Ferdinando Camon, Avvenire 16/1/2013, 16 gennaio 2013
ESSENZIALI ENTRAMBI
I bambini scelgono con istintiva cura a chi rivolgersi, quando hanno bisogno di aiuto e son presenti sia il padre che la madre. È un’esperienza che tutti i genitori vivono. La prima volta che si verifica restano sorpresi, perché non l’avevano prevista. Poi la calano dentro di sé e non si fanno più cogliere di sorpresa. È per me la prova-provata, la prova-vissuta, del bisogno che i bambini hanno di avere sia un padre che una madre. Due padri o due madri non sono la stessa cosa. Non intendo dire che due padri o due madri riempiamo due volte solo il ruolo di padre o solo quello di madre, ma che non riempiono nemmeno quel singolo ruolo, proprio perché sono due. La prima volta che mio figlio, piccolissimo, mostrò un bisogno del padre, fu un’assoluta sorpresa. Il bambino stava in braccio alla madre, tutti guardavamo un film vagamente thriller. Era un film permesso a tutti, non aveva nulla di terrificante, ma a metà film appariva un fantasma. Uno scherzoso fantasma. Vestito di nero, velo lungo fino a terra, maschera nera a coprire il volto, camminava in cima a una muraglia. A un certo punto, di scatto, si volta verso noi spettatori e sorride. Il piccolo lanciò un trillo, saltò giù dalla madre, e balzò in grembo al padre. Non voleva perdersi il film (ripeto, permesso a tutti, lui sapeva che i suoi compagni lo vedevano), ma preferiva vederlo sulle ginocchia del padre invece che della madre. Nessuno fece un commento. E tuttavia quella fu una scena importante: con quel doppio salto, via dalla madre e in grembo al padre, il bambino mostrò un ’bisogno di protezione’ che la madre non gli garantiva ma il padre sì. Padre e madre sono complementari, e il bambino ha bisogno di questa complementarietà.
A scuola prendeva bei voti, e la maestra dava agli scolari i temi svolti in classe perché li mostrassero ai genitori, col giudizio e il voto. Io mettevo la firma per presa visione, e il bambino lo riportava alla maestra. La classe funzionava così. Ma io sapevo che un giorno c’era stato un tema in classe, e non l’avevo visto. «L’ho firmato io», spiegò mia moglie. «E come mai?», «Il voto era così così». Dunque i successi li mostrava al padre, i mezzi insuccessi alla madre. Il padre è la protezione, la madre è il conforto. Ebbe, come tutti, qualche malattia e qualche ricovero. Lo si andava a trovare. Se andava la madre, chiedeva: «E il papà?», se andava il padre: «E la mamma?»: bisognava andare tutt’e due. All’età della vaccinazione, arriva a casa la lettera del municipio, col giorno e l’ora. Lo portiamo all’ambulatorio. La vaccinazione era dolorosa, il medico sbrecciava la pelle sul braccio con qualcosa che a me sembrava un pennino, per immettere il vaccino. Tutti i bambini strillavano. Lo strillamento si sentiva a cento metri di distanza. Io lo avverto: «Adesso il medico ti farà male, ma solo un po’, puoi sopportare». Arriva il momento. Il medico lavora, il piccolo mi stringe la testa, io stringo la sua. Lamenti, zero. Aveva l’abitudine di disegnare. Aveva un tratto deciso, strisciate lunghe, non disegnava figure singole ma sempre un gruppo. Posso sbagliarmi, ma quel gruppo era la famiglia. La donna in sottana, l’uomo in pantaloni. L’uomo era sempre un po’ in disparte, e questo mi dispiaceva (mi dispiace ancora, se ci penso). L’uomo era sempre più alto, la donna aveva sempre le braccia aperte. L’altezza era sicurezza, le braccia aperte erano affetto. Non riesco a immaginare i ruoli invertiti, e non riesco a immaginare un ruolo mancante. Certo, ci sono figli orfani di un genitore, ma questa non è la norma, è una disgrazia. E perché programmarli e farli nascere con quella disgrazia, e far coincidere la nascita col lutto?