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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

UCCISE TRE DONNE DI OCALAN MISTERO NEL CUORE DI PARIGI

[Erano militanti curde: la loro fazione aveva firmato con Ankara un accordo temuto dal Pkk in Siria. E salta la tregua con la Turchia] –
«Cherchez la femme», ripeteva Alexandre Dumas. Stavolta non serve. È rimasta lì assieme alle sue due compagne, ri­versa nel fiu­me di sangue che inonda l’ufficetto al 147 di rue de Lafayette. Lì scivolando tra ristoranti­ni, bar e fumo­si bistrot, si da­vano appuntamento i fre­quentatori del «Centro d’informazio­ne curdo». Era una delle tante sedi se­mi- clandesti­ne usate dai fuoriusciti curdi per sfug­gire ai co­ntrol­li degli 007 turchi costante­mente sulle lo­ro tracce. Ma stavolta neppure la tradizionale neutralità di Parigi, neanche la folla del decimo arrondissement garanti­sce l’incolumità di Sakine Cansiz, donna simbolo del Pkk e delle sue compagne Fidan Dogan e Leyla Soy­melez.
Gli amici curdi le trovano a mezza­notte di mercoledì sera quando - dopo ore d’inutili chiamate al cellulare - vanno di persona nella sede di Rue La­fayette. I cadaveri delle tre mili­tanti sono appena dietro la so­glia macchiata da un rivolo di sangue. Sulle cause della morte ci sono ben pochi dubbi. Due delle vittime sono state uccise con un colpo alla testa. La terza è stata ferita da un proiettile al torace e finita con una pallotto­la alla nuca. «Tre donne sono state abbattute… siamo senza dubbio davanti ad un’esecuzio­ne. È un fatto grave, assoluta­mente inaccettabile», com­menta lapidario il ministro dell’ Interno francese Manuel Valls.
In quella scena da grand gui­gnol quel che più conta è il cor­po di Sakin Cansiz. Il suo è al tempo stesso il cadavere eccel­lente e la chiave del massacro. Nessuno ucciderebbe per ca­so una donna simbolo co­me lei. Famosa per aver fondato il Pkk assie­me ad Abdullah Ocalan e ad aver guidato la lotta sulle monta­gne di Diyarbakir, Sakin Kansiz cono­sce fin dagli inizi degli an­ni Ottanta la spietata cru­deltà della guerra civile, della tortura e della prigionia. Grazie al coraggio e alla fermezza con cui sopporta i lunghi anni di detenzione la pasionaria Can­siz diventa ben presto la più donna più importante e famo­sa del Pkk. Da lei dipendono tut­ti­gli uffici all’estero, da lei pren­dono ordini molti dei comandanti politici e militari.
Per comprendere i motivi del­la sua uccisione bisogna dun­que indagare assai in alto, scan­dagliare le pieghe del negozia­to che da settimane coinvolge­va servizi segreti turchi e Abdul­lah Ocalan, il leader, padre pa­drone del movimento, prigio­niero da 14 anni nella prigione sotterranea dell’isola di Imrali. La prima fase della trattativa si era conclusa 48 ore prima del massacro di Rue Lafayette con un accordo quadro basato sul­la sospensione delle ostilità in cambio di concessioni alla minoranza curda in Turchia e l’esi­lio in Europa dei comandanti del Pkk coinvolti nell’ultima sta­gione di combattimenti.
L’accordo faceva gola soprat­tutto al leader turco Erdogan. Il premier, dopo aver armato e ad­destrato i ribelli siriani, si era ri­trovato a combattere i nemici del Pkk insediatisi nei territori siriani di frontiera dopo il ritiro dall’esercito di Damasco. L’ac­cordo per il­cessate il fuoco rag­giunto con Ocalan consentireb­be al premier turco di continua­re ad appoggiare i ribelli in lotta con il regime di Bashar Assad evitando l’escalation di attenta­ti curdi che aveva, nei mesi scor­si, gravemente danneggiato la reputazione di Erdogan.
La decisione di Ocalan di ab­bandonare al proprio destino la componente siriana del mo­vimento e puntare ad un accor­do con la Turchia in cui inseri­re, magari in un futuro non lon­tano, anche la propria scarcera­zione, non era stata ben digeri­ta da alcuni comandanti del Pkk. Di sicuro non faceva dor­mir sonni tranquilli a Ferman Hussein, il comandante curdo di origini siriane considerato il capo dell’ala militare del Pkk. Per uno come lui, conosciuto come uno strenuo avversario della linea politica del Pkk det­tata dalla Cansiz e dall’ala filo Ocalan, quell’accordo era una vera e propria condanna a mor­te. Un accordo da bloccare e sa­botare a tutti i costi.