Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 16/1/2013, 16 gennaio 2013
ARMSTRONG CONFESSA: “DOPATO FIN DAGLI ANNI 90”
[L’ex campione, ospite di Oprah Winfrey, ammette l’uso di sostanze] –
Al cancro nel cappello, questa volta, Lance ha preferito coniglio e cilindro. Ultimo disperato tentativo di stupire, trucco estremo, confuso abbaiare alla luna televisiva dell’Armstrong minore, quello che non sbarcò sul satellite nel ‘69, ma divenne corpo celeste e testimone in maglia gialla della sfida dell’uomo contro l’impossibile. Tutto finto, costruito, organizzato a tavolino tra un ago e un beverone in qualche laboratorio dove prestazioni straordinarie e truffa ai valori dello sport diventavano sinonimi, preparati chimici, alchimie criminali. Così adesso, mentre si rincorrono le voci sulle ammissioni concesse da una meteora senza più costellazione alla nera stella dello spettacolo Usa Oprah Winfrey: “Mi dopavo fin dalla metà degli anni 90, iniziai prima che mi venisse un tumore” è difficile non vedere altre salite nel futuro di Lance.
L’atleta che sconfiggeva il male e intanto, uccideva lo sport della sua vita, in larga compagnia. Nelle foto messe in rete dove a milioni, per quella che promette di diventare l’intervista più seguita di ogni epoca, già duellano sui social network in un’atmosfera da gogna senza appelli, Lance ha una camicia azzurra e gesticola. Di fronte a Oprah e ai suoi fogli tenuti saldamente tra le mani, due bicchieri d’acqua. Nulla di simile all’uso sistematico di Epo, testosterone e corticosteroidi che nell’agosto del 2012, in base “a prove schiaccianti” aveva consigliato l’agenzia americana per la lotta al doping, l’Usada, a squalificare per sempre l’ex icona che dava il buongiorno a mezzo paese dalle confezioni ‘sane’ di cereali.
ERANO già fuggiti gli sponsor che oggi minacciano di rivalersi a iniziare da quelli della sua ex squadra, la U.S. Postal, ma che secondo alcuni (a partire dallo stesso Armstrong) tutto sapevano sulle pratiche illegali e anzi le foraggiavano perché il prodotto Armstrong, a ogni Tourmalet scalato a medie folli rispetto al raziocinio e alle possibilità ‘terrestri’, cresceva esponenzialmente. Più soldi per lui. Più denaro per il vasto universo che dalla favola del risorto, stendevano e innalzavano utili, parabole azionarie e false morali.
Merce da banco e ingranaggio di un sistema complice, Lance adesso non vuole morire da solo. Ebbe solidarietà all’epoca in cui la federazione ciclistica internazionale, L’Uci (resipiscenza tardiva e sospetta) gli tolse la gloria dei 7 Tour de France e voci indignate a sostegno quando L’Equipe, con un’approfondita inchiesta durata 4 mesi, sostenne già nel 2005 di avere le prove di un sistematico uso di Epo al Tour del ’99 da parte di Armstrong. Lance replicò stizzito: “La caccia alle streghe continua, ribadisco ciò che ho già detto: mai prese sostanze illecite per migliorare le mie prestazioni. Ancora una volta un giornale europeo ha detto bugie. Questo è giornalismo spazzatura". Oggi consapevole della strettoia senza vie d’uscita in cui si respira l’aria salata dell’esclusione con vista carcere (incombe lo spergiuro già fatale per la Jones) e sicuro che il miracolo dell’indulgenza non possa ripetersi, il signor Armstrong dà l’ultima accelerata della sua basculante esistenza. La paura gli ha sottratto pudori e prudenza. Se fanno sul serio gli altri e alzano il dito quelli che fino a ieri lo abbracciavano, per una volta, sarà serio anche il ragazzo che mentiva fin dal buongiorno . Ha intenzioni battagliere, Lance Armstrong. Intenzioni delatore. Chiede ‘scusa’ e intanto, tra le righe, avverte chi di dovere. Coinvolgere i tanti, i troppi, che sapevano a memoria è un obiettivo.
E NON BASTA, come pure è stato detto e come Armstrong punta a dimostrare, non considerarlo diverso da tanti altri. Il così fan tutti, complicata partita a scacchi legale ed economica che occuperà a tempo pieno il pedale umano che staccava gli avversari, vinceva mondiali norvegesi con la ruota a terra o duellava con Pantani, a guardarlo da vicino, appare l’ennesima scusa. La fiamma spenta inadatta a incendiare il quadro e utile solo ad acuire il rimpianto per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Aveva un qualche maledetto talento, il biondo Lance. Lo ha gettato per ambizione e fittizio superamento dei confini. Per voluttà di trionfo ampiamente sostenuta. Non certo e non solo, per istanza individuale. Ora che suonano profetici e veritieri i libri pubblicati in questi anni dagli ex compagni di squadra che sul doping avevano già sparso al vento parole definitive, e impressionanti le denunce di Filippo Simeoni che fin dal 2004, nel processo al famigerato dottor Ferrari, aveva sostenuto (con il rischio della rissa con lo stesso Armstrong in pista al Tour) che Lance e l’alterazione medica delle volate fossero parenti stretti, sorridere è comunque un’impresa.
Simeoni sapeva di aver ragione, ora lo sanno anche gli altri. I tifosi delusi che invadono il web di contumelie e crudo realismo: “Il ciclismo non è più uno sport” e le donne avventurose come Oprah. Una che dei 150 minuti a contatto con il pentimento, dice quel che basta. Quel che serve: “Non so se Armstrong fosse pentito, ma è arrivato preparato. Non penso che la parola emozione possa descrivere la difficoltà che ha dovuto affrontare parlando di certe cose”. Più imbarazzo che liberazione. Il suo. Il nostro. E quello di chi da domani, gli chiederà di fare spazio sul banco degli imputati. C’è posto. Avanti il prossimo.