Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 13/1/2013, 13 gennaio 2013
MA LA GUERRA NON ERA FINITA?
Ci vorrebbe Jannacci, col tormentone del “Quelli che...”, per smutandare i politici e i giornali che commentano la puntata di Servizio Pubblico con Berlusconi.
Quelli che “il talk show è morto, ora la gente vuole confronti asettici, inodori, incolori, insapori, con candidati pettinati, ingessati, tutti in fila sull’attenti, come nei mitici teleconfronti di Sky e di Rai1 sulle primarie del Pd” (poi scopri che 9 milioni di persone, il decuplo di quelle del pallosissimo e precotto teleconfronto di Sky e il doppio di quelle del pallosissimo e precotto teleconfronto su Rai1) si guardano il talk di Santoro.
Quelli che “Berlusconi è morto, finito, defunto, dunque la guerra è finita: basta con il berlusconismo, ma anche con l’antiberlusconismo, il giustizialismo, il moralismo” (poi scopri che la guerra è ricominciata a causa di un programma di due ore e mezza, e che tu non sei abbastanza antiberlusconiano, giustizialista, moralista).
Quelli che “siccome Berlusconi è morto, finito, defunto, ergo non è il caso di andare a votare dopo la caduta del suo governo per certificarne il decesso col medico legale, molto meglio governare assieme a lui e a Casini per un anno per fare assieme a lui ciò che lui non ha mai voluto fare senza fargli pagare pegno dei suoi disastri” (poi scopri che, per quanto bollito, non è affatto morto e le campagne elettorali, da buon piazzista di spot, le sa fare meglio degli altri).
Quelli che “la televisione non sposta voti, quindi basta insistere sul conflitto d’interessi, sull’antitrust, sulla liberazione della Rai dai partiti, anzi poveretto diamogli un salvacondotto così fa un passo indietro” (poi scopri che la televisione di voti ne sposta eccome, almeno per chi la sa usare per parlare col suo pubblico). Quelli che, insomma, in questi vent’anni persi, per sconfiggere Berlusconi avevano elaborato una strategia davvero geniale: sperare che lui si suicidasse. Che, cioè, approvasse tutte le misure lacrime e sangue di Monti, assumendosene responsabilmente la paternità, poi le rivendicasse in campagna elettorale predicando tasse e quaresima e regalando a Grillo i pochi elettori rimasti, non mettesse piede in televisione e anzi, magari, per farli più contenti, candidasse un Alfano a lider maximo del centrodestra. Purtroppo Berlusconi, screanzato che non è altro, dinanzi all’eccitante prospettiva di fare il cappone che salta spontaneamente nella padella per il pranzo di Natale e magari accende anche il fuoco, ha declinato: ha preferito fingere che lui, sotto il governo Monti, non c’era o dormiva, dare la colpa alla sinistra, ai tecnici e all’Europa, usare l’anno di decantazione gentilmente offerto da Napolitano-Bersani-Fini-Casini per rimettere insieme l’Armata Brancaleone, e utilizzare le televisioni che possiede, quelle che controlla e le poche che non possiede e non controlla per fare anche lui campagna elettorale. E sfidando addirittura Servizio Pubblico – dove Monti non ha mai messo piede e Bersani non si fa vedere da un anno – per certificare quantomeno la sua esistenza in vita. Risultando così persino meno antipatico, meno vile e meno tremebondo dei suoi presunti avversari. Insomma, B. non ne ha voluto sapere di suicidarsi. E la colpa di chi è? Di Santoro.
Noi, nel nostro piccolo, l’abbiamo scritto fin dall’inizio che l’idea del governo Monti con la strana maggioranza ABC (dove A stava per Alfano, cioè per B come Berlusconi), era un gigantesco regalo al Caimano, a tutto disposto pur di non pagare nelle urne il fio dei suoi fallimenti. Abbiamo sostenuto il referendum anti-Porcellum, mentre i sapientoni lo sabotavano perché “la legge elettorale devono farla ABC insieme”: infatti, “insieme”, han deciso di tenersela. Così Berlusconi, che le elezioni non può più vincerle, può almeno impedire che le vincano gli altri, grazie al folle meccanismo del Senato. E la colpa di chi è? Di Santoro.
Ora, dai giornali e dai politici al seguito che ci spiegavano l’astuta strategia, ci tocca prendere lezioni di antiberlusconismo (ma non era da abbandonare?), di talk show (ma non era morto?), di televisione (ma non era ininfluente sul voto?). Per carità, ogni critica è legittima e anche l’astio è comprensibile: il successo di Servizio Pubblico, sopravvissuto agli editti bulgari di B. e agli ostracismi post-bulgari di certa sinistra, è una bella mazzata. E chi non c’era o dormiva, come si dice a Roma, “rosica”. Ma un minimo rispetto per la verità, se non per la decenza, non guasterebbe.
1. “SANTORO RILANCIA BERLUSCONI”
È il titolo dell’Unità, molto originale visto che è pressoché uguale a quelli di Giornale, Libero, Stampa e Messaggero. Ma l’Unità è l’organo di quel Pd che per un anno ha governato fischiettando con Berlusconi. Una tal Sara Ventroni, commentando Servizio Pubblico, implora “Liberateci dal Truman Show” dove “non esiste lavoro, welfare e disoccupazione” e denuncia l’“idillio populistico dopo 20 anni di odio” fra Santoro, Travaglio e Berlusconi. “Ma non c’era la società reale, né i problemi concreti”. Il lavoro scomparso nel profondo Nord di Lumezzane non è un problema concreto? Le tasse che uccidono le partite Iva del Nord-est non sono un problema concreto? Le frequentazioni indecenti, le donne a pagamento (prima a carico suo e poi nostro), gli scandali, la lotta contro antimafia-anticorruzione-antievasione, non sono problemi concreti? Sono le uniche ragioni per cui metà dell’elettorato di B. è scomparso, fuggito verso l’astensionismo o il grillismo: Servizio Pubblico, l’altra sera, le ha affrontate tutte. E smontare, come han fatto egregiamente Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, i due capisaldi della campagna elettorale berlusconiana – l’Imu e il complotto delle banche tedesche – è “idillio populistico” da Truman Show? L’house organ di un partito che ha votato tutti i massacri sociali di Monti, “insieme” a Berlusconi, Casini & C., e ora candida il professor Dell’Aringa, critico della riforma Fornero perché troppo blanda, l’ex falco di Confindustria Giampaolo Galli, viene a spiegare a Santoro che deve parlare di “lavoro, welfare e disoccupazione”, cioè dei tre temi più battuti da cinque edizioni di Annozero e da due di Servizio Pubblico. Ma andè a ciapà i ratt.
2. I NEMICI ALLEATI
Curzio Maltese, su Repubblica (altro giornale che aveva decretato la morte di Berlusconi e dunque del talk show), imputa a Santoro “i vizi di una sinistra parolaia e gonfia di sé, ma alla fine disponibile al compromesso” su cui “Berlusconi ha lucrato un’intera avventura politica...”. Resta da spiegare perché, se Berlusconi lucrava da Santoro, nel 2002 lo cacciò dalla Rai per quattro anni e due anni fa lo rifece cacciare un’altra volta. Peccato, perché Maltese è uno dei pochi commentatori che su B. non ha mai ceduto di un millimetro. Ora scrive che “Santoro ha un parallelo bisogno di fare notizia e di sopravvivere a una formula televisiva moribonda: il talk show. Per anni ha fatto notizia contro Berlusconi, ora l’unica possibilità era di farla con Berlusconi”. Sempre su Repubblica il rosicone-repubblicone Francesco Merlo, trova che “solo vampirizzando Berlusconi, Santoro può rinfrescare la ragione sociale della ditta: uno così non riuscirà mai più a fabbricarselo”. A parte il fatto che, se il talk è morto, non si capisce tutta questa attenzione e tutto questo accanimento su Servizio Pubblico; a parte la strana concezione della democrazia secondo cui il conduttore non deve invitare chi non gli piace; a parte tutto questo, i conti non tornano. Quest’anno, senza mai lo straccio di un esponente del governo Monti, senza un leader di centrosinistra e senza un Berlusconi, Servizio Pubblico ha registrato ogni settimana il record di ascolti su La7, raddoppiando la media della rete e stracciando la concorrenza degli altri programmi del suo genere: non perché “fa notizia”, ma perché dà notizie. Ha sempre invitato tutti i leader, che non sono mai venuti. Berlusconi ha finalmente accettato l’invito, dando prova di grande debolezza (altrimenti l’avrebbe accettato prima): che si doveva fare, tenerlo fuori dalla porta per paura di “fare notizia”? E perché non vengono anche gli altri, per “fare notizia” anche loro, anziché ammuffire a Porta a Porta o impolverarsi a Ballarò? Se è venuto solo Berlusconi è colpa di Santoro?
3. I MIGLIORI
“La campagna elettorale – scrive Maltese – è la più noiosa degli ultimi decenni, con un esito scontato, la vittoria del Pd e alleati. L’obiettivo massimo delle altre quattro coalizioni in campo, da Berlusconi a Monti da Ingroia a Grillo, è cercare di impedire che il Pd ottenga la maggioranza in Senato”. Ecco, è questa presunzione spocchiosetta della sinistra e dei suoi supporter che, dalla “gioiosa macchina da guerra” del 1994 (vinse Berlusconi) al “distacco incolmabile” del 2006 (Berlusconi pareggiò) in poi, ha sempre fregato la sinistra: la presunzione di chi non deve vincere combattendo in campagna elettorale con programmi e candidati migliori degli altri, ma di avere la vittoria in tasca quasi per diritto divino e superiorità antropologica: gli altri invece non hanno ragione di esistere, se non per la prava volontà di impedire la vittoria dei Migliori. Con la complicità di Santoro, of course.
4. IL MERLO CANTERINO
“È stato spettacolo, mai giornalismo”, insomma un’“arena televisiva come Sanremo”, sentenzia il Merlo, libero docente di informazione applicata. Non spiega perché le sue barocche articolesse piene di battute e citazioni pseudospiritose sarebbero giornalismo, mentre se il conduttore di un talk show fa qualche battuta che ridicolizza l’ospite-pagliaccio, vuol dire che i due “si punzecchiavano ma ammiccavano” e questo “non è giornalismo”. “Del resto tutta la puntata era costruita sul populismo” perché, anziché far parlare “gli operai arrabbiati di Sesto San Giovanni”, ha dato voce ai “piccoli imprenditori del Bresciano”. Ecco: se troppa gente guarda un programma, non vuol dire che il programma è popolare, ma populista. E per i compagnucci del bon ton e del perbenismo, pettinati, allineati e coperti, il popolo è bue: se gradisce qualcosa, quel qualcosa è sbagliato. Quanto ai piccoli imprenditori del Bresciano, forse sono stati intervistati perché sono incazzati con B., mentre gli operai di Sesto San Giovanni c’entrano di più col loro ex sindaco Penati e magari è meglio farli parlare quando (ma soprattutto se) verrà Bersani. Il meglio però Merlo lo dà quando accredita la tesi di “Berlusconi cresciuto di due punti nei sondaggi grazie a Santoro”. Strano, i Merlo ci avevano sempre spiegato che la tv non sposta voti e ora bastano tre ore di tv per spostare due punti (peraltro già evaporati dopo le bollicine del primo giorno)? Ma mettetevi almeno d’accordo con voi stessi.
5. PRECOTTO SARÀ LEI
Il Merlo prende spunto da un battibecco fra Santoro e B. per concludere che “anche la trasmissione di Santoro è organizzata concordando argomenti, modi e chissà cos’altro come una qualsiasi puntata di Porta a Porta”. Intanto, se così fosse, l’avrebbero vista i quattro gatti che guardano sempre Porta a Porta e i politici farebbero a pugni per parteciparvi, anziché tenersene a debita distanza. E poi, com’era evidente da tutta la puntata, non c’era un bel nulla di organizzato o concordato (basta rivedere la puntata: lì chi si incazza lo fa per davvero, non per esigenze di copione). Semplicemente, come ogni giornalista fa prima di ogni intervista, spiega all’intervistato su quali argomenti lo vuole intervistare. Il che, a maggior ragione, vale per Berlusconi, capace di depistare e/o anestetizzare con la sua logorrea qualsiasi programma. Stabilire che non si entra (come mai è stato fatto, almeno da Santoro, al contrario dei Porta a Porta sui delitti eccellenti con plastico incorporato) nel merito e nel dettaglio dei processi, ma si esaminano i fatti e i comportamenti che ne emergono per valutare la credibilità e la moralità dei politici (come abbiamo fatto anche l’altra sera), è una normale precauzione igienica: i processi a B. sono 26, formati ciascuno da migliaia di carte, per entrare nel merito occorrerebbe una puntata non di tre ore, ma di tre anni. E poi non si era detto che parlare di processi era giustizialismo? Ma, si sa, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, di chi vede senza guardare, di chi sente senza ascoltare. Come dice Massimo Fini, “omnia munda mundis e omnia sozza sozzis”.
6. EHI, CI SONO ANCH’IO!
Infine c’è il presunto giornalista con le mèches che, pur di acchiappare un raggio di luce riflessa nel suo mesto cono d’ombra, corre trafelato a segnalarsi come il “vero autore” della lettera di B. al sottoscritto: quella che confonde le condanne per diffamazione (zero, nessuna, nisba) con le sentenze civili e gli errori materiali, gli equivoci, le omonimie e le critiche con i reati. Che dire di un iscritto all’Albo che si vanta di essere il ghostwriter di un politico (che fra l’altro gli paga lo stipendio), per il quale compila mattinali farlocchi sui reati inesistenti dei colleghi dimenticando i suoi e per giunta ignora la differenza fra processi penali e cause civili (e dire che dovrebbe conoscerla, visto che lui, diversamente da me, è un pregiudicato per diffamazione)? Per questa gente c’è la porta di servizio. Come diceva Montanelli citando Chateaubriand, “il disprezzo va usato con parsimonia, in un mondo così pieno di bisognosi”.
Ps. L’altra sera ho detto a Berlusconi che ci ha fatto perdere vent’anni. Ho dimenticato di aggiungere i politici e i giornalisti che hanno collaborato, e ancora collaborano, al Grande Sonno.