Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 12/1/2013, 12 gennaio 2013
QUEI 10 MILIARDI DI MINORI ONERI
Un beneficio tutt’altro che disprezzabile per i nostri conti pubblici: 10 miliardi nel biennio 2013-2014 di minor onere per interessi, qualora la discesa dello spread si stabilizzasse attorno ai 250 punti base, ancor meglio al di sotto.
Non per questo si potrà deviare dal sentiero del rigore. Quota 200 punti base è il livello giudicato "coerente" con i fondamentali della nostra economia. Ora siamo nei dintorni dei 250 punti e la discesa è tutt’altro che disprezzabile. A bocce ferme, se il calo di 100 punti rispetto al livello cui eravamo attestati solo alcune settimane fa, si stabilizzerà e anzi tenderà ad avvicinarsi alla zona di sicurezza dei 200 punti, il beneficio sul fronte della spesa per interessi sarà evidente: attorno ai 10 miliardi nel biennio 2013-2014, dai 3 ai 4 miliardi già quest’anno, per centrare quota 25-27 miliardi nell’arco del quadriennio 2013-2016.
Stime provvisorie, evidentemente, che simulano l’effetto della riduzione dello spread sull’intera curva dei rendimenti, tenendo conto della duration e della vita media del debito, che al novembre 2012 è calcolata in 6,49 anni. Potrebbe anche andar meglio, se si stabilizzasse sui mercati la rinnovata fiducia sull’eurozona e a benefica cascata sui paesi maggiormente esposti per effetto del loro alto livello di indebitamento. L’altro elemento decisivo, come segnala la Banca d’Italia nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, è che riesca a mantenere nel tempo il pareggio di bilancio in termini strutturali, vale a dire al netto delle variazioni del ciclo economico e della una tantum. Si assicurerebbe in tal modo «una riduzione apprezzabile» del debito «anche qualora i redimenti all’emissione registrassero una dinamica significativamente meno favorevole di quella attesa». Il tutto dovrebbe essere accompagnato da un avanzo primario che assicuri il pareggio e che dovrebbe crescere dal 3,8% di quest’anno al 4,8% nel 2015, per salire nella dinamica ipotizzata dalla Banca d’Italia al 6% nel 2017, per poi scendere al 5,4% nel 2020.
Non appena insediato, il nuovo governo dovrà procedere alla revisione del quadro macroeconomico, fermo per ora alla «Nota di aggiornamento» del Def di settembre. Le nuove stime entreranno a far parte del corpus di documenti da trasmettere a Bruxelles entro metà aprile (compreso dunque il Programma nazionale di riforma), in ossequio al timing fissato dal «semestre europeo». Se la discesa dello spread si stabilizzerà, il conseguente minor onere per interessi potrà consentire di affrontare le prime urgenze con minore apprensione, anche se lo scenario di partenza non autorizza ad allentare la ferrea disciplina di bilancio imposta dal Fiscal Compact. Abbiamo da fare i conti con un Pil che nel 2012 ha registrato una caduta del 2,4%, e nell’anno in corso si ridurrà dello 0,2 per cento. Gli spazi per un avvio concreto di ripresa si apriranno solo dal 2014, e dunque ancora per quest’anno non si potrà in alcun modo flettere dal percorso delineato.
La componente spesa per interessi passivi è decisiva. Nelle stime di settembre l’onere del servizio del debito è previsto attestarsi al 5,6% del Pil a fine 2013: 89,2 miliardi che salirebbero a 96,9 miliardi l’anno successivo. È su questa imponente massa di risorse che inciderà positivamente la discesa dello spread, sempre ammesso appunto che il trend si stabilizzi. Percorso che dovrà essere accompagnato da una vera spending review, così da razionalizzare e contenere (per la parte comprimibile, evidentemente) una spesa corrente che assorbe il 51,2% del Pil, e dalla contestuale riduzione della pressione fiscale, avviata verso il picco del 45,3 per cento.