Mario Platero, Il Sole 24 Ore 12/1/2013, 12 gennaio 2013
DOPO L’AUSTERITY, CALIFORNIA DREAMING
NEW YORK. Dal nostro corrispondente
California dreaming? No, California real: lo Stato più popoloso d’America, dato per spacciato, sull’orlo della bancarotta come la Grecia nel 2011, ha rimesso i conti in ordine in appena due anni. E potrebbe addirittura chiudere in surplus il prossimo anno fiscale. Non solo, nonostante misure di austerità c’è anche stato un miglioramento dell’economia. E noi? Possibile riprodurre questo modello? «Possibile, ma non probabile – dice Cary Leahey di Decision Economics – ci sono troppi se e ma».
Questa storia californiana comincia due anni fa, alla fine del 2010, quando nello stupore generale il democratico Jerry Brown vince agevolmente le elezioni. Stupore perché Brown, oggi 74 anni portati benissimo, non è solo anziano dal punto di vista anagrafico, ma lo è anche dal punto del servizio. Era già stato governatore della California fra il 1975 e il 1983, (fu il successore di Ronald Reagan) aveva poi avuto vari incarichi di vario genere - da sindaco di Oakland a procuratore generale - e per uno Stato che incarna per definizione la mitologia della nuova frontiera, scegliere un uomo del passato aggiungeva tonalità più scure alla crisi anche psicologica in cui ci si trovava ormai da qualche anno.
La promessa principe di Brown? Risanare il bilancio. Non ci credeva nessuno, ma lo votarono lo stesso, per affetto e perché il suo concorrente repubblicano era impresentabile. E Brown ce l’ha fatta, sempre che il suo bilancio presentato ieri al Parlamento dello Stato sia approvato entro il primo di luglio, quando comincerà l’anno fiscale 2013/2014. Sulla carta l’impresa dovrebbe essere facile visto che sia la Camera che il Senato sono sotto il controllo dei democratici, ma come sempre succede quando si cominciano a vedere quattrini i politici di ogni colore fanno il possibile per prenderne possesso. E le resistenze sono forti. «Mi toccherà fare il cane da guardia – ha detto ieri Brown – potremo tornare a investire nelle scuole, nella sanità, ma non possiamo sperperare il lavoro e i sacrifici di questi due anni. Lo impedirò».
Potrebbe riuscirci. Nessuno dava per scontato che avrebbe vinto una battaglia durissima per approvare la sua proposta di tagli alle spese dello stato per 12 miliardi di dollari nel 2011 al suo primo bilancio. Il disavanzo ammontava allora a 26 miliardi di dollari, il debito, oltre 600 miliardi rappresentava quasi il 30% dell’economia locale. I tagli avrebbero dovuto essere distributi un po’ dappertutto, scuole, servizi sanitari e quelli di assistenza sociale, spese e investimenti infrastrutturali. A novembre dell’anno scorso Brown ha aggirato una resistenza del parlamento locale a nuovi aumenti di tasse. I suoi compagni democratici rifiutavano di collaborare. E Brown, personaggio estroso con un passato leggendario, portò la sfida direttamente agli elettori, lo scorso novembre inserì nelle schede elettorali la "proposition 30", un referendum, che chiedeva di approvare un aumento delle tasse. Ha vinto, e ha recuperato altri sei miliardi di dollari. Per il bilancio di quest’anno ha inserito tagli per altri 8 miliardi di dollari. Totale 26 miliardi di dollari. Disavanzo azzerato. Non solo visto che l’economia è migliorata sono aumentati altri introiti dello Stato per cui dall’obiettivo pareggio si è già in avanzo per l’anno prossimo per 851 milioni di dollari. Nel bilancio si chiede di vincolare un terzo del surplus all’abbattimento del debito. Un quadro diametralmente opposto a quello del 2007/2009: l’economia era stata colpita più di altre dalla crisi finanziaria. Il settore immobiliare era a pezzi. Il tasso di disoccupazione era all’11,3% ancora nel 2011. Si temeva che le misure di austerità avrebbero peggiorato la situazione. Ma non è stato così, la California ha goduto dei bassi tassi di interesse a livello nazionale e dalla crescita di altri Stati. Oggi il tasso di disoccupazione è sceso al 9,8%. E il problema della fuga di popolazione, soprattutto verso il Texas è stato ridimensionato. La California continua ad essere il terzo Stato per crescita di popolazione e resta il più popolato con 38 milioni di abitanti e l’equivalente dell’ottava economia del mondo se fosse uno Stato indipendente.
Un modello esportabile? Fino a un certo punto. Intanto, dice Lehaey, in Italia non abbiamo ancora quei margini di flessibilità su regole e lavoro, impliciti nel sistema americano. Non abbiamo i tassi di interesse vicini allo zero come ha deciso di garantire la Federal Reserve. «Soprattutto – aggiunge – non avete una classe politica in grado di tagliare la spesa pubblica e la percentuale dello Stato nell’economia, ma visto che ora avete elezioni è in quello che si vedrà la differenza».