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 2013  gennaio 13 Domenica calendario

FALSO CHE LA MAFIA SIA LA PRIMA INDUSTRIA

Il crimine paga. Ma «molto meno di quello che si dice. Va sfatata la convinzione che le organiz­zazioni criminali abbiano un fatturato pari a cir­ca il 10% del Pil». Lo sostiene una ricerca realizza­ta dal centro Transcrime dell’Università Cattolica di Milano per conto del ministero dell’Interno.
«Le organizzazioni mafiose non hanno il monopo­lio delle attività illegali», viene spiegato. I contenu­ti della ricerca verranno resi noti mercoledì, e alcu­ni dati faranno certamente discutere. Complessi­vamente «le attività illegali generano ricavi pari in media all’1,7% del Pil (25,7 miliardi di euro) e a 427 euro per abitante». Ben al di sotto delle stime che si sono succedute negli anni e che attribuiscono al­le organizzazioni criminali un fatturato di oltre 100miliardi di euro. Secondo lo studio diretto dal professor Ernesto Savona, «i ricavi delle mafie so­no solo una quota dei ricavi illegali complessivi (tra gli 8,3 e i 13 miliardi di euro)». Cifre comunque da far girare il capo, e che non intendono ridimensio­nare il ruolo e la pressione dei clan sui territori in­festati dalla malavita. La mafia, dunque, non è la prima azienda italiana e, stando alla ricerca, probabilmente non lo è mai stata. Per l’immagine internazionale del Paese, non è cosa da poco. Basti dire che con 147 miliardi di eu­ro il settore del turismo contribuisce per il 9,4% al­la formazione de Pil del Paese, impiegando all’in­circa 2,5 milioni di persone, pari al 10,9% dell’oc­cupazione nazionale. A confermare in parte i dati raccolti dai ricercatori, arriva la relazione seme­strale della Direzione investigativa antimafia, la qua­le segnala la crescente perdita di consenso di Cosa nostra siciliana, mentre la ’ndrangheta calabrese si muove sullo scacchiere internazionale come una holding che gestisce indifferentemente affari spor­chi e attività in apparenza legali. «L’infiltrazione delle mafie italiane nel tessuto so­cio-economico è un tema di grande attualità. Fino ad oggi – spiegano dalla Cattolica – è tuttavia man­cato un ragionamento complessivo non solo sulla presenza mafiosa in Italia e all’estero, ma anche sul­le ricchezze criminali e sulle modalità del loro in­vestimento nell’economia legale». Transcrime ha costruito una mappa della presenza mafiosa su tut­to il territorio nazionale. Informazioni che sono ser­vite a quantificare i soldi che le mafie ricavano dal­le attività illegali (sfruttamento sessuale, armi da fuoco, droghe, contraffazione, gioco d’azzardo, ri­fiuti, tabacco, usura, estorsioni) e come questo de­naro viene investito nell’economia legale.
Lo studio si è concentrato sull’analisi dei beni im­mobili delle organizzazioni mafiose nelle princi­pali aree metropolitane e, per la prima volta, sull’a­nalisi delle imprese confiscate e dei loro bilanci. In­tanto le dinamiche interne ai gruppi criminali so­no in evoluzione. Cosa Nostra che continua a per­dere consenso «anche in seguito al rafforzamento delle istanze di giustizia sociale della gente». La ma­fia siciliana risulta «piuttosto indebolita nelle ca­pacita militare ed economica», costretta ad un bas­so profilo e totalmente impegnata «a ridare credi­bilità e consistenza alla struttura».
Cambiano le cose anche in Campania, dove l’arre­sto del boss Michele Zagaria ha rappresentato un duro colpo per il clan dei Casalesi che sta tentando di organizzarsi. «Iniziano a manifestarsi – scrive la Direzione antimafia – i primi segnali di ascesa di nuovi leader, camorristi di rango. Un processo che potrebbe portare al riconoscimento di un nuovo leader o alla costituzione di una cupola».