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 2013  gennaio 13 Domenica calendario

L’AMORE SCRITTO SUI MURI

In via Montecuccoli Rossellini girò la scena madre di Roma città aperta: Anna Magnani viene uccisa dai tedeschi mentre rincorre il suo uomo appena catturato in una retata. Negli ultimi mesi la strada è stata riasfaltata. Per poche ore gli stessi sampietrini calcati dalla Magnani in corsa hanno preso un po’ di luce, un po’ d’aria; per poi venire di nuovo sotterrati dall’asfalto fresco. Intanto — in modo indipendente — davanti al portone del civico 13, su un marciapiede asfaltato con lo sfondo di due cassonetti, è apparsa una scritta: «Sei la cosa più bella che c’è! Ti amo. A + S». Ma un numero civico più in là c’è un’altra scritta della stessa mano. Recita solo: «Ti amo». E, ancora più avanti, c’è un’ulteriore scritta, stessa mano e stesso inchiostro, cancellata. Il punto è che mentre al numero 13 c’è effettivamente un condominio, con molte scale e dunque molti appartamenti, davanti alle altre scritte ci sono un parrucchiere e una bottega. È lecito pensare che la storia sia questa: preso dalla concitazione l’innamorato inizia a scrivere, poi alza gli occhi, si accorge che non è la casa dell’amata. Cancella. Ricomincia più avanti: alza gli occhi, non è nemmeno quella. Uffa. Per la fretta o per pigrizia o per altri motivi che solo lui sa, non cancella più. Passa avanti. La terza volta non sbaglia, e per l’entusiasmo verga una scritta gigante. Che lo sfondo siano due cassonetti non importa. Conta la sorpresa.
Da Pompei a New York
I graffiti compaiono per la prima volta con le pitture rupestri, mentre si scrive l’amore per strada già in epoca romana. Su alcuni muri ed edifici pubblici di Pompei, distrutta nel 79 a. C., si possono ancora leggere iscrizioni d’amore analoghe a quelle che scriveremmo oggi (con le dovute varianti, di lingua e stile). Per quanto riguarda il nostro tempo però, la moda dei murales metropolitani (a parte il famoso «Kilroy was here» diffuso tra gli Alleati negli anni 40) è nata nei tardi Sessanta e si è affermata nei Settanta prima a Filadelfia, poi a New York, quindi in tutto il mondo, e non è mai del tutto svanita. Ma cosa si scrive oggi?
Ricordo i muri dell’università, dei bagni pubblici, delle cabine telefoniche, pieni di frasi d’amore sovrapposte e mescolate con oscenità di ogni tipo. Si passava senza soluzione di continuità da un «Ale ti amo» a un numero di telefono da chiamare per millantate pratiche sessuali di ogni tipo. Dallo scherzo all’offesa alla dichiarazione, forse in passato erano più le mura interne degli edifici — vergate in corsa e spesso a penna o con l’Uniposca — che i muri esterni e le strade le pagine preferite delle scritte d’amore/di sesso. Sarà che le cabine telefoniche non esistono più, ma scritte del genere ne vedo sempre meno.
Un tempo si usavano molto gli striscioni appesi sotto i cavalcavia: da «Oggi sposi» a «Mi vuoi sposare?» fino a «Ti amo da morire!». Ne vedevo sempre almeno un paio quando viaggiavo coi miei genitori e mia sorella lungo l’Autostrada del Sole per andare in vacanza.
Ricorrono tre tipi di scritte d’amore: quelle colorate e curatissime fatte dagli artisti del murales (street art, dove conta più la forma che il contenuto), quelle vergate alla meno peggio, di solito in grande, per comunicare qualcosa all’amato/amata (qui è il messaggio a prevalere), quelle a sfondo volgare corredate dai soliti disegni sessuali (anche qui prevale il messaggio). Le fonti d’ispirazione sono le più disparate: dalle citazioni da film/libri d’amore, canzoni, aforismi e poesie, all’estro personale. Famosa la citazione su un muro nel centro storico di Polignano, nel barese: «Perduto è tutto il tempo che in amar non si spende». Da Torquato Tasso a Federico Moccia con Tre metri sopra il cielo e i suoi infiniti «Io e te», più il nome dell’amato/a, «tre metri sopra il cielo». Relative abbreviazioni («3msc» la più corta) e parodie («Io e te tre metri sotto terra», «Io e te tre metri sotto a un treno» e via sotterrando), in giro per città e autostrade. Passando per scritte ispirate a «Voglio sposare Simon Le Bon» degli anni Ottanta a «Buongiorno Principessa» davanti a una casa nel centro di Milano; da «Anna sei la più bella cosa», in verticale su un lampione nel torinese, a «In amore vince chi ama» in provincia di Milano; fino a «Lascia aperta la porta del cuore vedrai ke qualcuno e gia incerca di te», sintesi di passione per il vintage, linguaggio giovanile e sgrammaticatura su un muretto di campagna.
L’immaginario è di tipo adolescenziale e le motivazioni sono varie. Dalle richieste di matrimonio alle pubbliche scuse — e attenzione alla pubblicità subliminale. A ottobre 2012 Roma si svegliò una mattina tappezzata di manifesti che riportavano la lettera in cui un uomo chiedeva pubblicamente perdono alla sua donna: «Camilla, amore mio, ti devo chiedere scusa», iniziava la missiva. Si pensò a una trovata pubblicitaria: invece era tutto vero. Viceversa, qualche tempo fa a Los Angeles e New York apparvero cartelloni dove una donna denunciava il marito traditore: «Hi Steven, Do I have your attention now? I know all about her, your dirty, sneaky, immoral, unfaithful, poorly-endowed slimeball. Everything’s caught on tape. Your (soon-to-be-ex) Wife, Emily. P.S. I paid for this billboard from OUR joint bank account». Le foto fecero il giro del mondo, prima che si scoprisse che si trattava dello spot di un nuovo tv-show.
Il catalogo è questo
Tentando una classificazione delle scritte, ci sono quelle che accompagnano disegni sessuali e sono costituite da frasi tra l’osceno e l’offensivo («Tutte le donne italiane sono puttane» a Milano), quelle prese da film, libri, canzoni o dalla tv (oltre quelle già citate, «Debora v_ff_nc_l_ vuoi comprare una vocale???», o «My love one love» a Bologna), quelle sgrammaticate («Ge Tem», «Adio pupa tio amato», «Prova a d’amarmi», «Jessica sei l’unica ragazza che non ho mai avuto paura di dirti ti amo», «Mona mour» nel milanese), quelle artistiche, quelle che citano solo il nome della donna o dell’uomo amato, quelle semplicissime («Gio e Mia 01/10/2012», un viso stilizzato di donna con scritto accanto «Smack» a Bolzano), quelle internazionali, vergate in inglese o francese per lo più, quelle che compaiono in luoghi specifici (per esempio Ponte Milvio a Roma, o sotto la Madonnina a Milano, o nel centro di Firenze), quelle contro le donne, o contro l’amore, quelle in dialetto (bellissima l’«Amo’ me fai rosicà» raccolta, come altre citate in questo articolo, da Cristiano Armati che le colleziona da anni), quelle che includono un botta e risposta (prima scritta: «Tu, hai solo paura di amarmi!!!», scritta aggiunta in seguito, in altro colore: «No… Non ti amo»), quelle a tre o più mani (prima scritta «Te lamenti sempre ke non te scrivo sul diario. E bé penso ke ora su questo muro ti abbia fatto capire quanto ti adoro!», seconda scritta: «Ma quannoo??», terza scritta: «Sti cazzi», quarta scritta: «Cla ti amo» — il tutto su un muretto di Piazza Re di Roma), quelle ironiche («La (ri)produzione mi appaga» a Bologna, «Senza te sono come un jamaicano senza la maria» a Genova, «Scopa finché ce la fai» a Firenze), quelle sdolcinate o romantiche («Vivo solo di te, nulla avrebbe senso se non fossi qui con me» a Torino Porta Nuova), quelle politiche («Ton sexe est politique» a Parigi), quelle di confronto/scusa («Sei Mejo Te Amò» a Milano, «Ma non lo vuoi il lieto fine?» a San Mauro torinese), quelle didascaliche («Sex», sotto la finestra di un affittacamere a luci rosse a Berlino), quelle di amore filiale («Gaia cuore di papà»), quelle per gli anniversari (o, come in questo caso, addirittura per il primo mese: Prima scritta, «Un mese di noi e siamo ancora qua, eh gia», seconda scritta in giallo: «Ahah come no» — miscellanea tra augurio, citazione e botta e risposta).
Sentimenti e risentimenti
C’è chi si pente di aver scritto e semplicemente cancella, c’è chi, quando si pente, ricopre la frase d’amore con una di rabbia. C’è chi ha sbagliato posto, come il caso di via Montecuccoli. Sempre più spesso le coppie sono multietniche («Roma Est Carla + Hamdi»). C’è chi scrive frasi d’amore, e chi ci scrive sopra («Bibbi ti sto cercando Wanda 29.01.11» scritto in piccolo, cancellato da una grossa scritta «Annate a morì ammazzati tutti!!»). C’è chi unisce forma a contenuto e crea stencil con cui timbra molti muri uno dietro l’altro («Una dichiarazione d’amore non deve essere leggibile», spezzettata e stampigliata in inchiostro scolorito un po’ dappertutto in Italia). Talvolta basta il luogo scelto perché la frase, anche se solita, appaia più o meno romantica («Mariano ti amo» scritto sotto un lampione sul lungomare di Bari). A volte si tratta di veri e propri manifesti («Mujer: ni sumisa, ni devota, te quiero libre, linda y loca» frase delle Mujeres Creando, gruppo femminista boliviano). Altre volte al posto dei nomi si scrivono le tag (firme) degli amanti, per esempio dentro un cuore. Negli ultimi anni, poi, il linguaggio di sms, chat e social network si è trasferito sui muri, per cui abbondano emoticon, frasi con «k» al posto di «ch» o «x» al posto di «per», abbreviazioni come «qst» per «questo», «qlcn» per «qualcuno» o modi di dire tipici del linguaggio giovanile («Ti amo di bene» su una panchina di Noicattaro, in provincia di Bari, «T.A.D.B.» nei pressi di Parco Sempione a Milano).
Innamorati pazzi, gelosi, infuriati, impazienti, delusi, pentiti: l’unica vera differenza tra il nostro tempo e l’antichità è che oggi a scrivere sui muri sono per la maggior parte giovanissimi. Sarebbe facile spiegare un dato simile con un’analisi da quattro soldi (l’amore su un muro prevede una fiducia nell’eternità e un ardore che gli adulti non hanno più), ma credo succeda più semplicemente per qualcosa che va dalla coscienza sociale al rispetto per la proprietà pubblica, alla paura, al sentirsi fuori tempo.
Rossetto sul collo
Qualche settimana fa prendevo un caffè in un bar all’Esquilino. Il barista, un giovane uomo dai capelli molto corti, aveva una macchia di rossetto sul collo, il segno di un paio di labbra che gli era rimasto lì da chissà quale bacio. Ieri mattina sono tornata nello stesso bar. C’era lo stesso barista. Aveva lo stesso paio di labbra sul collo. Mentre lo guardavo, un avventore gli ha detto: «Hai una macchia di rossetto proprio là», l’ha indicata. «Non è una macchia», ha detto lui asciugandosi le mani sul grembiule. «Ah no?», ha fatto l’avventore. «E che cos’è?». Il ragazzo gli ha servito il caffè, ha poggiato le mani sul bancone e ha tirato su il mento: «È un tatuaggio». «Ah», ha fatto l’avventore girando il caffè. «Sono le labbra dell’ex pischella mia», e ha annuito orgoglioso.
Il tatuaggio non è che un’altra forma di scrittura pubblica, questa volta sul corpo. La differenza più importante è che il corpo è tuo, mentre i muri sono di tutti: dunque scriverci o disegnarci è illegale. Perché si scrive d’amore?
Per lo stesso motivo per cui si scrive, ma con un diverso stato d’animo. Quando scriviamo sappiamo di poter fallire a ogni parola. Quando si scrive l’amore sui muri o sul corpo, si scrive sempre il proprio amore, posseduti dalla tenace percezione che sia l’amore vero, quello che non si può estinguere («L’amore ke cé tra di noi non si può canc e qst scritta ne è la prova ti amo xk la mia vita non ha senso se con me non ci 6 te!» recita una scritta in Sardegna). Lo si fa tra lo sfrontato e l’appassionato, convinti che l’amore valga l’infrazione di qualche legge o regola di convivenza sociale. Lo si fa perché è pratica abbastanza comune, e con molta meno assunzione di responsabilità di un tatuaggio: quello, se lo vuoi dimenticare, non basta che cambi strada o ci passi un po’ di vernice su. Si scrivono frasi d’amore davanti a casa dell’amato/a, sui muri di edifici pubblici e monumenti, persino su lapidi o sotto l’insegna di un ambulatorio Avis, per odio o per amore: «Ti odio gratis», recita un murales in obliquo su una scala a Milano, un grosso fiore disegnato accanto. A Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, c’era un foglio A4 attaccato al muro con lo scotch. Diceva: «Caro ragazzo, quando vuoi dichiararti alla ragazza fallo direttamente con coraggio a voce non sui muri».
Antonella Lattanzi