Michele Brambilla, La Stampa 16/1/2013, 16 gennaio 2013
CL, ALLE URNE LIBERI TUTTI IL MONOLITE NON C’È PIÙ [I
vertici: “Libertà di coscienza”. E c’è anche chi starà con il Pd] –
Uno dei tormentoni di ogni campagna elettorale è il voto di Comunione e Liberazione. Con chi stanno i ciellini? Nelle passate elezioni, l’interrogativo era al massimo limitato al nome di qualche candidato, visto che si dava per scontato che la stragrande maggioranza avrebbe scelto il centrodestra. Quest’anno la situazione appare più complessa.
Se è vero infatti che politici ciellini di vecchia data come Formigoni e Lupi hanno deciso di restare con Berlusconi, uno come l’europarlamentare Mario Mauro ha lasciato il Pdl ed è candidato nella lista civica di Monti. Ci sarà dunque una spaccatura? Una spaccatura in grado di cambiare l’esito del voto?
Al voto di Cl si attribuisce un’importanza probabilmente spropositata. Gli iscritti alla Fraternità sono, in tutta Italia, circa cinquantamila. Poi ci sono, certamente, molte persone «vicine»: ma numericamente sono sufficienti per esercitare un peso determinante? Secondo alcuni sì, specialmente in Lombardia, dove Cl potrebbe «muovere» dai cento ai duecentomila voti. E siccome la Lombardia potrebbe far pendere l’ago della bilancia da una parta o dall’altra anche a livello nazionale, ecco che il voto ciellino viene tenuto in altissima considerazione.
Ma un «voto ciellino», se inteso come voto in blocco, non esiste. Mai come quest’anno Cl è diverso da quel monolite che si crede. L’idea che sta passando è che la politica è importante, ma appartiene alle cose umane, e quindi contingenti, fallibili, transitorie. Nessun marchio di «cattolico», né di «ciellino», a un partito o a un candidato. «Cl», dicono a Milano in viale Porpora, sede del movimento, «è un movimento ecclesiale che educa alla fede e anche al giudizio della realtà: ma nella libertà». Nell’urna non si ricerca il Verbo, ma l’opportunità, il «bene possibile» o addirittura «il male minore».
Così, in Lombardia pare che molti opteranno per il voto disgiunto: Monti alle politiche e Maroni alle regionali. Il primo perché viene ritenuto più affidabile e presentabile di Berlusconi; il secondo perché, anche se non ama Formigoni, ne smantellerebbe l’operato meno di quanto farebbe Ambrosoli. Questo in Lombardia.
In altre parti d’Italia non mancano neppure i ciellini che appoggiano il Pd: ce ne sono a Bergamo, a Piacenza, a Fidenza; a Firenze molti collaborano con Renzi; a Bari con Emiliano. In Veneto, parecchi ciellini votano Pd, a partire dal leader storico Graziano Debellini, imprenditore e amico personale di Bersani: «Sono figlio di un segretario del Pci, a casa mia veniva Pajetta», racconta Debellini: «Mio padre diventò poi un grandissimo amico di don Giussani, il quale non gli chiese mai la conversione politica».
Esperienze e valutazioni personali: non indicazioni del vertice del movimento, che anzi di indicazioni non ne ha date e non ne darà. Con un documento del 2 gennaio scorso, Cl ha richiamato tutti alla libera scelta, sottolineando che «l’unità del movimento non è una omologazione politica, tanto meno si identifica con uno schieramento politico». Nel documento si citava poi don Giussani: «Fra noi tutti in quanto Cl e i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella Dc c’è un’irrevocabile distanza critica».
Parole e citazioni che non sono piaciute all’ala che, invece, un’unità e un’omologazione (con il Pdl) la vorrebbe: infatti sul settimanale «Tempi» diretto da Luigi Amicone una settimana dopo è apparso un articolo di Antonio Simone che definisce «dolorosa» la «divisione» di cattolici in più partiti, e cita un’altra frase di don Giussani sul dovere di tendere all’unità. I vertici di Cl l’hanno presa malissimo: ieri hanno inviato a Tempi una lettera garbata ma tranchant firmata da Andrea Simoncini, un membro del consiglio di presidenza: «Di quale divisione stiamo parlando? Quella di non militare tutti nello stesso partito o di non suggerire di votare tutti lo stesso partito?». L’identificazione di Cl con un solo partito - per giunta con uno zelo degno di miglior causa - è stata negli ultimi anni un dolore particolare per don Julián Carrón - il prete spagnolo successore di don Giussani - e per le persone che gli stanno vicine, tutte convinte che l’impegno in politica sia doveroso, ma anche che i cristiani l’unità la debbono inseguire su qualcosa che sta sopra, e che va oltre.