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 2013  gennaio 15 Martedì calendario

LA PESANTE EREDITÀ DI GEITHNER


Il dato di fondo del team economico di Barack Obama è la continuità, dal novembre 2008 ad oggi. Tutti o quasi clintoniani, promossi, osserva il New York Times, con notevole regolarità e sincronia. Uomo di Clinton, attraverso Bob Rubin, il ministro del Tesoro uscente, Tim Geithner, e uomo di Clinton il suo successore Jacob Lew, dall’inizio in ruoli importanti e poi importantissimi con Obama. Lew deve gestire ora le conseguenze sul bilancio federale delle scelte, in parte certo inevitabili, fatte da Geithner nei primi mesi della crisi finanziaria, quando ancora era governatore della cruciale Fed di New York, e confermate nei primi mesi convulsi della sua gestione del Tesoro, all’inizio 2009, quando era ancora possibile adottare soluzioni in parte diverse. Scelte che hanno attribuito al bilancio pubblico, e ai risparmiatori (le famiglie sono ancora sotto di 3mila miliardi sul 2006, ultimo anno "sano"), il peso pressoché totale del risanamento finanziario.
È un peso ormai insopportabile per la stabilità finanziaria del paese e dell’intero sistema globale. Non si può, e qui l’Europa insegna qualcosa, avere ancora per molto tempo la nazione leader che si indebita (con la Federal Reserve soprattutto nel ruolo di creditore) di 100 miliardi di dollari al mese. Gli accordi di capodanno sul fiscal cliff, da cui ora Lew deve ripartire, sono tutti in tre cifre: 15 miliardi di spesa in meno e 60 miliardi di tasse in più su un deficit che anche nell’anno fiscale 2013 sarà nell’ordine dei mille miliardi di dollari. Un solletico.
L’azione di Geithner è stata per vari aspetti positiva, ad esempio la ricapitalizzazione a marce forzate delle banche americane. E c’è poco alla fine da discutere su quanto fatto dal Geithner banchiere centrale nelle ultime settimane del governo Bush: la casa bruciava, e basta. Ma il principio fondamentale che lo ha ispirato da ministro ha sempre sollevato vari dubbi. Geithner lo riassumeva al meglio in un’intervista del febbraio 2011, quando diceva che le grandi banche andavano salvate nella loro interezza, e di fatto ricostituita (se possibile) la Wall Street pre-crisi, perché il mondo era alla vigilia di un nuovo financial deepening, di un nuovo aumento del ruolo della finanza, grazie a nuovi protagonisti come Cina India e Brasile, dove la finanza di Manhattan doveva svolgere un ruolo leader. Era stata questa la linea ispiratrice dei due mentori di Geithner, Bob Rubin e Lawrence Summers, e che aveva portato a una ipertrofia finanziaria e a un’inevitabile sottovalutazione del manifatturiero. "Lascia semplicemente di stucco", dichiarava sul financial deepening l’ex capo economista del Fondo monetario, Simon Johnson. Dal 2009 infatti è in atto, un po’ ovunque, un ridimensionamento della finanza ipertrofica.
Inspiegabilmente, Geithner sostiene poi, dal 2010, che salvare il sistema finanziario è costato pochissimo, meno dell’1% del Pil, e meno di quanto costò la crisi della piccole casse locali degli anni 80. Per poterlo dire, e lo stesso Obama lo ha ripetuto un paio di volte, occorre che si prendano però i soli costi, in parte notevole restituiti dalle banche, della Tarp, la legge di salvataggio del sistema dell’ottobre 2008. Ma c’è molto altro, uscito dalle casse del Tesoro e soprattutto della Fed. E alla fine lo stato delle finanze federali, metro più credibile hanno sempre sostenuto Simon Johnson e altri, dello sforzo sostenuto, sta a dimostrarlo. Sono calcoli complessi, ma se si sommano le perdite delle casse pubbliche e private, si arriva a costi simili a quelli sostenuti per la Seconda guerra mondiale, oltre 3 mila miliardi di oggi.
Chi volesse un efficace ed autorevole giudizio, sintetico e critico, potrebbe rivedersi l’intervista concessa a Bill Moyers da John Reed, ex co-presidente di Citigroup fino al 2000, oggi presidente del Mit di Boston (mettere bill moyers john reed youtube su Google, esiste anche il transcript, o testo scritto). Vale un volume su Wall Street e Washington.
Sheila Bair, ex presidente della Fdic, uno dei maggiori enti federali di controllo bancario, e personaggio di incontestabile prestigio, nel suo libro di memorie sugli anni 2006-2011 (Bull by the horns. Fighting to save Main Street from Wall Street and Wall Street from itself), attribuisce a Geithner due responsabilità. La prima è di avere portato al Tesoro la logica e gli interessi di Wall Street, identificati erroneamente con gli interessi del paese. E dice che quando seppe della volontà di Obama di nominarlo ministro, fu "un pugno allo stomaco". Lei e altri si battevano per un incarico all’anziano Paul Volcker. La seconda responsabilità è, secondo la Bair, di avere adottato il modello giapponese, coprire cioè il più possibile perdite e responsabilità con il manto e la casse pubblici, lasciare troppi banchieri al loro posto, infliggere multe ma nessun procedimento penale (furono circa 800 invece dopo la crisi degli anni 80), e chiedere al paese e non, almeno in parte, agli obbligazionisti, di saldare il conto. Del resto, che conto se la spesa alla fine è stata così piccola?
Riavviare l’equilibrio in un debito federale che Geithner trovò a meno di 11 mila miliardi e lascia a oltre 16mila - il vero prezzo della crisi - è ora compito di Jacob Lew. L’assetto del sistema poteva cambiare nei primi mesi del 2009, quando i banchieri erano terrorizzati, e come Volcker avrebbe fatto. Geithner ha scelto diversamente. Le nuove regole, la legge Dodd-Frank, ci sono o ci saranno, complesse, spesso inefficaci, e in gran parte scritte da Wall Street stessa. In Europa, tutto sommato, si è fatto e si sta facendo di meglio, nonostante tutto. Il lavoro per il financial deepening è eseguito. Ora, con le casse federali provate e ansimanti, tocca al paese raccogliere, con Lew, l’eredità.
mmargiocco@gmail.com