Cristina Tognaccini, Linkiesta 15/1/2013, 15 gennaio 2013
«GLI EBREI SONO UNA RAZZA»: LE NUOVE TEORIE GENETICHE CHE FANNO DISCUTERE ISRAELE
Oppenheimer, Einstein, Freud, Marx, Kafka, Bellow, Levi-Strauss, Allen e Dylan. Grandi personaggi dotati di un’intelligenza fuori dal comune. Tutti di origine ebraica. Un caso? Secondo alcuni ricercatori negli Stati Uniti e in Israle, no. Da anni cercano di trovare una radice comune nel Dna del popolo ebraico, e c’è addirittura chi pensa che le straordinarie doti professionali e sociali di queste personalità siano attribuibili alla biologia: chi discende da una famiglia ebraica sarebbe destinato a fare grandi cose nella vita. Un’ipotesi scientifica che, seppur rovesciata ed elogiativa, rimanda con un brivido allo spettro delle teorie razziali.
Qualche anno fa un’analisi genomica svolta presso il Nyu Langone Medical Center di New York, affermava che i diversi gruppi di ebrei, nonostante la diaspora e l’incrocio con popoli differenti, avessero mantenuto non solo le tradizioni culturali e religiose, ma anche numerose sequenze di Dna comuni. E Secondo Harry Ostrer, genetista e professore presso l’Albert Einstein College of Medicine di New York, autore della ricerca e del libro intitolato, Eredità, storia genetica del popolo ebraico, «ricchezza, privilegi, educazione non sono sufficienti per spiegare che molti ebrei siano destinati a diventare avvocati eccezionali o fisici». Una sorta di determinismo biologico insomma.
Gli antenati influenzano il nostro comportamento, anche se non li abbiamo mai conosciuti e non sappiamo neppure chi siano e cosa facessero. E lo fanno grazie all’eredità genetica che si tramanda di generazione in generazione. La biologia ha quindi un peso considerevole per la storia ebraica, come viene spiegato nel libro di Harry Ostrer. Tesi che ritroviamo anche in quello di Raphael Falk, uno dei genetisti più importanti di Israele, Il sionismo e la biologia degli ebrei, ma a cui egli dà un senso diverso.
Entrambi gli studiosi hanno cercato di ricostruire la storia ebraica attraverso studi sul Dna, spinti dalla necessità di trovare un tratto comune del popolo ebraico e individuarne la diffusione attuale nel mondo. L’hanno fatto non seguendo la genetica ordinaria, per cui già dopo due generazioni è probabile che una persona non manifesti nessuno dei tratti distintivi dei suoi antenati, ma tramite l’analisi del cromosoma Y e dei ribosomi. Il cromosoma Y, che si tramanda solo dal padre al figlio maschio, è portatore di pochissimi geni, e in linea di massima, il suo unico scopo è quello di determinare il sesso di un individuo. Così le poche variazioni presenti all’interno di questo gene, possono essere usate per ricostruire la storia dei nostri antenati.
Esaminando il Dna del cromosoma Y di un gruppo di maschi appartenenti a un gruppo etnico e confrontandolo con quello dei cromosomi Y di altre popolazioni, è possibile capire qual è il contributo delle altre etnie su quella in esame. In particolare si riesce a capire in quale proporzione il cromosoma Y, in una data popolazione, deriva da gruppi di interesse storico. Ad esempio, possiamo stabilire quanto i mercanti arabi di schiavi abbiano contributo geneticamente alle attuali popolazioni nere del Sud-Est Africa, se i cromosomi Y degli arabi contengono una particolare sequenza di Dna rara o assente altrove, ma insolitamente frequente tra gli attuali abitanti africani della Tanzania.
L’altra eccezione, che non segue la strada dell’eredità genetica casuale, sono i ribosomi. Piccole strutture cellulari che contengono l’Rna, coinvolti nella sintesi delle proteine. Sebbene entrambi i generi ne siano provvisti, vengono ereditati solo grazie all’incorporazione nelle cellule uovo materne. I ribosomi quindi portano con sé uno stock d’informazioni genetiche materne, senza subire la contaminazione della componente paterna.
I risultati ottenuti, sono stati però utilizzati in maniera differente dai due genetisti. Falk, infatti, considera la biologia un collante, uno strumento in grado di definire gli ebrei come un popolo, un insieme di persone legate biologicamente. «La ricerca biologica è uno strumento utile per dimostrare e confermare i legami tra gli ebrei attuali e la terra che da secoli, in modo inequivocabile, è la colla dei loro legami socio-culturali». Motivazione che rimanda, per lo scienziato, al tema tutto politico del sionismo, con la rivendicazione di un Stato nazionale.
Ostrer, invece, parla di “orgoglio di stirpe”: «Avere 3000 anni di patrimonio genetico può essere una fonte d’identità, e di orgoglio, come lo è avere una storia condivisa, la cultura e la religione». E sebbene questa sia una teoria che suona pericolosa, i collegamenti genetici sono per Ostrer – come spiega in questo articolo su Haaretz – la prova che gli ebrei sono una razza e che la base biologica dell’ebraicità non può essere ignorata. Sempre secondo Ostrer, anche i successi professionali e intellettuali possono essere spiegati su base biologica. Sono già scritti nel loro Dna.
Non viene però fornita alcuna evidenza scientifica sul fatto che esista un “gene della creatività” o “gene dell’intelligenza” e che le qualità intellettuali caratteristiche di molti ebrei, derivino da “geni ebraici”. Non sappiamo nulla sulle variazioni genetiche delle capacità cognitive cerebrali, che non siano legate a patologie, anche perché richiederebbero studi molto complicati. Ma non è detto che non saranno affrontati in futuro per cercare di capire perché gli ebrei abbiano un Quoziente intellettivo medio così elevato e perché, sebbene costituiscano meno del 3% della popolazione, abbiano vinto il 25% dei Premi Nobel assegnati a scienziati americani dal 1950.