Alessandra Retico, la Repubblica 14/1/2013, 14 gennaio 2013
LUCI SPENTE
I loro nomi non suonano quasi più, cancellate anche le facce, le lacrime, il ritratto di un’ora perfetta, l’ultima, che non torna più. Eroi per un giorno: la ragazzina che sparava, il marinaio che volava, il lottatore con un curioso elmetto ma che battaglia abbia attraversato, sudato, chi se lo ricorda più? Gli operai della gloria sono tornati nelle fabbriche dove la fatica mastica ore sconosciute, nell’ombra delle palestre e dei campi. Ventotto medaglie a Londra, otto d’oro, per la maggior parte di loro adesso rimangono solo petali sgualciti. Non ci sono più i campioni di una volta. O, forse, il mondo è cambiato. L’Olimpiade che all’Italia ha portato buoni risultati ha anche asciugato la durata della felicità. Numeri buoni, forze fragili. E manco un reality. Tutt’al più qualche comparsata, ospitata, allegre sagre di paese e lievi ingaggi di popolarità.
«Continuo a voler parlare col mio fiume». Eppure Molmenti che spruzzi al cuore, e che frustate sulle onde, uno slalom sulla sua canoa K1 umida di cose impossibili, Daniele che vince nel giorno del suo compleanno, 28 il primo agosto scorso, dà schiaffi all’acqua e riempie gli schermi di promesse fresche. «In Italia se vinci ti vogliono in tv, ma per i loro comodi. Non gli interessa davvero quello che hai fatto, i sacrifici che ci sono voluti. E neanche al sistema dello sport: io non so ancora se andrò direttamente ai Mondiali o dovrà fare le qualificazioni. Soldi in giro pochi, sponsor meno, io mi devo autofinanziare in buona parte gli allenamenti, impianti in Italia non ce ne sono e andare all’estero è fondamentale per essere competitivi. Sono in ritardo nella preparazione per stare dietro agli impegni non sportivi, ma ne vale la pena? È il sistema che deve cambiare, spero che con le nuove elezioni al Coni le cose migliorino ». Intanto: sei esami alla laurea in giurisprudenza, un calendario 2013 in 200 copie venduto
online per
beneficenza, foto dei
muscoli in bianco e nero, uno splendore retrò.
Quindici minuti di celebrità, poco più. A parte i veterani della Resistenza dello sport. Valentina Vezzali spodestata dal governo del fioretto (da Elisa Di Francisca e Arianna Errigo) si è presa il bronzo, poi un figlio in arrivo, poi un
posto nella lista Monti. Non ha bisogno di credenziali, seconde vite, la Vale nazionale. Trentotto anni e tre ori individuali in tre Olimpiadi di fila, porterà la sua scherma anche in Brasile, poi si vedrà. Invece ha smesso con le pagaiate come promesso Josefa Idem, 48 anni e otto Giochi, mai nessuna
come lei. Quinto posto a Londra, ma il primo a Ravenna alle primarie del Pd. Capolista al Senato per l’Emilia Romagna, torna da dove non era mai andata via: «La politica è come lo sport, una questione sociale: studio, progresso, valori». Il nuoto naufragato a Londra in un deserto di medaglie e una valanga
di insulti, è rimasto orfano anche della sua ammiraglia, la più blasonata e fotografata, Federica Pellegrini, solo quinta nell’affondo della squadra. Eppure la regina dei flutti non ha perso audience, le sue piccole infinite lotte rimangono al centro dell’inquadratura: ha preso una pausa dalle corsie ma non si è concessa alle lusinghe degli show come fece quello sciupafemmine di Aldo Montano dopo la meraviglia dorata di Atene 2004: ballò con le stelle, come d’altra parte la Vezzali dopo Pechino 2008. Armi per niente spuntate.
I 99 colpi di Jessica Rossi, l’emiliana col terremoto nel cuore, invece si sono conficcati lì, in un giorno molto remoto. A Pechino non aveva neanche il porto d’armi, a Londra ha sbagliato un solo piattello su cento con quel fucile poggiato come una sciarpa al collo. Record senza
glamour,
zero divismo, bionda quasi per caso. Ventuno anni qualche giorno fa, è cresciuta tra boschi e selve a disintegrare gli ufo con le armi dei maschi. L’oro della porta accanto. Quella che non c’è posta per te. Cantò come fosse un karaoke l’inno, dedicò il successo agli sfollati d’Emilia, genitori compresi. A Renazzo in provincia di Ferrara sì che è una diva, lì è nata in via Pilastro numero 30, elementari e medie, a quattro anni si è trasferita a Crevalcore. Quel giorno d’oro al ristorante-pizzeria “I Tre Moschettieri”
fu un tripudio: gnocchini, frittelle, dolci e vino per festeggiare la compaesana
che sbarcava il lunario. Al ritorno le campane suonate dal parroco di Santa Margherita d’Adige dove ha traslocato col fidanzato Mauro De Filippis, pure lui tiratore. Per strada la riconoscono: «Sì che mi fa piacere, ma io ho altro da fare: allenamenti, lavoro, concentrazione. Non posso dar retta a tutti, ce n’è da pedalare da qui a Rio 2016». Non è una velina Jessica, sparerà molto lontano.
Poche tracce restano degli altri: Massimo Fabbrizi, il marchigiano d’argento nel tiro al volo, dove sei finito? «A me non mi riconoscono mica per strada, d’altra parte il tiro esiste ogni quattro anni, poi tutto scompare». Non parliamo dell’arco (l’oro a squadre di Frangilli, Galiazzo, Nespoli), né dei samurai del taekwondo, Carlo Molfetta d’oro, l’argento Mauro Sarmiento. Missing. Neanche le squadre, mancando l’inutile calcio olimpico, hanno reso il paese un nostro mondo: il bronzo del volley, l’argento della pallanuoto e dei suoi divi, Tempesti-Felugo. Forse tocca fare come Niccolò Campriani l’ingegnere fiorentino (un oro e un argento nel tiro). «Non farò pubblicità e non andrò in tv a ballare. Meglio il silenzio del cuore sul grilletto ». Non è mica dallo zapping che si giudica il campione.