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 2013  gennaio 15 Martedì calendario

PECHINO NON SOLO E’ IL ‘’PADRONE” DEGLI STATI UNITI, AVENDO IN MANO L’IMMENSO DEBITO PUBBLICO AMERICANO E QUALCHE MULTINAZIONALE, MA INIZIA A TIRANNEGGIARE QUELL’OCCIDENTE CHE UNA VOLTA COLONIZZAVA I PAESI POVERI O DEL TERZO MONDO. COME? IMPONENDO QUELL’ARMA DELLA PROPAGANDA/CONSENSO CHE SI CHIAMA CINEMA


Siamo sempre stati abituati a pensare ai costumi occidentali che influenzano quelli delle cosiddette società chiuse, o comunque meno ricche o sviluppate. Tanto che si potrebbe parlare a tutti gli effetti di una vocazione alla "conquista", che non sarà armata né di carattere territoriale, ma che non per questo è meno aggressiva. È successo in tutti i campi, dall’abbigliamento all’arte.

Ma cosa capita quando la ricchezza si sposta proprio in uno dei paesi che più ha resistito a questa "ondata culturale" che dall’Ovest si è abbattuta sull’Est? Non è necessario sforzarsi a pensare, perché quel fenomeno sta già accadendo.

Il paese in questione è ovviamente la Cina, la quale, fondendo il modello capitalistico occidentale con la propria (controversa) cultura del lavoro, è riuscita a mettere in piedi un sistema che adesso fa gola agli stessi investitori occidentali. E così questi ultimi adesso, pur di non rinunciare a opportunità tanto ghiotte di sviluppo, sono pronti ad adattarsi ai costumi di quei luoghi, anche se per noi risultano inconcepibili.

Quello del cinema è un ottimo esempio. Infatti pare proprio che dovremo cominciare ad abituarci all’idea di pellicole sempre più "politically correct": visto il regime di censura che in Cina controlla scrupolosamente ogni prodotto culturale, Hollywood si sta adeguando e sta facendo attenzione a non inserire nei suoi film i temi sui quali le autorità del dragone sono più sensibili.

Per cui bisogna evitare i riferimenti religiosi (potrebbero offendere qualcuno), limitare gli accenni all’esercito americano, e soprattutto parlare il meno possibile di Cina. La pena è, appunto, la censura del film, e la conseguente impossibilità di godere degli incassi di pellicole che incontrano sempre più il favore del pubblico cinese (soprattutto quelli in 3D).

Ne sa qualcosa la Paramount Pictures, che ha presentato alle autorità una versione in 3D di "Top Gun" e che ha ricevuto come risposta un silenzio lapidario. Ang Lee, nel suo "Vita di Pi" ha dovuto modificare una scena in cui uno dei personaggi affermava che "la religione è oscurità". Anche la Disney e la Marvel, che hanno girato a Pechino alcune scene di "Iron Man 3", sono state seguite attentamente dai censori del Dragone.

A controllare le pellicole è un vasto e temibile consiglio di censura, formato da più di una trentina di membri dell’Amministrazione statale delle radio, dei film e della televisione (S.A.R.F.T.). Gli studios di Hollywood, per non incappare in qualche violazione e dover quindi rimettere mano ai propri prodotti, prima di lanciare un film in Cina si avvale della consulenza di alcuni funzionari, che si occupano delle trattative con le autorità del Dragone.

Una volta che si approva un copione, non sono ammesse variazioni: i censori seguono direttamente le riprese sul set, controllando che tutto sia come concordato.
Se si apporta anche una piccola modifica al progetto originale, si rischia di finire sotto accusa nell’ufficio di qualche membro del partito comunista, com’è successo nel 2011 al produttore Robert Cain.

Spesso le autorità locali si accertano anche che le versioni dei film prodotto per il mercato cinese non differiscano da quelle diffuse nel resto del mondo, anche se non è raro che di uno stesso film esistano più versioni.

Pare che un buon modo per andare incontro al favore dei censori sia quello di includere degli attori locali nella pellicola, anche se bisogna stare attentissimi a parlare della Cina, perché qualsiasi riferimento alla sua storia che risulta essere poco gradito potrebbe compromettere il giudizio di chi controlla.

Ma quali sono, nello specifico, i temi da non trattare? Inizialmente si parlava solo genericamente di violazioni dei principi della Costituzione o della morale pubblica. Poi le limitazioni sono diventate più specifiche: mai denigrare l’esercito o la polizia, mai rappresentare "l’omicidio, la violenza, l’orrore, i fantasmi, i demoni e il soprannaturale".

Detta così, in pratica quasi nessun film di Hollywood passerebbe il test della censura (basti pensare che anche "Kung Fu Panda" della DreamWorks Animation ha avuto problemi, perché alcuni sostenevano che denigrasse un animale considerato sacro in Cina).
Ma il business è business, anche per i cinesi. E quindi, se si prevede che un film possa sbancare al botteghino, i funzionari del partito sono disposti a chiudere un occhio.
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Negli Stati Uniti c’è chi, esagerando, sostiene che la censura cinese non sia poi così diversa dal sistema americano di valutazione dei film.
D’altronde, riuscite a immaginare un paese più liberticida di quello che permette agli adolescenti di portarsi un mitra nello zaino di scuola? Ma questa è decisamente un’altra storia.