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 2013  gennaio 16 Mercoledì calendario

NELLE REPUBBLICHE BALTICHE AUSTERITY FA RIMA CON CRESCITA

Virtuosi dell’austerity premiati dalla crescita. Estonia, Lettonia e, in minor misura, Lituania hanno gettato un po’ di scompiglio tra economisti e politici con il loro rigore inflessibile persino nel pieno della crisi finanziaria globale. Al punto che lo stesso Fmi s’è sentito in dovere di bacchettarne l’eccesso di zelo. Tutti e tre gli Stati baltici hanno subito pesanti recessioni nel 2009 e tutti e tre hanno reagito con politiche di bilancio restrittive che, contrariamente a quanto accaduto in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia non hanno aggravato la crisi, non hanno distrutto posti di lavoro, non hanno innescato proteste sociali, ma al contrario sono state accompagnate dal rimbalzo dell’economia e dalla discesa della disoccupazione. E da qualche costo sociale.
Estonia
L’Estonia, l’unico dei tre baltici a far parte del club dell’euro, chiude il 2012 con una crescita attesa del 2,5%. Tre anni consecutivi di espansione hanno consentito un rimbalzo vicino al 15% rispetto al 2009, quando il Pil arretrò del 14%. Mai per un momento il Governo ha pensato di allentare i cordoni della borsa: il deficit non è mai andato oltre il 2,9%, "picco" toccato nel 2008, anzi, grazie alle strette varate, Tallin è tornata in surplus già nel 2010. Nel 2012 il bilancio era di nuovo in deficit (-1,1%) ma l’anno prossimo il Governo vuole tornare in attivo. Il debito pubblico è un imbarazzo per tutti gli altri partner dell’Eurozona: dieci per cento. Tanto rigore, accompagnato da crescita, non poteva passare inosservato e l’Estonia è diventata l’emblema dei fan dell’austerity e il bersaglio dei suoi oppositori, compreso il Nobel per l’economia, Paul Krugman. Ma gli elettori stanno con il Governo: Andrus Ansip guida l’Esecutivo dal 2005 e, dalla primavera del 2011 è al terzo mandato, dopo elezioni che hanno consegnato al suo partito la maggioranza relativa.
Lettonia
Nel 2009 la Lettonia ha visto andare in fumo il 18% del Pil, il crollo più drammatico nella Ue. Tanto che per uscire dalla crisi, Riga ha chiesto aiuto all’Fmi, negoziando (già alla fine del 2008) un prestito di 7,5 miliardi di euro, rimborsato a dicembre dello scorso anno. Anche qui il Governo ha stretto i rubinetti della spesa: ha ridotto i posti letto negli ospedali, ha licenziato un terzo dei dipendenti pubblici e tagliato gli stipendi a tutti gli altri, subito imitato dal settore privato. Il 1° gennaio è entrato in vigore un drastico taglio al salario minimo garantito, con la riduzione sia della soglia di reddito sotto la quale scatta il trattamento, sia il suo importo. Così, ha spiegato il ministro delle Finanze Andris Vilks, i disoccupati saranno davvero incentivati a cercarsi un impiego anziché contare sui sussidi pubblici. Una misura sembrata eccessiva allo stesso Fmi, che l’ha criticata sostenendo che minaccia la rete di sicurezza sociale per i meno abbienti.
Da maglia nera quattro anni fa, nel 2012 la Lettonia è diventata la prima della classe nella Ue per crescita economica, con il Pil in salita del 4,5 per cento. Nello stesso periodo, il deficit è sceso dal 9,8 all’1,7% del Pil. Anche la disoccupazione sta scendendo, come nelle altre due repubbliche baltiche (anche se resta tra il 12 e il 14%). Ma la Lettonia è tra i Paesi dove maggiore è la disuguaglianza sociale, con un terzo della popolazione in stato di povertà e circa 110mila persone emigrate dal 2009 (su 2 milioni di abitanti).
Anche la Lettonia, come l’Estonia, ha diviso politici ed economisti. Herman Van Rompuy, il presidente della Ue, ha definito il suo caso una fonte d’ispirazione. Krugman ha sostanzialmente ribadito il concetto già espresso su Tallin. Ma anche il premier Valdis Dombrovskis, dopo le elezioni anticipate di settembre 2011, è rimasto al suo posto, anche se il suo partito ha perso il 13 per cento.
Lituania
Nel 2009 la Lituania ha subito una recessione del 15%. Nel 2011 il Pil è cresciuto del 6% e si attende un 3% nel 2012. Una ripresa contestuale a misure di austerity che porteranno il deficit dal 9,4% del 2009 al 3,2% stimato per l’anno scorso. Qui, però, la politica ha pagato pegno, con la maggioranza di centro-destra bocciata nelle elezioni di ottobre vinte dai socialdemocratici. Dal 1° gennaio, tenendo fede agli impegni presi in campagna elettorale, il premier Algirdas Butkevicius, ha alzato del 17,6% il salario minimo, portandolo a 290 euro al mese.