Paolo Griseri, la Repubblica 16/1/2013, 16 gennaio 2013
“DISTRIBUIRE SACRIFICI E OPPORTUNITÀ” LA DOTTRINA ANTI-CRISI DI MARCHIONNE
[Ma il cuore della strategia resta il mercato americano] –
DETROIT
— Una multinazionale deve saper distribuire i sacrifici tra i suoi dipendenti. Ecco la filosofia delle ristrutturazioni e degli investimenti firmati da Sergio Marchionne nei tempi difficili della crisi europea dell’auto. Il manager del Lingotto lo spiega in modo esplicito alla giornalista polacca che lo interroga sulle ragioni che hanno portato ai licenziamenti nello stabilimento di Tichy, dove un tempo si produceva la Panda. «La decisione di spostare la Panda dalla Polonia a Pomigliano può non apparire geniale ma andava fatta». Perché, spiega Marchionne, «abbiamo cercato di tutelare un certo numero di persone assunte in Italia. Una multinazionale deve prendere decisioni che vanno al di là dei confini nazionali. È necessaria equità per distribuire alcune delle decisioni difficili che dobbiamo prendere». In questo caso gli italiani possono dirsi soddisfatti ma, naturalmente, vista dalla Polonia la questione cambia di segno. E come reagiremmo in Italia il giorno in cui si annunciasse il taglio di 1.500 posti di lavoro per trasferire all’estero un modello? Nelle multinazionali lo stesso concetto di «estero» diventa un non senso.
Certo, gli investimenti vanno dove conviene, dove li porta il business. Ma proprio il caso di Pomigliano dimostra che non è sempre così. E che un amministratore delegato come Marchionne finisce per disegnare una traiettoria che tiene certamente conto del business ma anche di equilibri non strettamente economici. È con questi presupposti che il Lingotto si prepara a ridistribuire i pesi dei suoi insediamenti in Italia e nel mondo. Più che alla tempesta nel bicchier d’acqua elettorale di Melfi, è a questo nuovo piano che bisogna guardare per capire le nuove mosse di Torino. Il cuore della strategia è oggi l’America, il mercato in crescita, quello che dà i migliori profitti e chiede i maggiori aumenti di produzione. E il cuore di quel mercato è lo stabilimento di Jefferson North, a Detroit, lungo il corso che termina di fronte all’ingresso del Salone dell’auto. Perché Jefferson? Perché lì si produce il Grand Cherokee, icona del marchio Jeep nel mondo. A Jefferson Marchionne ha introdotto il terzo turno di notte per far fronte alle richieste crescenti di Grand Cherokee. Il piano originario era diverso: rimanere su due turni per dedicare il terzo a costruire il nuovo suv con il marchio Maserati. Ma ora il suv dovrà essere realizzato altrove. Probabilmente si chiamerà Levante e probabilmente verrà destinato a Mirafiori, dove la cassa integrazione dura da due anni e dove non ci sono nuovi modelli in vista. Distribuire i sacrifici e le opportunità di qua e di là dell’oceano.
Nonostante gli ottimi risultati del mercato Usa, Marchionne ha deciso di non costruire nuovi stabilimenti oltreatlantico. Per non sbilanciare ulteriormente i pesi in un impero che presto dovrà diventare un’unica società possibilmente senza figli e figliastri. La scelta di non costruire altre fabbriche in America è quella che potrebbe consentire di cominciare a saturare le fabbriche europee. Non solo quelle italiane. L’accordo con il governo serbo prevedeva la realizzazione di due modelli. Il primo è la 500L, manca il secondo. Potrebbe essere l’erede della Grande Punto se e quando arriverà. Anche se una scelta del genere, con il trasferimento del modello da Melfi, presupporrebbe un investimento ingente. Tra tutti gli stabilimenti italiani quello con un futuro meno chiaro è lo stabilimento di Cassino. Perché il polo torinese (Mirafiori e Grugliasco) sarà destinato al lusso e al marchio Maserati. A Melfi rimarranno i suv di piccole dimensioni e a Pomigliano la Panda. Proprio a Detroit Marchionne ha citato per la prima volta dopo molto tempo lo stabilimento laziale per dire che verrà probabilmente destinato ai modelli Alfa e che potrebbero essere realizzate qui anche alcune auto destinate all’esportazione oltreoceano. Nello schema dei pesi, dei sacrifici e delle opportunità l’Asia fa storia a sè. Un po’ perché né Fiat né Chrysler hanno finora conquistato fette significative di quei mercati e un po’ perché le potenzialità di crescita sono tali da assorbire la produzione delle nuove fabbriche come quella che produrrà le Jeep. Il principio è che nessuna produzione in Cina potrà sostituire quelle dell’Occidente. Per non correre rischi, il Grand Cherokee, quello prodotto a Jefferson, non avrà comunque un cugino cinese.