Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 13/01/2013, 13 gennaio 2013
«PRESENTARE LISTE E SIMBOLI E’ UN’ARTE LO FACCIO DAL 1958» —
Si è sposato già tre volte, già tre mogli si sono arrese alla sua malattia o passione, sempre la stessa, che è la politica, «sono un drogato e un soldato», dice infatti di sé: Luciano Gesuelli, 74 anni, studioso di Storia dell’Alto medioevo, però non è pentito, «con ciascuna delle tre signore sono rimasto in buoni rapporti», racconta soddisfatto, lui che è il veterano in Italia dei «presentatori» di liste e simboli elettorali, romano di Porta Metronia («come Totti...»). Lo chiamavano «l’uomo dell’ultimo minuto», poi capirete perché. Più che un mestiere, un’arte.
Cominciò nel 1958 con la Democrazia cristiana, ora svolge lo stesso compito delicato per conto del Pd di Pierluigi Bersani. Si tiene in forma con vela e ciclismo, i suoi sport preferiti. Gesuelli vorrebbe arrivare fino alle Europee del 2014, poi passerà lo scettro, «appenderò i miei simboli al chiodo», ma intanto sta preparando, come un solerte allenatore, quello che un giorno sarà il suo successore, Giovanni Pappalardo, che è già sulla cinquantina ma ha l’esperienza di un bimbo rispetto a lui. Con Pappalardo, l’altro ieri, è stato al Viminale a depositare il logo dei Democratici e nella lunga attesa gli ha spiegato trucchi e trucchetti: «Eh sì, la politica è un gioco — sospira il vecchio presentatore —. Ma avete visto? Più di 200 simboli depositati, c’è tanta gente in giro che ha voglia di apparire. Ma la Prima Repubblica, malgrado tutto, era meglio di questa...».
«Io ogni volta mi diverto e mi commuovo — confessa Gesuelli —. Tanti anni fa, c’era ancora la Dc, un settimanale mi dedicò un articolo. C’era una foto, chissà dov’è finita, che mi ritraeva con due cronometri, uno a ogni polso...». Erano due bei cipolloni regolati sull’ora esatta della Corte d’appello di Roma. Neanche fosse Greenwich. «Sì — racconta il Nostro — perché a quei tempi bisognava spaccare il secondo, l’ufficio del Tribunale chiudeva alle 20 in punto e io arrivavo quando ormai mancava pochissimo, 30-40 secondi. Ecco perché ero l’uomo dell’ultimo minuto. Prima, infatti, non funzionava come adesso: adesso c’è il sorteggio che assegna ai partiti un posto a caso sulla scheda elettorale. Prima, invece, se consegnavi per ultimo le liste, ti garantivi anche l’ultimo posto sulla scheda. Così poi l’elettore, il tuo elettore, in cabina, era facilitato a trovare la casella. Ecco perché c’era la gara ad arrivare ultimi. O primi». E la gara la vinceva lui: «Noi diccì facevamo squadra — rammenta Gesuelli —. Io ero il segretario del comitato romano e mi facevo accompagnare da tre o quattro collaboratori. Di solito c’era il funzionario del Psi che cercava anche lui di consegnare per ultimo. Così scattava il piano. Proprio quando mancava una manciata di secondi alla chiusura ed eravamo tutti lì sulla porta dell’ufficio elettorale, io gridavo «spingere»: la parola d’ordine. I miei uomini fidati, allora, facevano blocco e a forza di spintarelle spostavano piano piano il socialista fin dentro l’ufficio. Così lui era il penultimo e io l’ultimo a consegnare». E i comunisti? «I comunisti consegnavano sempre per primi. Il loro funzionario, Balzimelli, si portava anche lui una decina di "soldati", il primo giorno. E quando scattava l’ora del deposito nessuno li poteva scavalcare: arrivava Balzimelli con la falce e martello e la partita era chiusa».
L’altra notte, prima di depositare, Gesuelli è rimasto sveglio fino alle tre, insieme al fido Pappalardo, per ricontrollare tutti i documenti: «In primis l’autorizzazione di Bersani, il capo della coalizione, poi l’annuncio dei partiti collegati, quindi il programma unico controfirmato davanti al notaio e infine altre nove pagine con tutti i nomi, cognomi e indirizzi dei delegati locali autorizzati a consegnare le liste nelle varie Regioni. Bisogna essere precisissimi...». Il 2 maggio 1979 Gesuelli andò a depositare le liste con la scorta: «Il presidente Andreotti provava a sdrammatizzare, mi diceva che era inutile che mi tagliassi i baffi perché tanto ormai anche le Brigate rosse mi conoscevano bene». Il giorno dopo ci fu l’attacco alla sede di piazza Nicosia: morirono il brigadiere Antonio Mea e l’agente Pierino Ollanu. «Arrivai in ufficio con 15 minuti di ritardo perché ero andato a portare mia figlia piccola a scuola. Ancora ci penso, ancora mi viene da piangere».
Fabrizio Caccia