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 2013  gennaio 15 Martedì calendario

LA RETE COMMOSSA LIBERA I DOCUMENTI IN RICORDO DI SWARTZ

Mi fa paura la possibilità che Aaron sia trasformato in un martire, nel simbolo di un attivista geek ucciso dallo Stato. Perché è stato molto più di questo: amabile e imperfetto, appassionato e determinato, brillante e infinitamente stupido. Sarà facile per le folle chiedere vendetta usando il suo nome. Ma non c’è molto da ottenere nello scontro tra "noi" e "loro". Ci deve essere un’altra strada». Queste parole sono tratte dal blog della studiosa dei new media Danah Boyd. Con la lucidità che accompagna le sue analisi, Boyd — conosciuta su Twitter come @zephoria — ha messo in luce il rischio di una «guerra culturale» in nome di Aaron Swartz, il programmatore informatico e cyberattivista che si è tolto la vita venerdì. Parte della comunità di Internet sta, infatti, collegando — in una relazione di causa-effetto — il terribile gesto all’azione legale intentata dal procuratore dello Stato del Massachusetts contro Swartz, accusato di aver «rubato» circa 5 milioni di documenti pubblici dalla biblioteca digitale JSTOR del Massachusetts institute of technology (Mit). Accusa per cui l’informatico rischiava fino a 35 anni di carcere. Il Wall Street Journal ha rivelato che, pochi giorni prima del suicidio, il suo avvocato Elliott Peters avrebbe provato a convincere l’accusa a patteggiare, incontrando però parere negativo. «Rubare è rubare — aveva dichiarato il procuratore del Massachusetts Carmen Ortiz nel luglio del 2011 — sia se si utilizzi un computer o un piede di porco, sia se si prendano soldi o documenti e dati».
Su questa frase nasce la «guerra culturale» paventata da Danah Boyd: «Quando il governo federale ha deciso di perseguirlo — continua — non l’ha fatto pensando a una persona che poteva essere responsabile o meno di un reato. Ma a un esempio da dare». Il processo contro questo «brillante, divertente genio», come lo ha definito il suo mentore Lawrence Lessig, doveva forse diventare il processo-simbolo contro la comunità hacker? Dal blogger attivista Cory Doctorow al «fondatore del web» Tim Berners-Lee fino al professore della New York university Clay Shirky sono in tanti a lasciarlo intuire.
Eppure Swartz — nonostante le facili affinità con Wikileaks e la difesa postuma di Anonymous — non era un pirata informatico. Per usare le parole del filosofo digitale David Weinberger: «Era un costruttore». Non ha «sabotato» il sistema JSTOR per scaricare illegalmente i file, ma — ha spiegato Alex Stamos, capo di Artemis Internet —, ha scritto un codice che ne rendesse possibile la pubblicazione. Non l’ha fatto in un «Palazzo» opaco, ma in quello che è da sempre il laboratorio che utilizza la tecnologia per migliorare l’umanità. «Se addirittura il Mit è diventato un posto poco sicuro per le piccole canaglie che chiedono verità allora siamo messi male», ha dichiarato al New York Times l’attivista Michael McCarthy. L’imbarazzo dell’università è palpabile in queste ore: il presidente Reif ha scritto una lettera alla comunità universitaria, dichiarando l’apertura di un’indagine interna sul caso. «Mi addolora pensare — ha scritto — che il Mit abbia avuto un ruolo in questa serie di eventi terminati in tragedia». Ha ragione chi sottolinea che con le sue competenze tecniche e il suo estro, Swartz avrebbe potuto diventare un miliardario della Silicon Valley. Eppure, quando ha traslocato con Reddit nella nuova sede Condé Nast (che ha acquistato il sito di social news nel 2006), Swartz ha scritto che aveva un unico desiderio: «Chiudersi in bagno a piangere».
A Swartz non interessava il denaro, ma rendere accessibile la conoscenza. In un manifesto del 2008 scriveva: «L’informazione è potere e come tutte le forme di potere c’è chi vuole tenerla per sé». Per questo l’azione più opportuna per difendere la sua memoria è sembrata a molti ricercatori e accademici il rilascio — su Twitter attraverso l’hashtag #pdftribute — di documenti, testi e report di valore scientifico. Operazione a cui sta partecipando anche l’Italia grazie all’iniziativa del blogger Andrea Stoppa. Un gesto che sarebbe piaciuto al giovane americano. Più, forse, del tentativo di mitizzarlo: «Era troppo difficile per lui chiedere aiuto — ha detto la fidanzata Taren Stinebrickner-Kauffman — e non voleva che le sue vicende fossero di dominio pubblico». Ora lo sono.
Serena Danna