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 2013  gennaio 15 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA GUERRA FRANCESE IN MALI


NUOVASOCIETA’.IT
SUSANNA GREGO
La operazioni militari del Mali non sono senza conseguenze. La popolazione civile ne risente profondamente, con migliaia di sfollati, aggressioni e violenze diffuse. Proprio questa notte la Francia ha proseguito con i raid aerei, spostandosi ora nella zona ovest del Mali e precisamente sulla città di Diabaly, che ieri era stata occupata dai ribelli islamisti.

Secondo i dati Onu, i combattimenti in Mali hanno provocato spostamenti massicci della popolazione, sia all’interno del Paese che verso i Paesi vicini. Un flusso incessante di sfollati continua a spostarsi dal Nord del Mali verso il sud del paese, in fuga dagli scontri armati, le violenze e l’insicurezza economica che imperversano da gennaio scorso nella regione dell’Azawad. «Il numero totale di sfollati interni è salito a quasi 230 mila, circa 30 mila in più rispetto al dato stimato prima dell’intervento militare» ha detto il portavoce dell’Ufficio per gli affari umanitari (Ocha) Jens Laerke.

I rifugiati che sono scappati negli Stati confinanti, invece, sono 144 mila, di cui 54 mila in Mauritania, 50 mila in Niger e quasi 39 mila in Burkina Faso. «Secondo le ultime stime, gli sfollati al 14 gennaio erano 228.918. Prima dell’intervento militare francese, il dato era di 198.588» ha detto Laerke. Il Mali aveva registrato una prima ondata di spostamenti di popolazione cominciata dopo il colpo di stato del marzo 2012 e la successiva occupazione del Nord da gruppi armati.

Nelle 5 province dell’area di Mopti, oggi tornata alla calma, Intersos interviene dall’inizio del conflitto nella regione nord dell’Azawad verificando le condizioni dei circa 41.000 sfollati stimati, raccogliendo i dati dei nuclei familiari, della loro composizione e dei loro bisogni umanitari (educazione, salute e igiene, sicurezza alimentare). «Oggi vediamo l’intervento militare nel nord del Mali ma, per chi come noi lavora da anni nei Paesi del Sahel sull’emergenze nata dai conflitti sulle risorse naturali, le minacce concrete di una destabilizzazione dell’intera regione erano evidenti - spiega Federica Biondi, responsabile Mauritania di Intersos - Si sono trascurati allarmi e richiami anche dopo la fine del conflitto in Libia, che ha fatto precipitare la crisi nel Sahel con il ritorno di migliaia di combattenti armati nella regione del nord Mali. Oggi è difficile prevedere cosa accadrà, sappiamo però che decine di migliaia di civili pagano già il prezzo più alto».
Lo scenario è ovunque quello della violenza: nella città appena liberata di Dire sono avvenuti casi di vendetta su collaborazionisti dei gruppi ribelli islamisti con lapidazioni nelle strade, ritorsioni e nuove escalation di violenza.

STEFANO CINGOLANI SU FORMICHE.NET
Che fare adesso in Mali? Un inter­vento inter­nazionale sotto l’egida dell’Onu è di inter­esse fon­da­men­tale. Ancor più per l’Europa e per l’Italia. Il con­trollo dell’uranio è essen­ziale per la sicurezza internazionale. Ma non solo. Da dove viene oggi l’onda migra­to­ria se non dal Sahel? Uomini disperati in fuga dalla nuova mis­e­ria e dal nuovo ter­rore. L’Italia è dis­tratta dalle elezioni. Ma sarà costretta a pren­dere coscienza di quel che sta accadendo.

Guerra al ter­rore o guerra per l’uranio? Guerra per conto di Obama che vuole impedire un Afghanistan africano prima di uscire dall’Afghanistan asi­atico? O un’altra avventura francese a difesa delle ultime ves­ti­gia dell’impero?

L’intervento di Hol­lande in Mali viene crit­i­cato da più parti, alla ricerca di arrière pen­sée (non pro­prio nascosti del resto) e ammaes­trati dai pas­ticci che ha provo­cato l’avventato inter­vento di Sarkozy in Libia. E molte delle polemiche sono fon­date.

Ma il pres­i­dente francese non ha alter­na­tive, anche per­ché nel Sahel si è già perso troppo tempo. La minac­cia dei nuclei qaedisti nell’Africa sub-sahariana, quella immensa striscia arida che corre tra l’Oceano Atlantico e il Mar Rosso, cova da tempo, in fondo fin dagli anni ’90. Ma è cresci­uta in modo espo­nen­ziale negli ultimi anni. A mano a mano che il ter­ror­ismo jihadista ha perso i suoi caposaldi in Medio Ori­ente e nell’Asia cen­trale il grande gioco si è spostato in Africa, con lo Yemen come retro­via e snodo transcon­ti­nen­tale. La Base ha spostato le sue basi, per dirla con un facile gioco di parole. L’obiettivo è ambizioso: creare non più un enclave per la strate­gia glob­ale del terrore, ma un nuovo impero del Mali.

Il vero impero del Mali, durato oltre mille anni dal quarto al sedices­imo sec­olo, era stato il primo grande esper­i­mento di gov­erno in un con­ti­nente da sem­pre anar­chico, diviso tra prin­ci­pati, sig­nori della guerra, capi tribù. Un po’ come l’impero Moghul nel nord dell’India. Ma senza il cemento musulmano. Al con­trario, pro­prio l’espansione dell’Islam ne ha minato le basi, prima che arrivasse il colo­nial­ismo occidentale. La posizione strate­gica come cerniera tra il nord ara­biz­zato e l’Africa nera, cris­tiano e ani­mista, trib­ale, rende il Sahel di impor­tanza fon­da­men­tale. In più si aggiunge la ric­chezza del sottosuolo.

Al con­trario dell’Afghanistan, il Nord del Mali è al cen­tro di un ter­ri­to­rio in cui ci sono immense riserve di petro­lio e di gas (Alge­ria e Nige­ria), nuovi giaci­menti che sono stati scop­erti in Niger, nello stesso Mali, in Mau­ri­ta­nia. Si trova a fianco delle mag­giori ris­erve mon­di­ali di uranio del Niger che muovono le cen­trali occi­den­tali. Su queste ha messo le mani la Fran­cia con la poten­tis­sima soci­età statale Areva. In Niger ha sem­pre fatto il bello e il cat­tivo tempo, impo­nendo una sorta di mil­i­ta­riz­zazione intrin­seca alla natura della fil­iera nucleare. In questo modo ha pro­tetto i suoi interessi, ma ha assi­cu­rato a lungo una sorta di sta­bil­ità. Il Mali, last but not least, è al cen­tro del pas­sag­gio dei clan­des­tini e della droga che ven­gono verso l’Europa.

Nel 1991, il Paese è stato in grado di roves­ciare con un colpo di Stato incru­ento il regime a par­tito unico del gen­erale Moussa Tra­oré e nom­inare pres­i­dente, nelle prime elezioni libere, l’archeologo Alpha Oumar Konaré. Il Mali ha conosci­uto una certa aper­tura e forme di democrazia interna reale: patto nazionale tra Gov­erno e i movi­menti dell’Azawad, un mil­ione e 500 mila per­sone nomadi, i Tuareg, nell’aprile 1992; lib­ertà di stampa, sviluppo del tur­ismo e inves­ti­menti stranieri.

Tutti progressi che sono stati con­sol­i­dati dall’elezione di Amadou Toumani Touré, ex gen­erale e protagonista del cam­bio di regime. Con gli anni, anche Touré si è riv­e­lato un auto­crate che ha favorito la cor­ruzione, e ha incanalato delle risorse verso la cap­i­tale che assorbe il 90% di abi­tanti a danno delle regioni del nord. Ciò ha aperto la porta ai gruppi jihadisti di matrice qaedista nel Sahel. Dopo aver ottenuto la lib­er­azione di 32 occi­den­tali rapiti in Alge­ria nel 2003, Touré si era con­vinto di avere acquisito un ruolo fon­da­men­tale nei con­tatti con Aqim. E fino al 2010 anche grazie al sup­porto, in ter­mini di mezzi e uomini, da parte degli Stati Uniti e della Fran­cia, era sembrato un balu­ardo nella “lotta al terrorismo”.

Ma l’equilibrio si è rotto e il con­trollo del ter­ri­to­rio è col­las­sato con la guerra libica. Scrive Alberto Negri sul Sole 24 Ore: “Già si sapeva che la caduta di Gheddafi avrebbe spro­fondato le fron­tiere di mille chilometri: il Colonello era il guardiano del Sahel dove teneva a bada alleati e avver­sari. Fu per questo motivo che l’Algeria si oppose all’attacco con­tro il regime di Tripoli temendo un’avanzata degli islam­ici sotto il Sahara, come è pun­tual­mente avvenuto in Mali dove le milizie di Al Qaida del Maghreb (Aqmi) sono gui­date dall’algerino Belmokhtar detto il Guer­cio, una sorta di Mul­lah Omar del deserto, e Ansar Eddine risponde a Iyad Ghaly, un tuareg rig­orosa­mente islamiz­zato dopo essere stato diplo­matico in Ara­bia Sau­dita. Due terzi del Mali del Nord sono stati tale­ban­iz­zati, la mit­ica Tim­buctù viene dev­as­tata e le milizie impon­gono la legge islam­ica”. Nel novem­bre 2011, a meno di un mese dalla caduta di Gheddafi, il gruppo “Tuareg per la lib­er­azione dell’Azawad”, insieme a tutte le orga­niz­zazioni indipen­den­tiste della Regione – ”Movi­mento Nazionale Aza­wad”, “Movi­mento Popo­lare per la Lib­er­azione dell’ Aza­wad”- forte di oltre 8 mila com­bat­tenti e rin­forzato dai tuareg arruo­lati nell’esercito libico e rien­trati – si parla di 2–3 mila uomini, adde­strati e dotati di con­sid­erev­ole arma­mento – ha ripro­posto al gov­erno la richi­esta di indipen­denza del Nord, dichiaran­dosi pronto alla lotta armata. Il con­flitto, dila­gato in tutto il Nord, ha mostrato un esercito demo­ti­vato, nonos­tante la for­ni­tura di armi e adde­stra­mento da parte degli Usa, e inca­pace di contenere gli assalti dei tuareg. Stesso esercito che oggi dovrebbe dare sostanza all’intervento francese.

In questa situ­azione nasce il colpo di stato di marzo 2012, guidato dal cap­i­tano Amadou Sanogo che annun­cia l’insediamento del “Comi­tato Nazionale per il Risana­mento della Democra­zie e la Restau­razione dello Stato” e promette di resti­tuire il potere ai civili al ter­mine dell’emergenza. Il Paese si spacca in due. Si forma un’alleanza mil­itare dell’Mnla con for­mazioni jihadiste vicine ad Aqim, come “Ansar Dine”, Difesa dell’Islam. L’organizzazione armata è gui­data dal leader tuareg Iyad Ag Ghaly, già con­sole maliano in Ara­bia Sau­dita, e il gruppo Mujao, inse­di­ato a Gao, che hanno favorito l’avanzata dei ribelli. Il cen­tro di Tim­buctù è con­quis­tato da “Ansar Dine”, l’aeroporto dall’Mnla, men­tre la città diventa sede del quartier gen­erale di Aquim. A Bamako, nella base abban­do­nata dall’Esercito si installa la “Brigata Faruk”.

“Al Qaida in the Islamic Maghreb” con­trolla mil­i­tar­mente gran parte del ter­ri­to­rio gra­zie a tre coman­danti algerini: Abu Zaid, Mokhtar Belmokhtar e Yahya Abu al Ham­man. La dichiarazione di “Indipen­denza da Mali per uno Stato basato su una Cos­ti­tuzione demo­c­ra­t­ica” aggrava uno sce­nario già com­p­lesso: la Comu­nità inter­nazionale, primi fra tutti Fran­cia e Unione Africana, la ritiene nulla. Le milizie islamiste dichiarano che inten­dono esercitare la sharia nelle città con­quis­tate. I mil­i­tari golpisti invo­cano l’aiuto inter­nazionale. Gli stessi tuareg, nomadi abit­uati a vivere attra­verso le frontiere di Mali, Niger, Alge­ria, Libia e Burk­ina Faso si impeg­nano a rispettare i con­fini degli Stati, ma la Comu­nità Inter­nazionale non ci crede.

Lo scon­tro non è soltanto politico ma anche reli­gioso. A Tim­buctù ven­gono dis­sacrate impor­tanti moschee e mau­solei dove si prat­ica il culto dei santi della dot­t­rina sufi, ritenuta “empia” dai jihadisti, fino a scon­fig­gere – con l’aiuto di Aqim – i tuareg dell’Mnla ad Ansogo, a pochi chilometri da Gao, costrin­gen­doli ad abban­donare defin­i­ti­va­mente il ter­ri­to­rio dell’Azawad. Su invito del “Con­siglio per la Sicurezza e la Pace” riu­nito a luglio dall’Unione Africana ad Addis Abeba, si cerca di ottenere l’invio di una Forza mil­itare inter­nazionale per fron­teggiare i qaedisti ed evitare il loro radica­mento nel nord. La situ­azione del Mali e dei Paesi vicini spinge lo stesso pres­i­dente a chiedere l’intervento dell’Onu.

Oggi questa esca­la­tion arriva al cul­mine e diventa guerra aperta, des­ti­nata ad espan­dersi. Lon­dra ha deciso di dare alla Fran­cia sostengo logis­tico. Parigi ha chiesto a Wash­ing­ton mezzi mil­i­tari e soprat­tutto i droni, l’arma letale che Obama ha trasfor­mato nello stru­mento della sua dot­t­rina mil­itare. Ma tutto questo appare sem­pre più la con­seguenza del fatto che l’operazione in Libia è stata un coitus inter­rup­tus. Caduto Gheddafi bisog­nava tenere alla larga i jihadisti e trovare un nuovo sis­tema per garan­tire sicurezza e un certo grado di sta­bil­ità. Invece si è detto mis­sione com­pi­uta nella com­pren­si­bile voglia di uscire da un ter­ri­bile pan­tano, che copriva un’incomprensibile resa alla nuova onda di caos.

Che fare adesso? Un inter­vento inter­nazionale sotto l’egida dell’Onu è di inter­esse fon­da­men­tale. Ancor più per l’Europa e per l’Italia. Il con­trollo dell’uranio è essen­ziale per la sicurezza internazionale. Ma non solo. Da dove viene oggi l’onda migra­to­ria se non dal Sahel? Uomini disperati in fuga dalla nuova mis­e­ria e dal nuovo ter­rore. L’Italia è dis­tratta dalle elezioni. Ma sarà costretta a pren­dere coscienza di quel che sta accadendo.

(sintesi di un’analisi più ampia che si può leggere su www.cingolo.it)

ANSA.IT
PARIGI - I militari francesi lasceranno il Mali solo quando ci saranno "autorità legittime", un "processo elettorale" e la "minaccia" dei ribelli sarà finita: lo ha detto il presidente francese, Francois Hollande, nel corso di un intervento da Dubai trasmesso dalle tv francesi.

L’esercito francese ha condotto raid aerei sulla città di Diabaly (ovest del Mali) che era stata occupata dai ribelli islamisti. Lo riferiscono fonti della Sicurezza maliana. "Raid aerei (francesi) sono stati condotti sulla zona di Diabaly: almeno cinque islamisti sono stati uccisi e numerosi altri sono rimasti feriti", ha detto la fonte. Un abitante di una località vicina ha raccontato di aver visto islamisti armati in fuga dopo i raid.

Francia in stato di allerta per il rischio di attentati dovuti all’intervento militare francese in Mali, con il rafforzamento della sorveglianza nelle strutture militari, nelle sedi diplomatiche, ma anche nei luoghi più simbolici del Paese, come la Tour Eiffel o la vasta rete metropolitana di Parigi. In particolare, davanti alla minaccia terroristica, le autorità transalpine hanno chiesto di rafforzare il livello di allerta del piano Vigipirate, passando dal livello rosso (attivo dagli attentati di Londra del 2005) al livello ’rosso rafforzato’, il penultimo prima del massimo livello rischio (’scarlattò).
Intervistato dal quotidiano Le Parisien, il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ha detto che la situazione in Mali "può incitare individui o gruppi a perpetrare attentati, in Francia o all’estero". "In Francia la minaccia è reale", gli ha fatto eco il direttore generale della Polizia Nazionale (DGPN), Claude Baland. Il piano Vigipirate è un dispositivo di sicurezza che ha l’obiettivo di prevenire la minaccia o di reagire di fronte ad azioni terroristiche. Creato nel 1978, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, in un periodo in cui l’Europa veniva colpita da un’ondata di attentati, è stato rinnovato tre volte, nel luglio 1995, giugno 2000, marzo 2003. In una nota interna, la DGPN ricorda la necessità di rafforzare alcuni dispositivi volti alla sorveglianza dei trasporti terrestri e aerei e alla protezione dei siti più a rischio, caserme e basi militari, ma anche luoghi di culto, sedi diplomatiche, monumenti o luoghi di grande frequentazione, come la manifestazione di ieri a Parigi contro il progetto di legge sul matrimonio gay, nella spianata del Champ de Mars, sotto alla Tour Eiffel.
"Le misure di sicurezza e di protezione degli edifici, in particolare delle rappresentanze diplomatiche e consolari, dovranno essere estese agli Usa, al Regno Unito, allo Stato di Israele, e a tutti quei Paesi che possono fornire o hanno fornito il loro sostegno all’intervento militare francese" in Mali, si legge ancora nella nota. Il livello "rosso rafforzato" del piano Vigipirate scatta generalmente durante periodi particolarmente sensibili, come le feste di fine anno. Il dispositivo Vigipirate era al livello ’rosso’ dagli attentati di Londra del 2005. Per la prima volta, é passato brevemente al livello ’scarlatto’ lo scorso marzo, durante gli attacchi del fondamentalista islamico, Mohamed Merah, a Tolosa e Montauban.