Marco Del Corona, Corriere della Sera 15/01/2013, 15 gennaio 2013
BANANA YOSHIMOTO E L’ISPIRAZIONE «NON CERCATELA SU INTERNET»
Un’isola può essere un carcere. E un arcipelago può apparire come un carcere al quadrato o — al contrario — la sua negazione. Il Giappone non sfugge alla regola, almeno se si chiede a Banana Yoshimoto qual è oggi il suo stato d’animo: «Non posso non sentirmi bloccata, stando qui in Giappone». Il Paese che blocca la scrittrice è la terza potenza economica del mondo, pericolosamente sospesa sopra recessione e deflazione. E con equilibri interni tutti da ricomporre, dopo le elezioni che a metà dicembre hanno riconsegnato la politica, al termine di tre anni di inconcludente centrosinistra, a uno scenario che si era consolidato in oltre mezzo secolo: i conservatori del Partito liberaldemocratico sono tornati al governo, spinti da un’opinione pubblica sfiduciata. «I miei connazionali? Penso che i giapponesi desiderino che il Paese si riprenda da questa crisi lunghissima», ci risponde la scrittrice, con una secchezza che rimanda alla cifra stilistica della sua prosa.
Neppure le risorse potenzialmente infinite del web e dei social network sembrano entusiasmare Banana. O consolarla. Una freddezza, la sua, che — involontariamente ma significativamente — pare riflettere il paradosso di un Paese immerso nelle tecnologie ma dove una serie di norme risalenti al dopoguerra impedisce che una campagna elettorale si possa giocare su blog, microblog e piattaforme varie. Banana esibisce un distacco radicale. È una utilizzatrice appassionata delle nuove tecnologie? «Credo di essermi adeguata. I social network sono utili, e quando si tratta di essere in contatto con i propri lettori anche molto utili. Ma si tratta di strumenti che mi limito a impiegare e ai quali faccio ricorso solo quando ho tempo. Per questo, se mi si chiede se ho mai avuto noie con fan troppo pressanti online, rispondo che no, non ho mai avuto alcun problema».
La vita è altrove. Altrove sono anche le storie. Non sulla Rete: «Da quel lato, la Rete non serve. Nessuna ispirazione». Twitter e affini non arrivano neppure a costituire una distrazione per chi scrive creando (o crea scrivendo): «Si tratta solo di un bellissimo passatempo, per esempio quando sono sveglia in piena notte. Non produce alcun beneficio per la letteratura, però. Penso piuttosto che sia bello che le voci di scrittori come me possano essere diffuse così, in tempo reale. E tutto questo evolverà ancora: i social network diventeranno una cosa sempre più naturale».
Quasi due anni fa il Giappone, insieme con molte delle sue certezze, è stato devastato dall’effetto combinato di terremoto-tsunami-catastrofe nucleare a Fukushima. Adesso, dialogando per iscritto con il «Corriere», Banana continua a sentire il peso di un disastro epocale: «Ho l’impressione che occorrerà ancora tanto tempo al mio Paese perché possa risollevarsi, anche se riconosco che ci ha provato in molti modi». La riflessione sul nucleare, sfociata in una promessa di disimpegno da parte dell’ex premier Yoshihiko Noda che il nuovo esecutivo di Shinzo Abe invece non condivide, è ancora in corso: «Abbiamo ancora bisogno di tempo. Suppongo però che alla fine il Giappone del futuro dirà addio all’energia atomica». Lo stesso movimento antinuclearista ha assunto una visibilità mai avuta prima, con intellettuali e scrittori in primo piano (l’11 marzo dell’anno scorso, in un raduno a Koriyama, fu il premio Nobel per la letteratura Kenzaburo Oe a tenere il discorso per l’anniversario dell’incidente di Fukushima). Ebbene, sostiene Banana, «a poco a poco il movimento sta diventando più maturo. Ora ci sentiamo più informati di prima, tuttavia resta ancora tanta confusione». Se la rarefazione accompagna Banana e ne segna le parole, la politica addirittura azzittisce la scrittrice: «Mi interessa, ma in pubblico non ne so parlare. Posso dire però che è un peccato che il potere sia tornato ai liberaldemocratici». Le elezioni di un mese fa hanno anche portato a una frammentazione quasi italiana del panorama partitico nipponico, con scissioni e fusioni. Una costellazione di sigle che — a giudizio di diversi commentatori — ha prodotto un discreto grado di confusione: «D’accordo. Però, superato il caos, alla fine gli elettori hanno avuto molta più scelta, no?».
Il mare che circonda il Giappone non è esente da responsabilità circa l’umore nazionale. Dall’estate scorsa le relazioni con la Cina si sono inabissate intorno alla disputa sulle isole che Tokyo chiama Senkaku e Pechino invece Diaoyu. Per entrambi i contendenti sono «parte sacra e inalienabile della madrepatria» e tra sbarchi di attivisti, pattugliamenti in mare e sorvoli, la tensione tra Cina e Giappone è salita su un pericoloso ottovolante. Quando Banana suggerisce di aver «avuto l’impressione che il Giappone si sia mosso troppo all’improvviso» pare accennare (senza citarla) alla decisione dell’allora premier Noda che in agosto ha acquistato alcune delle isole contese dall’imprenditore che le possedeva. Lo fece per sottrarle alle mire di gruppi dell’ultranazionalismo nipponico: un’iniziativa che la Repubblica popolare non ha comunque perdonato. Rimane poco margine per l’ottimismo: «Come ho sempre pensato e temuto, in ogni caso Cina e Giappone non vanno d’accordo su niente. Sul tema specifico, però, non ho alcuna opinione».
I legami tra i due Paesi restano contraddittori: partner in affari ma divisi da rancori che risalgono all’occupazione e alla guerra e che la stessa Cina alimenta con accanimento pedagogico. Quando si gira a Banana un’obiezione diffusa («perché il Giappone non sembra aver fatto i conti fino in fondo con i crimini commessi, scusandosene davvero, come invece ha fatto la Germania?»), la sua risposta è cauta e, naturalmente, sintetica: «È una questione della quale non sono abbastanza informata. No comment. La mia impressione è che, come cittadini giapponesi, noi abbiamo spesso mostrato alle altre nazioni il nostro rammarico, il nostro pentimento». Banana guarda ancora fuori dall’isola, dunque, oltre l’arcipelago. Da lì, e non dal Giappone o dalla Rete, viene l’ispirazione: «Per me funzionano i paesaggi che incontro in giro per il mondo. Quando mi imbatto nello specifico della natura di un certo Paese non riesco a non scrivere».
Marco Del Corona