del Kentucky. Un altro quantitativo di 450 tonnellate (13 per cento) è conservato nel Regno Unito presso la Bank of England. Lo stoccaggio di 374 tonnellate (11 per cento) è stato affidato alla Banque de France a Parigi. Le restanti 1.036 tonnellate (31 per cento) sono vigilate direttamente dalla Bundesbank sul territorio nazionale, in località segrete tra il Mare del Nord e le Alpi bavaresi. Il controvalore attuale di questa massa aurea supera i 150 miliardi di euro.
La dislocazione all’estero delle riserve auree fu una scelta politica. Dopo il crollo del Terzo Reich, il timore di un’invasione della Germania occidentale da parte dell’Armata Rossa indusse i governanti tedeschi dell’epoca a sistemare oltre la linea strategica del Reno non solo la sede dell’esecutivo (fu decisa Bonn come capitale della Repubblica Federale), ma anche altri importanti gangli civili e militari del paese. Tuttavia la sede centrale della Bundesbank fu delocalizzata per compensare la regione dell’Assia della mancata scelta di Francoforte come capitale. In cambio, il primo cancelliere Konrad Adenauer accettò il consiglio tutt’altro che disinteressato delle tre potenze occidentali vincitrici della guerra contro Hitler, di mettere in sicurezza nelle loro banche centrali i lingotti della nuova Germania democratica e atlantica.
Fonti di stampa riferivano ieri sera che il prosciugamento dei depositi esteri dovrebbe essere graduale per quanto riguarda il deflusso dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. Invece, nel caso della Francia, il ritiro dovrebbe essere immediato e totale. Con buona pace del Trattato di amicizia franco-tedesca, il cui cinquantennale viene festeggiato solennemente quest’anno da Angela Merkel e Francois Hollande.
Un retroscena imbarazzante per i partner americani, inglesi e francesi è l’allarme sulla composizione fisica e l’autenticità delle riserve auree di Berlino all’estero lanciato alla Kanzlerin nell’ultima relazione dalla Corte dei conti tedesca.
Nella gente, già turbata dalle tempeste sull’euro, si è insinuato il sospetto di una qualche possibile manomissione del salvadanaio nazionale per l’emergenza. La Bundesbank si è sentita spiazzata e ha assicurato che «non vi sono dubbi sull’integrità, la reputazione e la sicurezza » dei custodi stranieri. Ma ha pure sottolineato che il controllo oltrefrontiera auspicato dalla Corte dei conti «non corrisponde alle usanze tra Banche centrali».

EUROSCETTICI
Su questo sfondo si spiega il clamore suscitato dal movimento «Rimpatriamo il nostro oro». L’animatore è il deputato euroscettico Frank Schaeffler, appartenente all’Fdp alleato dei democristiani nel governo Merkel. Lo appoggiano industriali, banchieri, professori universitari, economisti, che hanno in comune una grande nostalgia del marco sepolto dall’arrivo dell’euro. Chiedono «il ritorno in Germania dell’oro depositato all’estero per mantenere aperta l’opzione della copertura di una futura nuova moneta ». Nuova per modo di dire, perché loro rivogliono il marco.


OLTRE 104 MILIARDI [I lingotti italiani invece rimangono tra Londra e Basilea] –
L’ultimo dato, pubblicato la scorsa settimana, è aggiornato alla fine di novembre 2012: le riserve auree della Banca d’Italia valgono 104,7 miliardi di euro. Una montagna di quattrini sparpagliato, per ovvie ragioni di sicurezza, in quattro diversi forzieri. Una parte dei lingotti d’oro di Bankitalia è a Roma, nei caveau di palazzo Koch a via Nazionale. Il resto è diviso tra Stati Uniti, Inghilterra e Svizzera: rispettivamente nei sotterranei della Federal reserve a Washington, in quelli della Banca d’Inghilterra a Londra e in quelli della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) a Basilea. Fino al 1939 le tonnellate d’oro erano tutte a Roma. Fu Benito Mussolini il primo a «esportare» i lingotti italiani. Pur avendo appena firmato con la Germania di Hitler il Patto d’Acciaio, nel maggio del 1939, il Duce nutriva più di qualche dubbio sulla reale lealtà dell’alleato. Così, mentre si preparava a dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna, in gran segreto spostò tonnellate di oro verso gli Usa. Quello che il Duce temeva, e che si verificò nel 1943, era che i nazisti potessero depredare le riserve auree italiane conservate nei caveau di via Nazionale.
La storia recente si intreccia invece con la crisi finanziaria internazionale. Le riserve auree italiane si sono apprezzate negli ultimi anni con la corsa dell’oro: il valore complessivo è quasi raddoppiato rispetto ai 60 miliardi di fine 2009. Finiti più volte al centro del dibattito politico, i lingotti di Bankitalia servono a garantire stabilità e sicurezza all’economia e all’azione dell’istituto guidato dal governatore Ignazio Visco che agisce sotto l’ombrello della Banca centrale europea. Partiti, esponenti politici e associazioni dei consumatori non di rado chiedono di attingere all’oro di Bankitalia per abbattere il debito pubblico del Paese.
Proprio la Bce, nel 2009, per tutelare l’indipendenza di Bankitalia ha detto «no» al prelievo straordinario del 6% previsto da un decreto del Governo italiano all’epoca guidato da Silvio Berlusconi. Nel giro di poche settimane, l’Eurotower punta il dito contro il provvedimento dell’Esecutivo sulla tassazione delle riserve d’oro, perché metteva a rischio l’autonomia di Bankitalia». La prima volta, il 15 luglio. E una seconda volta il 25 luglio, in una «opinione» pubblicata sul sito dell’istituto centrale a firma del presidente, Jean- Claude Trichet (poi sostituito da Mario Draghi a novembre 2011), dove si spiegava che il progetto pregiudicava «l’indipendenza finanziaria della Banca d’Italia».