Riccardo Sorrentino, IlSole24Ore 13/1/2013, 13 gennaio 2013
EURO A RISCHIO NELLA «GUERRA TRA VALUTE» [
La politica ultraespansiva delle banche centrali in Usa e Giappone rafforza la moneta unica] –
Et voilà. È il coniglio nel cappello: il Tesoro Usa potrebbe coniare monete di platino per mille miliardi di dollari, la Federal Reserve potrebbe acquistarle e finanziare così il deficit fiscale. Tutta la discussione su fiscal cliff, sequestration, entitlements e altre simili amenità svanirebbe nel nulla.
È solo una storiella. Gira, però, negli Stati Uniti: la riferisce Stephen Jen, economista della Slj Macro Partners. Per lui, insieme alla discussione in corso in Giappone su quanti yen possono essere stampati senza troppo irritare Washington, «sottolinea quanto sia degenerato il discorso sulla politica economica nel mondo». La sua proposta, provocatoria, è quella di far acquistare le monete Usa dalla Nippon Ginko, la banca centrale giapponese. E il gioco è fatto.
La situazione è però seria. «Una delle banche centrali storicamente più prudenti, la Bns svizzera, gestisce ora un bilancio superiore al 100% del Pil, la Fed si è lanciata nella creazione illimitata di moneta, la Bank of England potrebbe adottare come target il Pil nominale senza sapere quale sia il nuovo tasso di crescita potenziale, e il Giappone raddoppierà il suo obiettivo di inflazione proprio mentre ha difficoltà di raggiungere il suo attuale target e c’è una bolla sui bond di Tokyo pronta a scoppiare», spiega l’economista che salva solo Cina ed Eurolandia, che hanno intrapreso riforme strutturali.
Al centro di questo scenario, in modo diretto o indiretto, ci sono le valute, lo strumento preferito da governi e aziende per rivitalizzare un’economia, pericoloso però come l’alcool per i suoi strascichi: debolezza delle imprese e inflazione. È la scelta di tener basso il franco che ha spinto la Banca nazionale svizzera a comprare valute straniere, che ora gonfiano il suo bilancio. È (anche) il desiderio di far scivolare lo yen che spinge il governo giapponese a fare pressioni sulla banca centrale. Chi può negare, poi, che l’effetto prevedibile - e quindi quantomeno accettato - delle politiche ultra-ultraespansive adottate o studiate a Londra e a Washington possa essere l’indebolimento del cambio? Non è una guerra delle valute, che si combatte quando i cambi sono fissi e le svalutazioni decise per decreto, ma non può sorprendere che qualcuno abbia usato questa etichetta.
Anche perché i mercati vanno "oltre". Accade sempre così, con i cambi, e questo rende difficile per le banche centrali adottare un obiettivo valutario. È bastata così l’elezione di Shinzo Abe a Tokyo perché si sbloccasse l’effetto di una serie di fattori economici reali, fondamentali, già esistenti: i fondamentali giapponesi giustificano un moderato deprezzamento. La quota di mercato sul commercio internazionale - ricorda Kit Juckes di Société Générale - si sta riducendo da tempo; e persino la chiusura degli impianti nucleari, nel lungo periodo, alimenterà la flessione. «Se l’espansione fiscale del nuovo governo non riuscirà a rivitalizzare la domanda domestica», aggiunge Juckes, gli esportatori soffriranno molto di più di oggi, e il mondo politico non potrà permetterlo.
Il rischio è che le nuove pressioni giapponesi si scarichino sulla valuta con la politica monetaria meno "estrema", l’euro. La Bce, ha ripetuto Mario Draghi, «non commenta sui cambi»: non lo ha mai fatto e a ragione. Il presidente Draghi ha sottolineato però che il cambio dell’euro, reale ed effettivo, è al livello della media di lungo periodo; e ha in ogni caso ricordato l’impegno politico del G-20 di tenere le valute in linea con i fondamentali (un cattivo argomento, forse, se l’obiettivo è il Giappone...).
Il punto è proprio questo: l’euro potrebbe sganciarsi ulteriormente dai fondamentali. Se si pensa alle prospettive di crescita, dovrebbe perdere terreno, soprattutto sul dollaro. Le tensioni finanziarie però calano, la volatilità è ai minimi, i rendimenti italiani e spagnoli scendono: i rischi, insomma, si sgonfiano, le operazioni a breve termine sembrano dover cambiare direzione e i flussi di capitale tornano verso Eurolandia. L’euro/dollaro, allora, potrebbe tornare, per un po’, a salire.
LE MOSSE CHE HANNO INFLUENZATO LE VALUTE
BCE –
Liquidità e deleveraging
La Banca centrale europea ha varato diverse operazioni di liquidità che hanno ampliato la quantità di euro in circolazione. Il deleveraring delle banche ha però ridotto parte della quantità di moneta, mentre la politica monetaria - standard e non standard - non è apparsa così aggressiva come negli Stati Uniti Bretagna e le aspettative non hanno sostenuto in pieno il suo orientamento espansivo. L’euro è così calato in diverse fasi tra ottobre 2009 e luglio 2012 ed è oggi un po’ al di sotto della media di lungo periodo
FED
Ultra-ultraespansiva
La Federal reserve, dopo qualche perplessità a fine 2008 - e proprio per timore di far scivolare troppo il dollaro - ha varato una serie di misure molto aggressive per aumentare la quantità di moneta e bilanciare il deleveraging. Ha molto insistito, inoltre, sulla gestione delle aspettative in modo da spingere i mercati a sostenere i suoi stimoli. Non si può dire che l’effetto sul dollaro sia stato quello di una flessione ininterrotta. Anzi. Dopo più fasi di apprezzamento e deprezzamento, il cambio effettivo è oggi ai livelli di ottobre 2008
BANK OF JAPAN
Un lungo guinzaglio
La Nippon Ginko, la banca centrale di Tokyo, ha sempre tenuto al guinzaglio la valuta, evitando che si apprezzasse o deprezzasse troppo. Durante la crisi, una certa timidezza della politica monetaria - molto espansiva, ma non sufficiente per un paese in deflazione - ha portato a un rafforzamento del cambio che, rispetto al dollaro, ha raggiunto un masimo a fine 2012. Da allora, e in due fasi, lo yen ha un po’ perso terreno, restando però lontana dai livelli precedenti l’esplosione della crisi
BANCA SVIZZERA
Il prezzo del successo
Sana e solida, la Svizzera - considerata tradizionalmente un rifugio sicuro - ha visto moltiplicarsi i flussi finanziari, con il conseguente rialzo del franco sull’euro, fino a livelli giudicati non del tutto compatibili con le esigenze dell’economia reale. La Banca nazionale ha fissato un pavimento di 1,20 per l’euro, intervenendo per mantenere la sua valuta a questi livelli. Malgrado i mercati abbiano svolto gran parte del lavoro, la necessità di rendere credibile la sua politica ha spinto il bilancio della banca centrale al 100% del Pil