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 2013  gennaio 13 Domenica calendario

COSÌ È CAMBIATA TORINO, ORA LA SFIDA DEGLI IMPIANTI

[Con Chrysler il salto di qualità. Ma resta il nodo della sovraproduzione] –
La Fiat di oggi è molto lontana da quella di dieci anni fa. Dalla scompar­sa di Gianni Agnelli (2003), passando per la presidenza lampo del fratello Umberto, mancato un anno dopo, il gruppo ha ritrovato nell’auto il core business , mentre Sergio Marchionne ha cambiato pelle all’azienda e John Elkann, formatosi sotto la scuola di Gianluigi Gabetti e Luca di Monteze­molo, non solo è diventato il punto di riferimento della dinastia (come vole­va il nonno) ma ha completato la sem­plificazione della catena di controllo del Lingotto e la governance familiare: nell’Accomandita ognuno dei tre grup­pi familiari (eredi dell’Avvocato, altri Agnelli, ramo Nasi) è ora rappresenta­to da due esponenti.
Dalla scomparsa di Agnelli a oggi, dunque, la Fiat è diventata più piccola in Italia ma più grande nel mondo. La conquista di Chrysler oltre a realizzare il sogno americano degli Agnelli, ha ga­rantito al Lingotto l’accesso al gotha mondiale dell’automobile. Vediamo i passaggi chiave di questi dieci anni.
L’intesa degli Agnelli su come affron­tare il «dopo Avvocato» è arrivata nella riunione dell’Accomandita lo stesso giorno della scomparsa. I soci, oltre a no­minare Um­berto al verti­ce, misero le basi per l’au­mento di capitale che dal­l’Accomandi­ta ( 250 milioni di euro), attraverso una se­rie di operazio­ni a cascata portò 1,6 miliardi nelle casse Fiat, indispensabili per il risanamento. Il secondo paletto fu posto alla morte di Umberto, nel 2004: la famiglia disse no all’ipotesi di unificare le cariche di presidente e ca­po azienda, come chiesto dall’allora ad Giuseppe Morchio, preferendo Montezemolo alla presidenza a rap­presentare la proprietà e Marchionne come ad. Nel febbra­io 2005 Gm ­pa­ga 1,55 miliar­di per non do­ver comprare Fiat: è la fine dell’alleanza con Detroit. L’anno è poi contrassegna­to dal conver­tendo Fiat e dal discusso swap col qua­le gli Agnelli evitarono di diluirsi nel capitale (c’era­no alcune società di private equity pronte a fare di Fiat uno spezzatino). Due anni dopo il Lingotto celebra, con la nuova 500, la fine della crisi. Nelle holding Ifi e Ifil, prima, e nell’Accomandita, poi, si completa tra il 2006 e il 2009 il trasferimento dei poteri al giova­ne Elkann. Quest’ultimo pone subito la sua impronta, dando il via alla fusio­ne Ifi- Ifil, operazione per anni vagheg­giata dallo stesso Agnelli: nasce Exor, unica holding di investimento del gruppo. Intanto, per effetto della crisi dei mercati, Chrysler finisce sull’orlo del baratro insieme a Gm e nell’aprile 2009, Fiat ne acquista il 20%; per il Lin­gotto si aprono così prospettive inim­maginabili solo 5 anni prima. Nel 2010 lo spin-off da cui nascono Fiat Spa e Fiat Industrial.
Pomigliano prima, seguito da Melfi e prossimamente da Grugliasco e Mira­fiori, segnano ora la strategia di Fiat per rispondere al problema dell’ecce­denza produttiva in Europa: puntare su brand forti e riconosciuti (Alfa Romeo, Maserati, Panda e 500) per satura­re gli impianti, anche attraverso l’export verso Paesi extra-europei.