Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 14 Lunedì calendario

OTTO MILIARDI UE RECUPERATI IL TRAMPOLINO DI BARCA

[Fabrizio Barca]

Tra i non pochi personaggi supponenti, presuntuosi, arrampicatori, fanfaroni o indolenti che nell’ultimo anno hanno calcato le scene dello strano governo di Mario Monti c’è anche qualche lodevole esempio di come si può fare il ministro con riservatezza e concretezza. Mentre infuria la campagna elettorale più pazza del mondo, tra capriole da circo e iperfetazione di grottesche formazioni politiche, i rari casi fanno ancora sperare che non tutto sia perduto all’invocata normalità dell’Italia. Tra questi ci piace citare quello dell’ormai quasi ex ministro per la Coesione territoriale, di nuova istituzione, che senza egolatrie ha messo in atto una delle poche politiche di sviluppo del governo Monti, riuscendo a spendere in un anno più di 8 miliardi di fondi europei, che altrimenti si rischiava di perdere. Fabrizio Barca, figlio di Luciano, economista e senatore del Pci scomparso di recente, ha lavorato in Banca d’Italia, ha insegnato alla Bocconi, al Mit di Boston e all’Università di Stanford, fino a diventare direttore generale del ministero dell’Economia, dopo tre bocciature del Consiglio dei ministri per l’accusa di comunismo. Si narra che prima della nomina abbia dovuto soffrire a lungo in silenzio per, diciamo, le incomprensioni con Giulio Tremonti e con Vittorio Grilli, l’ineffabile ministro dell’Economia di Monti, che a un certo punto lo esiliò in una stanzuccia ministeriale sperduta e con competenze alquanto aleatorie. Di fronte ai dati della crisi economica e sociale del paese, con il Pil che
scende e la povertà che incede in nuovi strati di popolazione, gli 8 miliardi che Barca è riuscito a mobilitare per la crescita sono tutt’altro che risolutivi. Ma senza tante fanfare, con uno stile diciamo da vecchia “borghesia rossa”, il ministro ha incrementato del 15 per cento la spesa nazionale per i programmi finanziati con fondi Ue, che giacevano inutilizzati, trascinando oltre l’obiettivo per gli investimenti di quei fondi anche Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Basilicata. Un’operazione che pare valga lo 0,6 per cento del Pil. Un fatto che sta lì, nella Babele di parole sulla crescita, che è l’araba fenice di questa sgangherata campagna elettorale. “Mi chiedo da mesi cosa sia l’Agenda Monti”, ha detto tra l’altro il ministro. Il quale ha avvertito che ci sono ancora da spendere 31,2 miliardi di euro destinati allo sviluppo nei prossimi tre anni. Lasciarli dormire come in passato sarebbe un peccato mortale. Barca non è candidato alle prossime elezioni, né ha accettato di candidarsi a sindaco di Roma. C’è chi dice che aspiri alla segreteria del Partito Democratico, se Bersani andrà a fare il presidente del Consiglio. Lui stesso ha detto che “un governo funziona se funziona l’organizzazione dei gruppi intermedi”, dove per gruppi intermedi s’intendono i partiti. I partiti che hanno contribuito a ridurre l’Italia in questo stato, selezionando una classe dirigente per la quale ciò che contava era accaparrarsi risorse. Una classe dirigente “estrattiva”, ha detto. Che ci sembra un modo elegante per dire ladra. a.statera@repubblica.it