Una Galani, La Stampa 16/1/2013, 16 gennaio 2013
IL PREZZO DEL CAMBIAMENTO LA PRIMAVERA ARABA HA BRUCIATO 225 MILIARDI
Destituire un dittatore ha il suo prezzo. Tra il 2011 e il 2015, infatti, ci si aspetta che Egitto, Libia e Tunisia riducano il proprio output economico di una cifra che nel complesso si aggirerà attorno ai 225 miliardi di dollari. Si tratta di una fetta pari almeno al 10% del totale del Pil che, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, questi Paesi saranno in grado di produrre nei cinque anni in questione. Il calcolo effettuato dalla Reuters riguardante le perdite che subiranno questi Paesi si basa sulle previsioni del 2012.
Le stime, siano esse passate o recenti, non sono perfette. Inoltre, è molto difficile escludere dall’analisi gli effetti della Primavera araba sull’aumento dei prezzi delle materie prime e sul rallentamento globale dell’economia. Ciononostante, le cifre rimangono plausibili. In Marocco, importatore di petrolio relativamente stabile dove la Primavera araba ha promosso un profondo tentativo di riforme, la diminuzione complessiva del Pil non supera l’1%. Secondo Jordan, nei Paesi in cui i regimi, a detta degli analisti, hanno un’alta probabilità di crollare, la riduzione del Pil dovrebbe toccare l’8%.
Sebbene l’impatto economico della Primavera araba sia ancora oggetto di discussione, è chiaro che il rallentamento economico abbia causato un certo malcontento. Da questo punto di vista, dal momento che l’instabilità politica riduce le prospettive di crescita a medio termine, le rivoluzioni sono ancora ad anni, forse decenni, di distanza da un vero miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
La speranza è che il rallentamento della crescita sia mitigato da una più equa distribuzione della ricchezza disponibile. Egitto, Libia e Tunisia erano infatti tutti Paesi che godevano di una crescita del Pil relativamente alta dove, però, le ricchezze erano accentrate nelle mani di pochissime persone. Un’altra grande speranza è che i Paesi interessati dalla Primavera araba riescano ad ottenere una governance migliore che li renda più produttivi e che sia in grado di generare un “dividendo democratico”.