Andrea Tornielli, Vanity Fair 16/1/2013, 16 gennaio 2013
PADRE GEORG SE SARO’ BRAVO NON MI VEDRETE
La mattina del 6 gennaio, in San Pietro, è rimasto impassibile per quasi tutta la cerimonia. Ma quando, con la mitria vescovile nuova di zecca sul capo, si è presentato davanti al Papa per riceverne l’abbraccio, non ha retto all’emozione.
Monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Sua Santità, con l’ordinazione episcopale e l’incarico di gestire ogni udienza e ogni incontro di Benedetto XVI – in qualità di nuovo prefetto della Casa Pontificia – ha accresciuto notevolmente il suo potere. È diventato l’uomo più influente della curia vaticana. E benché nessuna delle telecamere presenti abbia saputo catturare le parole sussurrate da Ratzinger al fedele servitore – da dieci anni al suo fianco – non è difficile però immaginare che don Georg si sia sentito ringraziare e rassicurare ancora una volta, dopo l’anno tumultuoso che tutta la «famiglia papale» ha vissuto a causa dello scandalo per la fuga di notizie conosciuta come Vatileaks.
L’inattesa promozione a prefetto e arcivescovo rappresenta infatti per il segretario, che continuerà ad abitare nell’appartamento papale come ha fatto fino a oggi, un attestato pubblico di stima da parte di Benedetto XVI. Una stima che non è mai venuta meno, neanche quando don Gänswein era finito nel mirino delle critiche interne ai sacri palazzi per la gestione delle carte papali, sottratte e divulgate dall’aiutante di camera Paolo Gabriele, il colpevole – reo confesso, condannato e infine graziato – della fuga di notizie.
Georg «il bello»
Nell’aprile 2005, quando per la prima volta finì sotto i riflettori come segretario del nuovo Papa, don Gänswein fece subito colpo per il suo bell’aspetto. Lo ribattezzarono «il George Clooney del Vaticano», lo paragonarono al padre Ralph di Uccelli di rovo. Donatella Versace gli dedicò una collezione uomo, nacquero siti Web e fan club su Facebook. È rimasto memorabile, anche perché catturato dalle telecamere, l’apprezzamento per il «giovanissimo segretario» che Ratzinger si sentì fare dalla signora Franca Ciampi durante la prima visita del Papa al Quirinale (in realtà don Georg, al momento dell’elezione di Ratzinger, giovanissimo non era, pur dimostrando meno anni dei 48 che aveva). I paparazzi non gli diedero tregua: dopo vari appostamenti e molta pazienza, uno di loro riuscì a fotografarlo in calzoncini corti mentre giocava a tennis in un club romano, e lo scatto finì in copertina.
Al compimento dei suoi cinquant’anni, e del primo del pontificato di Benedetto XVI, Gänswein venne intervistato dal programma tedesco della Radio Vaticana: non era mai accaduto prima al segretario di un Papa vivente. In quella occasione, spiegò che il suo compito consisteva nel «proteggere il Santo Padre da una valanga di corrispondenza, di carte e burocrazia» in modo da permettergli di dedicarsi alla preghiera, alla riflessione e alla scrittura. «Sono lo spazzaneve del Papa», disse in un’altra occasione.
Nel corso dell’intervista don Georg rispose con molta franchezza e libertà anche a domande personali riguardanti il suo aspetto fisico e, a proposito dei commenti sulla sua bellezza, scherzò: «Ho fatto finta di non sentire, e con il tempo mi ci sono abituato». Spiegò inoltre di «aver sempre avuto un rapporto sereno e anche molto naturale con le donne», ammettendo che «naturalmente» nella sua gioventù «c’erano delle ragazze che vedevo volentieri e altre più volentieri».
Un anno dopo Gänswein era tornato sull’argomento in una conversazione con la Süddeutsche Zeitung. Dapprima aveva confessato un pizzico di irritazione per l’immagine di idolo delle donne veicolata sui media. Si era augurato che «non ci si fermi all’aspetto esteriore, ma si prenda coscienza della sostanza che sta sotto l’involucro». Poi però aveva aggiunto: «Non è una cosa che fa male, anzi mi lusinga, del resto non è un peccato». E alla fine aveva assolto anche i giornali: «Lo fanno con buone intenzioni, e in questo modo magari si rompono determinati cliché sui preti».
In quella occasione aveva anche confessato di ricevere «di tanto in tanto lettere d’amore», ma aveva smentito di aver avuto una fidanzata prima dell’ingresso in seminario: «Questo no. Ci sono state piccole, romantiche amicizie giovanili».
Sciatore e postino
Figlio di Albert – fabbro in una fucina di proprietà della sua famiglia da sette generazioni – e di una casalinga, Gertrude, il segretario del Papa è nato il 30 luglio 1956 a Riedern am Wald, Waldshut, una piccola città nella regione della Foresta Nera. Georg è il maggiore di cinque figli, ha altri due fratelli e due sorelle: Reinhard, Helmut, Ursula e Johanna. Descrivendo se stesso, si definisce «affidabile, determinato e schietto», ma ammette di «avere scarsa pazienza».
Da ragazzo, ha raccontato, portava «lunghi capelli riccioluti», e questo non piaceva a papà Albert, che gli chiedeva invano di tagliarli. Tra i 15 e i 18 anni ascoltava «Cat Stevens, i Pink Floyd e i Beatles». Suonava il clarinetto nella banda del paese ed era anche appassionato di storia dell’arte. Ma Georg non aveva la vocazione del contestatore, e alla politica ha sempre preferito lo sport. Prima di decidere di entrare in seminario, aveva rincorso il sogno di diventare un agente di Borsa e, per guadagnare qualche soldo, lavorava come postino. «All’inizio consegnavo la posta con la bicicletta in una piccola località della Foresta Nera. Poi mi affidarono una zona più ampia e dovetti passare all’automobile».
Ha giocato a calcio e ha fatto il maestro di sci. Una passione, questa, che non ha abbandonato, neanche oggi che si trova in Vaticano. È capitato infatti più volte che il martedì, il giorno che solitamente il segretario del Papa si prende di libertà – dato che in tutti gli altri deve sempre essere a fianco del «principale» –, sia andato a sciare al Terminillo, accompagnato da alcuni amici di lunga data. Tra di loro padre Hermann Geissler, sacerdote austriaco che lavora alla Congregazione per la dottrina della fede.
«Lo sport», dice don Georg, «dà la possibilità di competere con altri in forma positiva, è un sano modo di relazionarsi e confrontarsi. Nel poco tempo libero che ho, è una cosa a cui molto difficilmente rinuncerei». Lontanissimo, almeno in questo, da Benedetto XVI, allergico fin da giovane a qualsiasi attività sportiva (nel libro intervista Luce del mondo racconta di aver fatto propria la massima di Churchill, «No sports!», e di non trovare quasi mai il tempo neppure per salire sulla cyclette dell’appartamento papale).
Dalla Foresta Nera al cuore del Vaticano
Ordinato prete nell’arcidiocesi di Friburgo nel 1984, dopo pochi anni trascorsi in Germania – dove faceva il viceparroco e si occupava dell’educazione religiosa dei bambini – Gänswein venne chiamato a Roma. Ma avrebbe messo a frutto l’esperienza a contatto con l’infanzia fatta in parrocchia: tocca a lui valutare la qualità – e spesso scrivere anche la prefazione – dei libri di fiabe che vedono protagonista il Santo Padre o, magari, uno degli animali dei suoi giardini di Castel Gandolfo; per esempio, il recente volume della Libreria Editrice Vaticana dedicato al pesciolino rosso che nuota nello stagno del Papa e riceve dalle sue mani le briciole di pane.
Nel 1996 entra a far parte della Congregazione per la dottrina della fede, e intanto insegna Diritto canonico alla Pontificia Università della Santa Croce. Si occupa dell’«esame delle dottrine» e si conquista la fama di sacerdote «impeccabile» e «severo nelle questioni di fede». Tanto che nel 2003 il cardinale Joseph Ratzinger, ormai settantacinquenne con la speranza di andare presto in pensione per dedicarsi agli studi, si stacca dal segretario che lo ha accompagnato per un ventennio, Josef Clemens, e sceglie al suo posto proprio don Georg. Tra Clemens e Gänswein i rapporti non saranno mai buoni: il primo, che non ha mai creduto alla possibilità dell’elezione di Ratzinger, considererà sempre il secondo come un rivale.
Quando il settantottenne porporato bavarese, invece della pensione, riceve un nuovo «lavoro» dal conclave e diventa successore di Giovanni Paolo II, Gänswein si ritrova così a essere l’ombra del nuovo Papa nonché l’indispensabile interlocutore per quanti vogliano arrivare a Benedetto XVI. Nell’appartamento pontificio assume un ruolo guida, affiancato da un secondo segretario e dalle «memores Domini», le quattro laiche appartenenti a Comunione e Liberazione che gestiscono la casa del Papa.
Sensibile alla liturgia ben celebrata secondo canoni tradizionali, a suo agio anche negli ambienti della nobiltà papalina – è nota la sua amicizia con Alessandra Borghese, principessa e scrittrice – don Georg si trova a dover coltivare, com’è naturale, molti rapporti anche nell’ambito politico. È a lui che si rivolgono gli uomini delle istituzioni per conoscere come la pensi il Papa. Nell’ultimo anno, con l’avvento in Italia del governo «tecnico» di Mario Monti, l’influenza di Gänswein si è ulteriormente rafforzata, grazie al rapporto di profonda stima che lo lega a Federico Toniato, il vice segretario di Palazzo Chigi divenuto il «ministro ombra» di Monti nei rapporti con Oltretevere. La conoscenza tra i due risale a prima dell’elezione di Ratzinger, quando il cardinale pubblicò un libro con l’allora presidente del Senato Marcello Pera e Toniato si occupò di far rivedere le bozze al futuro Papa.
Vatileaks e faide interne
Dal 2006 nell’appartamento entra anche Paolo Gabriele, l’aiutante di camera che serve a tavola e svolge mansioni di servizio.
Don Georg gli dà fiducia e gli affida piccoli incarichi di segreteria. Nel gennaio del 2012, prima in Tv, poi sui giornali e infine in un libro vengono pubblicati documenti riservati, lettere e note provenienti dalla scrivania del Papa. Gänswein indossa i panni dell’investigatore e, aiutato dal generale Domenico Giani, potente e influente capo della Gendarmeria vaticana, mette alle strette il sospettato, accusandolo di essere il «corvo» durante una drammatica riunione che si tiene nell’appartamento papale la mattina del 21 maggio. Nonostante Gabriele smentisca ogni coinvolgimento, nella sua abitazione in Vaticano vengono ritrovate le copie di migliaia di documenti. L’inchiesta dei gendarmi e dei giudici d’Oltretevere porta a scoprire che l’aiutante di camera aveva frequentissimi contatti con la professoressa tedesca Ingrid Stampa, ex governante di Ratzinger, ammessa settimanalmente a pranzo nell’appartamento pontificio, la quale è sempre stata a sua volta legata al vecchio segretario del Papa, Josef Clemens.
Né Clemens né la Stampa verranno incriminati nel processo per il furto dei documenti e, anzi, la Santa Sede smentirà con forza ogni loro coinvolgimento. Ma c’è invece chi ritiene che il clima di invidie e gelosie all’interno dell’entourage tedesco del Pontefice, in particolare fra quelli che non hanno mai visto di buon occhio l’influenza di Gänswein, abbia avuto un ruolo non secondario nella vicenda dei Vatileaks. Alla fine, il Papa ha voluto dire l’ultima parola. E, promuovendolo, ha fatto capire fuori e dentro il Vaticano che la sua fiducia in don Georg non è mai venuta meno.
Così quello che un tempo era «Georg il bello» oggi è l’eminenza grigia più influente accanto al Papa. Qualche settimana fa, ricevendo un premio, monsignor Gänswein ha così sintetizzato il suo compito: «Personalmente ho visto il mio ruolo o servizio al Papa come quello di un vetro. Più pulito è, più raggiunge il suo scopo… Debbo lasciare entrare il sole, e il vetro meno appare meglio è. Se non si vede proprio, vuol dire che svolge bene il suo lavoro». Il «George Clooney» del Vaticano, insomma, apparirà sempre meno. Ma conterà sempre di più.