Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 14 Lunedì calendario

FISCO. L’ALTA PRESSIONE E’ UN MALE GLOBALE

Il problema che emerge di gran lunga come il più rilevante tra le decine che abbiamo di fronte si chiama «questione tasse». In Italia in misura acuta da almeno vent’anni, ma anche nel resto dell’Occidente. Drammatico, perché da esso dipendono in buona parte la crescita dell’economia, l’occupazione, il reddito dei cittadini e la loro libertà. In teoria, praticamente tutti sono d’accordo sul fatto che le tasse vadano ridotte, che livelli di prelievo attorno al 50 per cento del Pil — che per parte consistente dell’economia salgono tra il 60 e il 70 per cento — non sono solo un disincentivo all’attività economica, al fare impresa ma sono anche un motivo di delegittimazione dello Stato esoso e di distruzione del tessuto sociale, nel quale ogni discorso di solidarietà attribuito alla redistribuzione fiscale dei redditi perde credibilità e viene considerato ingiusto.
Il lascito della crisi
Dunque, le tasse sono il problema numero uno. Riconosciuto anche da quei Paesi nordici — a cominciare dalla Svezia — che su un alto livello di prelievo e sulla qualità dei servizi pubblici hanno costruito il loro modello. Primo problema, dunque, che però finisce sempre in fondo all’azione dei governi. Ancora di più oggi, cinque anni dopo lo scoppio della crisi finanziaria e della Grande Recessione. In sostanza, sono successe due cose. La prima è stata la necessità di salvare le economie: ciò è avvenuto con diversi mezzi ma soprattutto attraverso l’indebitamento pubblico e una maggiore imposizione fiscale. In pochi casi le spese dello Stato sono state ridotte. La seconda è che l’Occidente si è reso conto — quasi che prima non lo sapesse — che l’indebitamento pubblico è tassazione differita, qualcosa che pagheremo domani o che pagheranno i nostri figli. Detto diversamente, al livello raggiunto ogni anno dalle tasse andrebbe sommato il nuovo debito (e gli interessi su di esso) creato dallo Stato: su questo, sul significato del debito delle Nazioni, negli ultimi tempi alcuni economisti hanno sviluppato teorie creative; resta il fatto che, al netto di default, i debiti vanno pagati e che ciò avviene con il denaro dei contribuenti.
Gli errori
La crisi ha insomma reso evidente che la tassazione non è il pagamento da parte dei cittadini di servizi prodotti dallo Stato — come ad esempio sosteneva avrebbe dovuto essere l’economista Premio Nobel James Buchanan, morto pochi giorni fa — ma è soprattutto il risultato degli errori e delle disfunzioni dello Stato, delle sue scelte politiche (ad esempio i salvataggi delle banche o la redistribuzione del reddito) e della sua tendenza a crescere continuamente, a causa della quale è sempre più esoso.
Negli Anni Ottanta, la spinta a ridurre il peso delle tasse e di conseguenza la dimensione della sfera pubblica fu forte in tutto il mondo, guidata da Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli Stati Uniti (con risultati non sempre coerenti nei due Paesi). Fu un’onda che coinvolse parecchi governi ma che non ebbe gli esiti rivoluzionari che i propugnatori si erano prefissati: il suo carattere era fortemente ideologico, dunque influenzò il dibattito politico e culturale; avvenne però in un Occidente dove lo Stato era sì troppo grande e in crescita, dove la tassazione era sì già eccessiva e in aumento, ma non ancora a livelli insopportabili. È stata la crisi degli scorsi anni a svelare l’insostenibilità del modello di Stato (e di capitalismo) del dopoguerra, fondato su tasse e spesa pubblica sempre crescenti.
Il cuore dei problemi di oggi sembra dunque questo, le dimensioni e le funzioni dello Stato. In Italia, reso ancor più drammatico dall’inefficienza dell’amministrazione pubblica e dalla non sempre buona qualità dei suoi servizi. In Francia, dove sulle tasse sta crescendo il conflitto sociale. Negli Stati Uniti, dove lo scontro del Fiscal Cliff tra Barack Obama e i repubblicani è stato (e resta) su tasse e spesa pubblica. E in quasi tutti i Paesi occidentali la questione è al cuore dei problemi. Ciò nonostante, le tasse crescono. Siamo chiaramente non lontani dal punto di rottura.
Danilo Taino