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 2013  gennaio 16 Mercoledì calendario

ESSENZIALI ENTRAMBI

I bambini scelgono con istintiva cu­ra a chi rivolgersi, quando hanno bi­sogno di aiuto e son presenti sia il pa­dre che la madre. È un’esperienza che tutti i genitori vivono. La prima volta che si verifica restano sorpresi, perché non l’avevano prevista. Poi la calano dentro di sé e non si fanno più coglie­re di sorpresa. È per me la prova-pro­vata, la prova-vissuta, del bisogno che i bambini hanno di avere sia un padre che una madre. Due padri o due ma­dri non sono la stessa cosa. Non in­tendo dire che due padri o due madri riempiamo due volte solo il ruolo di padre o solo quello di madre, ma che non riempiono nemmeno quel sin­golo ruolo, proprio perché sono due. La prima volta che mio figlio, picco­lissimo, mostrò un bisogno del padre, fu un’assoluta sorpresa. Il bambino stava in braccio alla madre, tutti guar­davamo un film vagamente thriller. E­ra un film permesso a tutti, non ave­va nulla di terrificante, ma a metà film appariva un fantasma. Uno scherzo­so fantasma. Vestito di nero, velo lun­go fino a terra, maschera nera a co­prire il volto, camminava in cima a u­na muraglia. A un certo punto, di scat­to, si volta verso noi spettatori e sorri­de. Il piccolo lanciò un trillo, saltò giù dalla madre, e balzò in grembo al pa­dre. Non voleva perdersi il film (ripe­to, permesso a tutti, lui sapeva che i suoi compagni lo vedevano), ma pre­feriva vederlo sulle ginocchia del pa­dre invece che della madre. Nessuno fece un commento. E tuttavia quella fu una scena importante: con quel dop­pio salto, via dalla madre e in grembo al padre, il bambino mostrò un ’biso­gno di protezione’ che la madre non gli garantiva ma il padre sì. Padre e madre sono complementari, e il bam­bino ha bisogno di questa comple­mentarietà.

A scuola prendeva bei voti, e la mae­stra dava agli scolari i temi svolti in classe perché li mostrassero ai geni­tori, col giudizio e il voto. Io mettevo la firma per presa visione, e il bambi­no lo riportava alla maestra. La classe funzionava così. Ma io sapevo che un giorno c’era stato un tema in classe, e non l’avevo visto. «L’ho firmato io», spiegò mia moglie. «E come mai?», «Il voto era così così». Dunque i successi li mostrava al padre, i mezzi insuccessi alla madre. Il padre è la protezione, la madre è il conforto. Ebbe, come tutti, qualche malattia e qualche ricovero. Lo si andava a trovare. Se andava la madre, chiedeva: «E il papà?», se an­dava il padre: «E la mamma?»: biso­gnava andare tutt’e due. All’età della vaccinazione, arriva a casa la lettera del municipio, col giorno e l’ora. Lo portiamo all’ambulatorio. La vacci­nazione era dolorosa, il medico sbrec­ciava la pelle sul braccio con qualco­sa che a me sembrava un pennino, per immettere il vaccino. Tutti i bambini strillavano. Lo strillamento si sentiva a cento metri di distanza. Io lo avver­to: «Adesso il medico ti farà male, ma solo un po’, puoi sopportare». Arriva il momento. Il medico lavora, il piccolo mi stringe la testa, io stringo la sua. Lamenti, zero. Aveva l’abitudine di di­segnare. Aveva un tratto deciso, stri­sciate lunghe, non disegnava figure singole ma sempre un gruppo. Posso sbagliarmi, ma quel gruppo era la fa­miglia. La donna in sottana, l’uomo in pantaloni. L’uomo era sempre un po’ in disparte, e questo mi dispiaceva (mi dispiace ancora, se ci penso). L’uomo era sempre più alto, la donna aveva sempre le braccia aperte. L’altezza e­ra sicurezza, le braccia aperte erano affetto. Non riesco a immaginare i ruo­li invertiti, e non riesco a immaginare un ruolo mancante. Certo, ci sono fi­gli orfani di un genitore, ma questa non è la norma, è una disgrazia. E per­ché programmarli e farli nascere con quella disgrazia, e far coincidere la na­scita col lutto?