Francesco Clementi, ilSole24Ore 16/1/2013, 16 gennaio 2013
PRIORITÀ A COSTITUZIONE ED EQUILIBRIO DEI POTERI
È la Costituzione il faro dell’interpretazione. Non il Codice, qualunque esso sia. Questo è il senso delle motivazioni della sentenza sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ossia tra il Presidente della Repubblica e la Procura della Repubblica di Palermo, sorto a seguito dell’attività di intercettazione telefonica, svolta nell’ambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale – appunto - di Palermo. Per la Corte, infatti, «l’interesse costituzionalmente protetto non è la salvaguardia della persona del titolare della carica, ma l’efficace svolgimento delle funzioni di equilibrio e raccordo tipiche del ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, fondato sulla separazione e sull’integrazione dei poteri dello Stato» (punto 12 del considerato in diritto).
Dunque, non si può intercettare il Capo dello Stato neanche accidentalmente perché le garanzie sono una prerogativa della funzione, non invece un privilegio della persona. E le prerogative della funzione, al di fuori da quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione, ossia i due unici casi di responsabilità presidenziale esplicitamente individuati (alto tradimento o dell’attentato alla Costituzione, che prevedono la messa in stato di accusa del Capo dello Stato da parte del Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri), mettono in luce che il ruolo e la funzione esercitata dal Capo dello Stato debba essere salvaguardata. Sempre e comunque.
Ne consegue quindi che, se l’equilibrio tra i poteri e il conseguente rispetto della Costituzione rappresentano l’unico reale parametro che deve essere considerato, questo diviene centrale - anzi, vieppiù insuperabile - pure di fronte al fatto che la conoscibilità da parte di terzi, attraverso l’accesso delle altre parti del giudizio, determini il rischio concreto di divulgazione dei contenuti del colloquio anche al di fuori del processo, vanificando così, sebbene nel rispetto formalistico del codice, quello che è il cuore dell’interesse costituzionalmente protetto: l’equilibrio tra i poteri e il ruolo del Presidente della Repubblica.
La Corte, quindi, afferma con tutta chiarezza che, al di fuori di quanto già costituzionalmente previsto, non si può disporre nei confronti del Presidente della Repubblica nessun altro atto d’indagine, neanche un’intercettazione indiretta, registrata accidentalmente, in quanto essa sarebbe lesiva comunque della funzione fondamentale che quest’organo svolge nel nostro ordinamento. E anche laddove si verificasse una potenziale asimmetria processuale tra i soggetti del processo, questa comunque andrebbe considerata ipso facto recessiva di fronte ad un maggiore interesse costituzionale da preservare.
Questa sentenza, assai ricca e densa nelle sue motivazioni, rappresenta quindi un vero e proprio landmark per il nostro ordinamento. Con parole piane e con particolare cura, per la prima volta, evidenziando le varie distinzioni da porre riguardo alle intercettazioni dirette, indirette e casuali, si sottolinea che sull’inviolabilità delle comunicazioni del Presidente della Repubblica non si possano avere dubbi. Questi, infatti, per il ruolo che svolge nell’ordinamento, deve poter contare «sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l’efficace esercizio di tutte» (punto 9, considerato in diritto). Se ci si mette dal lato della Costituzione, senza pre-giudizio alcuno, in difesa dell’equilibrio dei poteri, nessuna polemica quindi può albergare.