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 2013  gennaio 14 Lunedì calendario

JACOB “JACK” LEW IL MINISTRO BUROCRATE SCELTO DA OBAMA PER TRATTARE COL CONGRESSO


«E’ un’ottima persona, l’ho conosciuto al Congresso negli anni ’80. È vero, è stato un paio d’anni alla Citigroup come intermezzo in una vita da civil servant, pochi per essere etichettato come un uomo di Wall Street. Certo, non è la persona che guasterà l’idillio di Obama con i banchieri, ma è sicuramente molto meno nelle loro mani di Geithner, o di quanto lo sarebbe stato l’altro candidato Erskine Bowles». James Galbraith, economista di provata fede liberal come il celeberrimo padre John Kenneth che fu consigliere di Kennedy, ridimensiona l’allarme quando gli chiediamo al telefono di commentare la nomina di Jacob “Jack” Lew a segretario al Tesoro annunciata da Obama la settimana scorsa. L’allarme lo aveva lanciato invece l’opinione pubblica “di sinistra” ricordando appunto che nel suo curriculum c’è la permanenza nella Citigroup. È vero che è durata solo un paio d’anni, ma non sono stati anni qualunque: fra il 2006 e il 2008, quando esplose la crisi. Per di più Lew capeggiava l’unità degli “investimenti alternativi”, al centro della tempesta, oltre a far parte del management committee della banca. Ogni Paese ha i suoi conflitti d’interesse, ma in questo caso probabilmente si sono solo sfiorati. Le obiezioni riecheggeranno nelle audizioni parlamentari di conferma dei ministri che cominceranno dopo l’insediamento della nuova amministrazione Obama il 21 gennaio. «Non mi sembra la persona adatta: abbiamo bisogno di un ministro in grado di fronteggiare con sicurezza le agguerrite lobby della finanza, in grado di lanciare politiche che aiutino la gente che lavora», ha tuonato il senatore Bernard Sanders, un democratico parlando al Washington Post, il quotidiano più liberal che ci sia. Che non ha mancato di aggiungere perfidamente che proprio nel tremendo 2008, Citigroup andò in virtuale bancarotta e fu salvata solo grazie a 45 miliardi di denaro pubblico. Non solo: «Lew - scrive il giornale - entrò nel gennaio 2008 nell’unità degli investimenti alternativi proveniente dal wealth management della banca. Bene, il gruppo perse nel primo trimestre 509 milioni contro i 222 guadagnati nello stesso periodo del 2007. Nell’anno il valore di Borsa scese del 75%: eppure Lew fu pagato 1,1 milioni di dollari». Come accoglienza non c’è male. Però sembra decisamente troppo brutale per un uomo di 57 anni che per tutto il resto della sua vita non ha fatto che accumulare meriti e che, come ha detto Obama presentandolo alla stampa giovedì scorso, «è una delle persone più intimamente oneste che conosca». Senza contare che, secondo altri osservatori altrettanto liberal, è molto più vicino alla gente della strada di tutta l’infornata degli “allievi di Robert Rubin”, come vengono chiamati, dell’era Clinton. Ma per Obama sarà cruciale difendere la sua nomina perché Lew è precisamente quello di cui ha bisogno. Come conferma Allen Sinai, economista di lungo corso e testimone da moltissimi anni del lavoro di Lew, «a parte quei famigerati due anni a Wall Street, ha sempre lavorato in posti chiave dell’amministrazione. Non possiamo definirlo un uomo della finanza, semmai della burocrazia. É in possesso di quelle doti negoziali e di quella conoscenza profonda dell’apparato e dei rapporti fra potere esecutivo e legislativo, che saranno fondamentali al presidente per vincere le prossime battaglie sull’orlo del fiscal cliff». Quest’ultima questione, non mancano di ricordare ogni giorno i tanti watchdogda Moody’s al Fondo Monetario, è tutt’altro che superata. È vero, Obama ha strappato ai repubblicani il primo aumento delle tasse da 23 anni, riuscendo così a limitare i tagli di spesa, ma fra pochissimo si riapriranno le ostilità perché la sospirata riduzione del debito pubblico è tutta da costruire. E perciò sarà fondamentale l’esperienza politico-amministrativa di Lew. «Se una critica dobbiamo muovergli, è la sua scarsa esperienza internazionale - aggiunge Sinai ma per le esigenze dell’amministrazione è la persona giusta al posto giusto». Nato a New York, laureato in legge ad Harvard e master alla Georgetown University di Washington, ebreo osservante (il venerdì esce rigorosamente dall’ufficio prima del tramonto secondo i dettami del Sabbath), dopo qualche anno di pratica forense cominciò il suo cammino nell’alta burocrazia a metà degli anni ’80 nell’ufficio di Thomas “Tip” O’Neill. E già fu un buon inizio. O’Neill, allora presidente democratico della Camera dei Rappresentanti, è stato uno degli uomini politici più illuminati e rispettati degli Stati Uniti negli ultimi decenni. Lew divenne il suo policy adviser di fiducia e insieme combatterono battaglie squisitamente democratiche, come quella per la difesa del Medicaid, il sistema di assistenza sanitaria pubblica per i poveri già allora sotto attacco (figuriamoci ora), oppure quella per la riforma del Social Security (pensioni) finita con un compromesso fra Ronald Reagan e il Congresso che Lew mediò. Finita quell’esperienza, Lew tornò brevemente a fare l’avvocato come partner dello studio Van Ness, Feldman e Curtis di Washington. Ma quando Clinton divenne presidente alla fine del 1992 si ricordò di quel giovane pacato nei modi, soft spoken eppure grintoso, appassionato e sincero, e lo volle nel suo staff. Special assistant to the president fu il suo ruolo, e lo tenne per tutto il 1993 e il 1994. Dopodiché per Lew iniziò la stagione a metà fra politica ed economia che l’ha portato infine al Tesoro. Lasciata la Casa Bianca divenne all’inizio del 1995 direttore dell’Office for Management and Budget, un cruciale organismo che fa capo al Congresso ma funge da sorta di Corte dei Conti: in tale posizione, come ha ricordato Obama giovedì presentando Lew, coordinò le modifiche legislative che portarono Bill Clinton a chiudere ben tre bilanci in surplus (pensiamo che oggi il deficit sfiora l’8% del Pil). Clinton lo rinnovò nell’incarico nel 1998 e lì Lew restò fino all’avvento dei repubblicani nel gennaio 2001. A quel punto avviò ancora un’altra carriera, quella accademica: divenne vice presidente esecutivo della New York University (quella dove insegnano Roubini, Spence, Engle e tanti altri premi Nobel) nonché docente di Pubblica amministrazione alla Wagner School of Public Service della stessa Nyu. All’inizio del 2006 il passo che ora vorrebbe non aver mai fatto: Lew assunse il controverso incarico in Citigroup di cui si diceva all’inizio. Per sua fortuna (politica, non finanziaria) durò poco perché appena i democratici tornarono alla Casa Bianca lo richiamarono. Divenne sottosegretario di Stato sotto Hillary Clinton con la delega al managament & resources. Al dipartimento di Stato i sottosegretari sono due: uno ha la responsabilità per la gigantesca “macchina” capillarizzata in tutto il mondo, appunto Lew, e l’altro, James Steinberg, per la politica. Ma era Lew, quando la Clinton era impegnata in una delle numerosissime missioni dove ci ha quasi rimesso la salute, ad assumere il ruolo di numero uno dei Dipartimento. Il coordinamento delle risorse umane ha dato a Lew il tocco finale alla sua expertise poliedrica, e così Obama prima lo ha nominato nuovamente direttore dell’Omb nel luglio 2010 ma poco dopo lo ha voluto quale Capo staff della Casa Bianca. Lew assunse nel gennaio 2012 quell’incarico che da Richeliu e Mazzarino in poi è sempre stato cruciale per qualsiasi governo del pianeta (si pensi al Capo di Gabinetto di Palazzo Chigi). E che lo ha portato a lavorare insieme con il presidente su tutte le questioni più spinose come le estenuanti negoziazioni con il presidente repubblicano della Camera, John Boehner, che hanno portato in extremis al primo accordo per il fiscal cliff all’inizio di quest’anno. Questa lunga carrellata sembra testimoniare che è ingeneroso fotografare quei pochi anni al Citigroup ed etichettare Lew come uomo della finanza. Il presidente assicura che si batterà da leone per la conferma al Congresso, il che è significativo se si pensa che non appartiene all’inner circle degli antichi collaboratori di Obama ai tempi di Chicago. Ma non appartiene a pieno titolo, malgrado le ingenerose accuse, all’entourage di Wall Street, un altro settore dove si diceva che il presidente avrebbe voluto “pescare” per recuperare il rapporto con il mondo finanziario. E’ un uomo di compromesso, e di compromessi è fatta la politica, anche alla Casa Bianca.