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 2013  gennaio 13 Domenica calendario

HA INVENTATO UNA PIANTA CHE PUÒ RISANARE L’ITALIA

[«Sempreverde, cresce ovunque e senz’acqua: bovini e ovini ne vanno pazzi L’Usaid e le multinazionali la vorrebbero, ma io la cedo solo a Berlusconi»] –
Se Silvio Sanna giura d’aver trovato la pa­nacea che in un colpo solo può sconfiggere la di­soccupazione, svi­luppare l’alleva­mento e l’agricol­tura, frenare lo spopolamento rurale e montano, combattere il dissesto idro­geologico del territorio e aumentare il Prodotto interno lordo, bisogna cre­dergli sulla parola. Non tanto per ri­spetto alla divisa da carabiniere che in­dossò per un trentennio, quanto piut­tosto perché è riuscito a dimostrare nei fatti le sue teorie con una varietà vegetale che prima non esisteva, una pian­ta di sua invenzione, un prodigio della natura riconosciuto come «degno di nota» dal direttore generale della Ricer­ca della Commissione europea («per la ricaduta positiva che l’adozione su larga scala di questa coltura potrebbe avere sulla zootecnia», si legge nella let­tera giunta da Bruxelles), già registrato dal ministero delle Politiche agricole e in procinto di ricevere il brevetto da quello dello Sviluppo economico.
Sanna sta per compiere 85 anni e non ha tempo da perdere. «Sono sol­tanto un misero disertore della zappa che soffre di “italianismo”. Vorrei tan­to che il frutto di un lavoro solitario du­rato dal 1985 a oggi venisse goduto da tutti i miei connazionali. Perciò cerco un imprenditore che abbia senso de­gli affari, capacità d’innovare, esperienza politica e amore per la botani­ca. In una parola, Silvio Berlusconi, presidente operaio e giardiniere. Se prenderà in mano lui la mia creatura, sono sicuro che egli passerà alla storia più che come premier».
Si chiama Ruminosa florida . È una sempreverde perenne, inattaccabile dai parassiti, che prospera per dispet­to sia in pianura che in montagna, a qualsiasi latitudine e su tutti i terreni, persino su quelli rocciosi. Non ha mai bisogno d’essere irrigata.D’estate res­i­ste alla siccità e alle temperature di 40 e passa gradi.D’inverno non soffre nep­pure quando il termometro scende fi­no a meno 8. Mucche, vitelli, pecore, capre, cavalli e asini vanno pazzi per le sue foglie e i suoi baccel­li, che ricrescono ogni tre mesi più rigogliosi di pri­ma. Oltre a essere com­mestibile tutto l’anno, ha un valore nutrizionale sbalorditivo, con un’energia lorda del 35% contro il 23% dell’erba medica di buona quali­tà. Dove non ci sono ani­mali al pascolo, in due an­ni raggi­unge i 5 metri d’altezza e diventa un albero ornamentale di straordinaria bellezza, con una fronda di 4 me­tri di diametro e­fiori bianchi che d’esta­te sprigionano un profumo intenso e la fanno assomigliare a una palla di neve.
Per arrivare a questo risultato, San­na ha lasciato l’Arma dei carabinieri a 50 anni e ha cominciato a battere Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Messico, Guatemala, Grecia, Turchia, Romania, Inghilterra, Francia, Spa­gna, Portogallo, Tunisia, Marocco e Isole Canarie in cerca di sementi e ta­lee. Poi ha compiuto infiniti esperi­menti su oltre 130 varietà vegetali importate da questi Paesi e messe a dimo­ra nella sua tenuta di Capoterra, vici­no a Cagliari. Alla fine s’è concentrato su tre specie di Chamaecytisuspalmen­sis , due trovate in Oceania e una sulla costa atlantica del Marocco, dove vie­ne chiamata Tagasaste . Gli anni successivi lo hanno visto impegnato con alacrità certosina in centinaia di incro­ci e innesti, fino a creare la Ruminosa florida . «Vorrei ricordare che la produ­zione agricola e la zootecnia concorro­no a formare il 50% del Pil e che l’impor­tazione delle carni rappresenta la seconda voce di passivo della nostra bilancia commerciale dopo il petrolio. Il mio ritrovato è in grado di rivoluziona­re questo Paese», garantisce Sanna.
Se la previsione sia azzardata oppu­re no dovrebbe giudicarlo- fosse anco­ra al mondo - sua nonna, Rosa Serra, che era nata nel 1858 e passò la vita a tes­sere tappeti d’orbace, avvolta nel co­stume nuragico. Per voce popolare la vegliarda discendeva dai Giudici di Arborea, sovra­ni di Sardegna nel Medio­evo, e manifestava doti di chiaroveggenza. Agli ini­zi del Novecento le sue ore trascorse al telaio co­minciarono a essere scan­dite da una misteriosa lita­nia­«In s’annu coranta, / ascutai su chi nanta: / In su corantunu /no s’agatà prù nisciunu» - che sol­tanto nel 1941 poté essere decifrata come una tragi­ca profezia dei lutti arrecati dalla secon­da guerra mondiale: «Nell’anno ’40, ascoltate ciò che dicono: nel ’41 non si trova più nessuno». E infatti fu nel lu­glio 1941 che 220.000 soldati italiani co­minciarono a partire per la Russia: ne sarebbero tornati a casa la metà.
Sta di fatto che da quando Sanna ha presentato la richiesta di brevetto per la Ruminosa florida , è inseguito dalle multinazionali sementiere, quelle del calibro di Monsanto, Dupont e Syn­genta, per capirci. «Un gruppo con se­de a Londra mi ha fatto una proposta a molti zeri affinché ceda il brevetto. Ma io non voglio che la mia pianta finisca in mani straniere. Non ho bisogno di soldi. Possiedo una casa e altre proprie­tà, riscuoto addirittura due pensioni, una dell’Inps e una dell’Arma, più che sufficienti per me e mia moglie. I nostri tre figli di 53, 52 e 48 anni hanno altri in­teressi e non possono occuparsi della Ruminosa florida . Perciò cerco qualcu­no cui lasciare questo patrimonio di conoscenza affinché lo sviluppi su sca­la nazionale per il bene dell’Italia».
Com’è diventato botanico?
«Per necessità. Avevo un allevamento di 1.200 maiali, che dovetti abbattere a causa della peste suina africana. Re­stai disoccupato. Allora comprai 500 pecore. Dopo tre anni, mi accorsi che spendevo 96.000 euro per produrre lat­te e carne, incassandone solo 83.000. Questo perché nei terreni aridi l’erba verde poteva essere pascolata solo a partire da dicembre, e a patto che aves­se piovuto a ottobre, ma nei mesi fred­di aveva una crescita limitata. A mag­gio era già secca. Il ciclo diventava trop­po breve. Irrigarla d’estate comporta­va costi esorbitanti. M’improvvisai ri­cercatore. Mi serviva una specie vege­tale che si adattasse alla pastorizia».
Ma non era carabiniere?
«Lo sono stato per un periodo della mia vita e ho pure avuto una promozio­ne per aver salvato a nuoto una donna di 25 anni che a Bari, dopo una visita dal ginecologo,s’era gettata nell’Adria­tico in burrasca perché non poteva ave­re figli. Ma io nasco bracciante. Aiuta­vo mio padre a zappare i campi. La sera la mamma mi ungeva le mani col sego, tanto erano tumide, e io piangevo di na­scosto per il dolore. A 16 anni fui assun­to come garzone da un venditore di car­bone, però ben presto mi licenziai per sottrarmi allo sfruttamento sessuale».
La insidiava?
«Non lui. Sua moglie Iolanda, una cin­quantenne insoddisfatta. La sorella Luisa, una sessantenne zitella ma an­cora piacente che origliava da dietro la porta i nostri amplessi, mi obbligò a fa­re lo stesso con lei. Alla fine scappai in miniera pur di sottrarmi al loro abbrac­cio soffocante. Dai 18 ai 21 anni fui il più giovane minatore di Montevec­chio, mi calavo fino a 700 metri per estrarre piombo e zinco. Infine mi ar­ruolai nei carabinieri».
Dove ha prestato servizio?
«In Sardegna, poi a Bari, Roma e Bolo­gna. All’inizio fui destinato alla stazio­ne di Urzulei, nell’Ogliastra. La caserma era priva di corrente elettrica e il ga­binetto, posto in un cortile che dava sulla strada, non aveva la porta, sicché tutti avrebbero potuto vedermi. Spesi in anticipo il primo stipendio per pro­curarmi le assi di legno necessarie a co­struirmi due battenti. Ero talmente affamato che una notte, mentre al cimi­tero piantonavo la salma di un suicida, mangiai le favette fresche raccolte fra le tombe. Ogni sera partivo per dare la caccia ai banditi a Orgosolo e Mamoia­da. L’abigeato era il reato più diffuso. I ladri di bestiame ci accoglievano con mitra e bombe a mano».
Mi spieghi la genesi del nome della sua pianta. «In realtà io volevo regi­strarla come Siliqua sar­da , ma il ministero del­l’Agricoltura me l’ha boc­ciata perché è il nome di una località. Allora ho op­tato per Ruminosa, visto che è destinata all’ali­mentazione dei rumi­nanti, frorida , con la “r”, che in sardo significa fio­rita .
Ma anche qui il mini­stero mi ha fatto storie, pretendendo che la chiamassi florida , con la “l”».
Com’è possibile che non abbia mai bisogno di bere?
«Ha un apparato radicale formidabi­le, che previene la franosità dei terreni e va a cercarsi l’acqua in profondità».
Perché la Ruminosa florida potreb­be salvare l’economia italiana? «Semplice. Oggi per allevare 500 peco­re col metodo tradizionale occorrono pascoli estensivi di 70 ettari, a volte 100. La rendita oscilla dai 100.000 ai 120.000 litri di latte l’anno, pari a circa 80.000 euro. Con la Ruminosa florida sono sufficienti appena 12 ettari per produrre il medesimo reddito, anzi di più: le analisi degli agronomi e dei la­boratori di ricerca dimostrano che, dando da mangiare alle bestie la mia pianta, la produzione di latte aumenta di un 30%. E sui restanti 58 ettari si pos­sono coltivare orzo e avena, con un rac­colto di 1.300 quintali l’anno e una ren­dita aggiuntiva di circa 40.000 euro».
A parole.
«Nei fatti. Provato sul mio terreno, che ad agosto mi è stato espropriato dal­l’Anas per farci una strada».
Ma quanto costa un esemplare di Ruminosa florida ?
«Un euro, se lei sa metterla a dimora da solo. Due, se deve farla piantare ad al­tri. I 12 ettari vanno suddivisi in 6 par­celle, ognuna delle quali viene pascola­ta a rotazione per 20 giorni. Quando le pecore hanno finito di brucare la sesta parcella, è già rifiorita la prima. Un ci­clo continuo che non risente delle sta­gioni e rende superflue la transuman­za e la monticazione, con grande rispar­mio sui costi.Non c’è più bisogno nep­pure delle scorte invernali di foraggio ».
Dimentica la manodopera.
«È inclusa nel conto economico che le ho esposto. Da dicembre a luglio basta­no due persone in camice bianco che lavorano 6 ore al giorno per la mungitu­ra. Da luglio in avanti è sufficiente il pa­store che si occupa del gregge. L’incas­so annuale su 12 ettari è di 100.000 eu­ro, le spese ammontano a 56.000 euro, il guadagno netto diventa di 44.000 eu­ro, cui vanno aggiunti i 40.000 euro ot­tenuti dai terreni non pascolati e semi­nati a orzo e avena. Non basta: da un gregge di 500 pecore nascono ogni an­no almeno altrettanti agnelli, 350 dei quali si vendono a 50 euro l’uno. E so­no altri 17.500 euro. Il che porta la ren­dita complessiva a oltre 100.000 euro ».
Ma quante piante vanno messe a di­mora se si hanno a disposizione so­lo 12 ettari di terreno?
«Sessantamila».
Quindi serve un capitale di almeno 60.000 euro solo per le talee.
«Sogno un nuovo miracolo economi­co italiano, sono certo che esso è possi­bile in concreto: migliaia di piccole aziende zootecniche formate da giova­ni disoccupati su aree agricole di pro­prietà dello Stato, cedute in comodato d’uso.Oppure inaffitto.Basta che due persone formino una società in acco­man­dita semplice per ottenere un mu­tuo fondiario decennale che consenta di pagare i 5.000 euro annui di canone per i 12 ettari. Il costo dell’impianto si ammortizza in poco tempo».
Ma se lo vede lei lo Stato italiano che concede terreni ai disoccupati in comodato d’uso, cioè gratis? «Per questo mi rivolgo a Silvio Berlu­sconi, un imprenditore, un uomo del fare, che è in grado di capirmi senz’al­tro più di Mario Monti, un professore, un teorico asservito alle banche. Adot­tando la Ruminosa flori­da su vasta scala, si da­rebbe un lavoro a miglia­ia di disoccupati, si rico­stituirebbe il patrimonio zootecnico italiano oggi assai esiguo, si ridurreb­bero le importazioni di carne, terminerebbe la dipendenza da fertili­z­zanti chimici e mangimi, si bonificherebbero le aree abbandonate del Pa­ese scongiurando così il dissesto idrogeologico del territorio e la piaga degli incendi boschivi, si avvierebbe il risanamento del debito pubblico italiano».
Troppi miracoli per una pianta sola.
«Ah sì? Allora mi spieghi perché anche stamattina, di buonora, avevo alla por­ta Michael Benge, funzionario del­l’Usaid, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale che ha sede a Washington, il quale da molti mesi mi fa la corte affinché ceda a loro il bre­vetto della Ruminosa florida . Che mai vorranno farsene, i guardiani del mon­do, di una pianticella creata da uno zap­patore sardo che vive con le pecore?».