Luca Raffaelli, la Repubblica 16/1/2013, 16 gennaio 2013
GIOVANI, MA SENZA RABBIA I FUMETTI DI ZEROCALCARE
[Intervista all’autore delle strisce nate sul Web diventate un caso editoriale] –
«Ricorda: nessuno guarisce dalla propria infanzia»: questa la (perfetta) citazione in quarta copertina di
Polpo alla gola, primo successo del fumetto italiano a essere nato in libreria. Più di venticinquemila copie vendute per il Polpo, poco meno per il precedente La profezia dell’armadillo (pubblicati da Bao Publishing). Protagonisti di entrambi un alter ego del ventinovenne Zerocalcare, nome d’arte di Michele Rech. Le sue esilaranti difficoltà a diventare adulto sono venate di grandi malinconie, quasi il futuro fosse solo rivolto all’indietro, al recente e indimenticabile passato di studente. Zerocalcare nasce realizzando fumetti all’interno del Forte Prenestino occupato di Roma, mentre la sua popolarità se l’è conquistata sul Web. Qualche settimana fa il suo libro è arrivato anche su uno “scudo” di uno studente che manifestava in piazza.
Zerocalcare, quello scudo significa essere diventato il simbolo di un sentire collettivo?
«In verità quello mi è sembrato un corto circuito. Io ero a quel corteo e nel corteo c’era uno scudo con il libro mio. Assurdo, no? Però poi ho capito che vale più quello di mille presenze in classifica».
Però insisto: nei suoi libri c’è qualcosa in cui molti si riconoscono. Cosa?
«Non lo so. Quando non avevo ancora successo mi dicevo che certe atmosfere che nascono all’interno degli spazi occupati possono uscire dal recinto ed essere capite anche da persone non affini a noi. Ma forse questa risposta non basta. Che dice?».
Forse c’è l’esaltazione di sentire giovanile (e forse anche di un’immaturità) che non si vuole perdere. Quasi l’unica ancora di salvezza nei confronti della cattiveria del mondo degli adulti fosse quella di non diventare mai come loro. È così?
«Sì, condivido: ci sono dei sentimenti legati alla mia infanzia e alla mia adolescenza che non voglio perdere. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia, e cioè quello che ti hanno costruito intorno perché tu non ti senta mai compiuto, mai maturo. Io sono uscito dalla scuola dieci anni fa insieme ai miei compagni. Beh, dopo dieci anni ancora non abbiamo alcuna sicurezza sulla nostra vita. I miei amici stanno ancora a lottare con i contratti a progetto, ancora non sanno bene se si possono permettere una casa e l’idea di una famiglia è piuttosto improbabile».
A differenza del fumetto degli anni Settanta (di Pazienza, Scòzzari, Tamburini) nelle sue storie c’è molta meno arrabbiatura e al suo posto un atteggiamento
consolatorio.
«Forse è vero. Ma credo che nel nostro Paese non riusciamo a essere davvero arrabbiati. È così tanta la disillusione che viene a mancare lo spazio per dirigere la propria rabbia».
Ma non potrebbe essere pericoloso questo coccolarsi nella propria insoddisfazione?
«Oppure potrebbe essere un atto di coerenza. In verità non faccio fumetti politici e non vivo una situazione preinsurrezionale. Esco dal Forte Prenestino e vado a casa a vedere le serie tv mangiando plumcake. E di questo parlo nelle mie storie ».
Si dice che il successo le sia arrivato quasi per caso. È vero?
«Ho cominciato spinto da uno scetticismo assoluto. È stato merito di Makkox (altro fumettista nato sul Web,
ndr) se ho continuato. E quando ho visto che le mie storielle raccoglievano un po’ di consenso ho avuto lo stimolo per cominciare a farne di nuove. Poi c’è stato il salto con la storiella di Trenitaja.
Con quella storia (in cui si critica il sito dei Frecciarossa, la mania dei treni veloci e costosi, e anche il comportamento dei passeggeri, ndr) qualcosa è cambiato, i contatti si sono moltiplicati».
Li conta gli accessi quotidiani?
«No, ho smesso perché mi mette ansia controllare tutti i giorni. Quello che ho visto è che le condivisioni sono 22mila».
L’armadillo è nato prima sul Web, mentre il Polpo è nato come libro. Quanto è cambiato il suo modo di lavorare?
«Quando ho cominciato a lavorare al Polpo ancora non si era messo in moto tutto quel meccanismo che è venuto fuori negli ultimi tempi. Quindi le decisioni le ho prese a cuor leggero. Poi quando la cosa ha cominciato a crescere, a contratto già firmato e anticipo già preso, mi sono reso conto che tutto quello che mi stava accadendo intorno richiedeva uno sforzo ulteriore rispetto alla leggerezza con cui l’avevo preso».
In che senso?
«Soprattutto nel dover trovare un senso complessivo al lavoro che stavo facendo. Non solo storielle, ma qualcosa di più strutturato con una tabella di marcia più precisa».
E c’è riuscito?
«No. Nonostante tutti i miei buoni propositi mi sono ritrovato a fare le cose a braccio, ho dovuto modificare alcune parti già fatte per legarle alle nuove che stavo pensando. Ma sono soddisfatto del risultato».
E ora?
«Sto cercando davvero di cambiare il mio metodo di lavoro, di scrivere un soggetto e una sceneggiatura dettagliati. L’obiettivo è soprattutto eliminare il panico da consegna».
Non c’è il pericolo di abbassare il livello di spontaneità?
«Ma per quello non smetto di lavorare per il blog. E siccome ho la fortuna di lavorare per Bao, che punta a farmi fare un libro all’anno, avrei voglia di provare a fare delle cose diverse, anche correndo il rischio che non siano quelle che mi riescono meglio».
In che maniera il successo ha cambiato la sua vita?
«Faccio molte più presentazioni e molte meno ripetizioni. Ma non so ancora se quello dei fumetti diventerà un mestiere».