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 2013  gennaio 15 Martedì calendario

TARTAGLIA 3 ANNI DOPO TRA CURE, FOTOGRAFIE E LA PAURA DEL PASSATO —

Il ritorno sul luogo del delitto è così candidamente confessato e così costante nel tempo da non far più paura se non anzi, com’è forse giusto che sia, da rivelarsi innocente. Ogni sabato e ogni domenica Massimo Tartaglia ha il permesso di evadere dalla libertà vigilata, di salire a Milano, sulla corriera dei pendolari, e una volta qua in città di scegliere dove stare, cosa fare. Lui dice che sempre, tra la Galleria e il corso, finisce seduto ai cinema del centro, sulle poltroncine dell’Odeon o dell’Apollo è lo stesso. Ma prima ancora Tartaglia si ferma in piazza Duomo. Cammina, guarda. Va in solitaria.
La stessa piazza. Tre anni fa. Tartaglia colpiva con una statuina del Duomo Silvio Berlusconi al termine di un comizio. Sette centimetri per dieci la statuina; tre etti e mezzo di peso. Il sangue sul volto del Cavaliere. Il Massi circondato, placcato e steso come un attentatore. Che poi quello fu. Soltanto che allora e adesso ancora di più Tartaglia, 45 anni, perito elettronico, pare un ragazzo semplice, un uomo ferito al quale per vivere basta il nomignolo che anziché un’abbreviazione di comodo diventa una forma di difesa, di protezione. Il Massi di mamma e papà.
Al giudice, Tartaglia disse che gli piaceva Di Pietro; al pm, che odiava Berlusconi. Il padre Alessandro nella drammatica ricerca di un motivo e di una pudica copertura ricordò che il figlio aveva votato per il Partito democratico. Il suo avvocato Daniela Insalaco presto insistette sul ricovero, sui dolori della mente. L’angoscia di una malattia che, ammisero i genitori, non erano mai, mai riusciti a vincere. Era stato in cura, Massimo Tartaglia, e lo rimane. Forse il tempo gli regalerà l’oblio ma per intanto ancora è presente, e quanto presente, su Internet, dove lo deridono e ne fanno vigliaccamente una specie di idolo. L’antiberlusconi per antonomasia. E va da sé che il Massi, rintracciato nell’appartamento di Cesano Boscone, nell’hinterland, con una voce esitante, trascinata e timorosa da bambino in castigo ci tiene a precisare che il Cavaliere non l’ha sentito né desidera sentirlo; che con una lettera gli chiese scusa e non ha senso chiederlo di nuovo; che spera, lo dice con esitazione augurandosi di non farsi sentire, spera che il ritorno in politica di Berlusconi non crei qualche complicazione. Nel senso che «a marzo in Procura si farà il punto sulla libertà vigilata e verrà deciso se mantenerla, restringerla oppure sospenderla». Però scusi Massimo: che c’entrano i due argomenti? «Beh, se Berlusconi riprende a governare io sono quello che l’aveva attaccato... Ma stavamo parlando delle mie nuove passioni. La scultura, i viaggi, la fotografia».
Ecco, sì. Tre volte la settimana Tartaglia frequenta un centro diurno di recupero psichico. Lavora con la creta. Vanno anche in gita, col centro. Viaggi a portata, alla giusta distanza. Il Piemonte e la Val d’Aosta. Novara, Torino, il forte di Bard. E al centro diurno, che si trova verso la periferia, in zona Primaticcio, organizzano mostre. L’ultima s’intitola «Riflessi». Con la macchina fotografica, in piazza Duomo e dintorni, quand’è in anticipo sui film, inquadra e scatta. «Cerco riflessi nelle pozzanghere, sulle vetrine, alle finestre, sui lastroni delle strade. L’esito lo vedremo più avanti quando esporremo le foto». Nell’attesa il Massi dipinge (pittura a olio, stile astratto, i quadri appesi in cameretta), sperimenta l’ascolto di cd musicali (in cameretta, con le cuffie, i gruppi inglesi i preferiti), e in cameretta pensa. Pensa.
Tolti i pomeriggi a Primaticcio e il fine-settimana in piazza Duomo gli è vietato lasciare Cesano Boscone, anonima cittadina perfetta per i Tartaglia non ci fossero stati gli incidenti di percorso, i giornalisti, le televisioni. Discreti e riservati i Tartaglia; nei giorni dell’assedio fuori dal portone alla ricerca di indizi su Massimo, papà Alessandro scese di soppiatto le scale, il passo felpato, la velocità d’un ladro, nulla disse ai cronisti ma intanto aveva inserito in ciascuna buca delle lettere dei vicini un bigliettino in una busta bianca. «Comunicazione ai sigg. Condomini. La famiglia Tartaglia chiede scusa per i disagi arrecati».
Massimo Tartaglia fu accusato di lesioni pluriaggravate e venne assolto per incapacità di intendere e di volere. Andò in una comunità terapeutica e la lasciò, ottenuto il permesso dai giudici in virtù delle sue «condizioni nettamente migliorate». Vorrebbe lavorare. «Però part-time. Quattro, cinque ore al giorno. Di più non potrei, non sono pronto, lo sostiene anche il medico. Prendo psicofarmaci. Il mio percorso è lungo, molto lungo». Nonostante le distanze siano ravvicinate. Papà Alessandro ha una ditta di apparecchiature elettroniche, si chiama Al.Ta.Tek. srl, e osservate la semplicità e l’immediatezza dell’acronimo per due terzi formato dalle iniziali di nome e cognome; in passato Massimo Tartaglia era stato anche socio dell’azienda, fin quando la malattia l’aveva permesso.
L’Al.Ta.Tek srl ha sede a Corsico. Subito fuori da Cesano Boscone, oltre i confini consentiti del Massi. Però non è la geografia limitata, a frenarlo, ad allontanare. «La ditta di papà non attraversa un buon momento: con lui compreso sono in due appena sui macchinari... C’è la crisi, è tutto fermo, manca il lavoro. Ed è proprio dura».
Andrea Galli