Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 15/1/2013, 15 gennaio 2013
RISCHIO CORREZIONE DI 7 MILIARDI
Ricognizione preliminare, una sorta di «due diligence», non appena insediato il nuovo governo, per fare il punto sullo stato reale dei conti pubblici. Check indispensabile, di fatto il primo passo verso il nuovo «Documento di economia e finanza», con annesso l’aggiornamento del quadro macroeconomico e il «Programma nazionale di riforma», da presentare a Bruxelles entro metà aprile. In caso di scostamento rispetto agli obiettivi concordati, primo tra tutti il pareggio di bilancio in termini strutturali a partire dall’anno in corso, occorrerà mettere mano a una nuova manovra correttiva. Eventualità tutt’altro che scongiurata, soprattutto se il rallentamento dell’economia si mostrerà più marcato rispetto al quadro delineato lo scorso settembre dal governo Monti: dopo la caduta del Pil nel 2012 (-2,4%), si prospetta un più contenuto -0,2%, ma lo scenario è in evoluzione. Una contrazione pari all’1% renderebbe necessaria un intervento da 7-8 miliardi. Dipenderà dall’andamento del ciclo internazionale e dall’evoluzione delle variabili di finanza pubblica. L’auspicata stabilizzazione dello spread sotto quota 250 punti base potrebbe consentire di risparmiare 10 miliardi nel biennio 2013-2014. L’altra mission è evitare l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% dal prossimo 1° luglio, che imporrà di individuare risorse compensative per altri 4 miliardi.
Le variabili in gioco sono molteplici, dunque è esercizio complesso ipotizzare fin d’ora quale sarà il punto di approdo. Di certo, occorrerà fare i conti con i vincoli imposti dal «fiscal compact»: stabilizzare il pareggio di bilancio, mantenere l’avanzo primario tra il 4 e il 5% del Pil, ridurre il debito operando sia sullo stock che sul denominatore (la crescita) aprendo al tempo stesso la strada all’auspicato taglio delle tasse.
L’impegno è a ridurre il nostro pesante passivo a un «ritmo soddisfacente», mediamente di un ventesimo l’anno per la parte che ecceda il limite massimo del 60% del Pil, mantenendo una posizione di pareggio strutturale sul fronte del disavanzo (non oltre lo 0,5% del Pil). Se si accertano deviazioni dal percorso, vanno introdotti meccanismi di correzione automatica, parzialmente mitigati dalla riconosciuta presenza di alcuni «fattori rilevanti»: tra questi l’impatto delle riforme strutturali, la consistenza dell’attivo patrimoniale e del risparmio privato. Poiché il nostro debito pubblico ha toccato l’astronomico livello del 126,4% (tenendo conto anche di tre punti destinati agli aiuti internazionali), sulla carta dovremmo operare consistenti riduzioni. Stando alla «Nota di aggiornamento del Def» del settembre 2012, nel 2013 dovremmo attestarsi al 126,1%, nel 2014 al 123,1%, nel 2015 al 119,1 per cento. Scenario che sconta il permanere quest’anno del segno meno per quel che riguarda la crescita dell’economia (-0,2%), mentre solo nel 2014 si conseguirebbe un +1,1 per cento. L’avanzo primario, in aumento fino al 4,8% nel 2015, garantirebbe una riduzione dell’indebitamento netto dal 2,6% nel 2012 all’1,8 nel 2013 e all’1,3 nel 2015 e il conseguimento di un sostanziale pareggio di bilancio in termini strutturali già dal 2013. Il tutto in presenza di dismissioni pari allo 0,6% del Pil nel 2012 e all’1% l’anno nel triennio 2013-15.
L’imperativo categorico è provare a forzare sul fronte della crescita, operando sul denominatore. Potrebbe sostenerci la ripresa del ciclo internazionale. Di certo, accanto al pareggio di bilancio e a un consistente avanzo primario, è la strada per evitare manovre draconiane di rientro. Se queste condizioni venissero rispettate, tenendo fermo il livello attuale del debito, basterebbe che il Pil nominale crescesse del 2,5 per cento. Le simulazioni della Banca d’Italia mostrano che il pareggio di bilancio «assicurerebbe una riduzione apprezzabile del rapporto debito-Pil anche qualora i rendimenti all’emissione registrassero una dinamica significativamente meno favorevole di quella attesa».
La questione si complica se, come paventato dalla Commissione europea e dall’Ocse, il pareggio di bilancio (o il target dell’avanzo primario) non verrà rispettato anche nel 2014 e negli anni a venire. Oltre all’incognita crescita, rischi potenziali emergerebbero laddove l’andamento della spesa corrente primaria risultasse fuori linea del Pil, e se si registrassero scostamenti significativi dal lato delle entrate.