Gianni Romeo, La Stampa 14/1/2013, 14 gennaio 2013
ADDIO ALL’ULTIMO GREGARIO DI COPPI
Quelli del ciclismo li chiamavano «gli angeli di Coppi». Ora il tandem si è ricomposto lassù, al fianco del capitano. Poco più di un anno fa era morto Ettore Milano, ieri alle soglie degli 89 anni se n’è andato Andrea Carrea detto Sandrino, alessandrino di Cassano Spinola nato a Gavi Ligure. Due gregari con la «G» maiuscola, che contribuirono non poco ad alimentare l’epopea e la leggenda del Campionissimo. Erano figli di un ciclismo che non esiste più, cavalli da tiro dalle mani nodose e dal carattere ruvido disposti a tutto pur di servire e proteggere il capitano. Ogni tappa per loro era lunga il doppio, andavano alla ricerca di una fontana per riempire le borracce avvolti nei tubolari di scorta che li appesantivano, poi inseguivano e tornati in gruppo al primo cenno del campione chinavano la testa sul manubrio per portarlo in rampa di lancio. E quando lui scattava tiravano un bel sospiro di sollievo, potevano anche arrivare ultimi, il loro lavoro era finito.
Carrea, ottimo passista e buon scalatore, era sempre l’ultimo a staccarsi da Fausto nelle tappe decisive. Un diesel inesauribile. «Era una quercia al cui riparo Coppi costruì le sue vittorie», recitavano le cronache dell’epoca. Fu Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco che di Coppi conosceva e curava ogni muscolo, a suggerire a Fausto di prendere nella sua Bianchi quella forza della natura. Cavanna l’aveva curato quando era ancora dilettante e la doppia fatica, zappa e pedalate, l’aveva un po’ fiaccato. Poi Carrea era stato anche internato in Germania. «Fausto, avrai al tuo fianco un ciclope», aveva detto Cavanna.
Fu lui, Sandrino, ad accompagnare fin quasi in cima il Campionissimo sullo Stelvio quando andò a segno il golpe contro l’elvetico Koblet, capovolgendo nel 1953 un Giro che sembrava perso. Alto e grosso, un nasone che era la benedizione delle caricature dell’epoca, era piuttosto chiuso, un finto burbero di razza contadina che preferiva risparmiare il fiato per le vicende della strada. Non perse la testa nemmeno per un istante quando al Tour del 1952 visse un giorno da Maglia Gialla. Era stato mandato in fuga per controllare i rivali, non fece nemmeno la volata e tornò subito in albergo fiero di aver eseguito il proprio compito. Poi bussò alla sua camera un gendarme, Carrea si spaventò quando il francese lo invitò a seguirlo. «Cosa ho fatto? gli chiese. «Deve tornare al traguardo perché forse non sapeva di aver conquistato la maglia gialla...». Quel segno del primato che il giorno dopo, nella scalata dell’Alpe d’Huez, consegnò al suo capitano.
A proposito di gendarmi, Carrea raccontò di un altro spavento, sempre al Tour: «Conoscevamo ormai tutte le fontane d’Italia e di Francia - disse - ma quel giorno sembravano sparite. Con Milano e altri piombammo in un bar, mangiammo e bevemmo, ci rifornimmo per Fausto, Bartali e Magni. Non avevamo denaro, quando il barista chiese chi pagava rispondemmo: la macchina del disco verde. Che non esisteva. Arrivammo poi al traguardo appena in tempo per vedere i nostri capitani che stavano per essere arrestati dalla polizia, perchè il barista aveva denunciato sei corridori tutti italiani.
Si parlavano in codice, in corsa. Ad esempio, quando Coppi gridava «rallenta» bisognava in realtà accelerare. «Ma molto spesso bastava che ci guardassimo negli occhi - raccontò Carrea - ed era tutto chiaro». Chiaro come anche la divisione del denaro. Mai un problema, il capitanolasciava ai gregari tutti i premi. «Se abbiamo poi avuto vita decorosa lo dobbiamo a Fausto». Non c’era bisogno di chiedere, ma guai a prendersi troppe libertà. Come quella volta in cui Carrea e Milano avevano saputo di un traguardo volante, al Giro, che metteva in palio una settimana di soggiorno in una località turistica alla moda. Allungarono il passo, e fu proprio lui, il capo, a inseguirli. Bastò uno sguardo...
Coppi aveva anche educato i due fedelissimi alla caccia, una passione che Carrea non abbandonò più. Ancora sabato scorso era andato a sparare, sembrava in forma. Nella notte invece il cuore si è fermato. E’ stato esaudito il suo ultimo desiderio: aveva paura soltanto delle malattie.