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 2013  gennaio 12 Sabato calendario

SALVADOR DALÍ [

Ossessioni, desideri, surrealismo, metafisica, disfacimento delle ideologie, performance. Al Centre Pompidou il ritratto di un sublime trasformista] –
«Dalì», l’impo­nente mostra del Centre Pompidou di Parigi, ha un ingresso a forma di uovo e un’uscita a forma di cer­vello, ovvero «l’anima del mae­stro ». Fra l’uno e l’altro, c’è spa­zio per una cavalcata che ab­braccia la pittura (oltre 120 di­pinti), le arti figurative e il cine­ma, la moda e il design, il teatro e l’oggettistica. Surrealista,indivi­dualista, mistico atomico e mi­stico paranoico, Dalí interpretò e/o anticipò le correnti artisti­che del suo tempo, i fenomeni di costume,la crisi dell’intellettua­le, il peso e il predominio della massa e del mercato all’interno della realizzazione artistica. Negli autoritratti giovanili, Salvador Dalí è una via di mezzo fra un cigno e un Icaro colto pri­ma di schiantarsi in volo. C’è in lui una sorta di febbre che lo per­vade, un’ansia che lo possiede, frutto di un mondo notturno che preme per venire alla luce e che lo condiziona nel momento stesso in cui lo libera. «Non uso mai modelli, né dipingo dal vivo oggetti o paesaggi. È tutta imma­ginazione. Voglio dire, quando dipingo vedo tutto come in un sogno, e quando ho finito un quadro decido quale può essere il titolo. A volte mi ci vuole molto tempo prima di capire che cosa ho dipinto».
La mostra è uno straordinario campionario di ossessioni e di complessi. Il complesso di Edi­po, la paura della castrazione, i desideri incestuosi, l’istinto di morte, il trauma della nascita... Pochi come lui hanno usato la psicanalisi non come uno stru­mento di cura, ma come modo per alimentarli e preservarli co­me fonte. Allo stesso modo, il ca­talogo delle perversioni è esem­plare: esibizionismo, feticismo, masochismo, onanismo, sadismo, sodomia, voyeurismo. Al confronto, la libertà sessuale di cui si proclamarono artefici i su­r­realisti è un gioco per bambini...
In Lo spettro della libido , un quadro del 1934, un cadavere femminile in decomposizione, gigantesco e senza testa, incom­be su un Dalí bambino e vestito alla marinara, una delle espres­sioni più terrificanti della paura della donna mai dipinte da un ar­tista. Eppure, e in realtà, tutto il suo orizzonte sessuale ruoterà intorno a un’unica donna, Gala, al seco­lo Elena Dmietrie­vna Diakanova, più grande di lui di undici anni, già mo­glie di Paul Eluard, già amante di Max Er­nst, intel­l igente, colta, energi­ca e emancipa­ta, conosciuta quando il pittore aveva venticin­que anni e, fino al­la morte, mai più lasciata.
Il vedere tutti insieme i quadri di una vita, è an­che l’occasione per un ri­passo generale di alcune caratteristiche tipi­che dell’opera daliniana: violini afflosciati, pianoforti sgon­fi, formazioni rocciose fuse, crani molli e natiche allungate so­stenute da grucce, la natura co­me una massa di forme poten­ziali in continuo fermento. E an­cora, illusioni ottiche tese a mi­nare la fiducia nel razionale di chi guarda, con immagini che a un occhio attento si rivelano completamente diverse da ciò che apparentemente rappre­sentano, stravaganze umoristi­che e insieme tragiche applicate a una visione surreale e metafisi­ca dell’esistenza. Nei dipinti che anticipano la guerra civile spagnola viene fuori l’idea di una sorta di fenomeno di storia naturale, non ideologico, ma biologico, una specie di canni­balis­mo bellico dove l’importan­te è l’eliminazione in quanto ta­le, non nel nome di un’idea.
A nemmeno quarant’anni Dalí ha già scritto la propria bio­grafia, la sua «vita segreta», a ses­santa il suo Diario di un genio ...
«La sola differenza tra me e un pazzo è che io non sono affatto pazzo». Alla libreria Doubleday di New York firma le copie dei suoi libri standosene in vetrina, sdraiato su un letto e con indos­so un abito dorato. È collegato a un apparecchio, l’elettromio­gramma, che, ogni volta che fa una dedica, registra la pressione e l’attività cerebrale su un foglio che è poi offerto in omaggio al­l’acquirente del libro. C’è un me­dico, un’infermiera,un’autoam­bulanza e Gala, la sua moglie­ madre- amante-segretaria-mu­sa- confidente. Un’altra volta in­dossa una tuta da palombaro du­rante una presentazione, gli manca l’aria e rischia di morire soffocato... Dal balcone della sua suite all’hôtel Meurice,ecco­lo calare con un verricello un te­le­fono dentro un bidone di catra­me. Mastican­do una gom­ma america­na, un operaio francese si as­sicura che il maestro cen­tri il bersaglio per il suo rea­dy made ...
Un’altra volta, sarà una mo­della a rove­sciarsi nei co­lori da lui pre­d isposti. Klein, Warhol, Manzoni, vengono tutti da qui... Effetti speciali, sovrapposizio­ne di piani, miniaturizzazione, zoom e visioni panoramiche, moltiplicazione dei soggetti e dei campi visivi, tutto nella pittu­ra di Dalí congiura a un’idea ci­nematografica della stessa, a una sorta di realismo filmico, di visione in movimento. E la mo­stra diligentemente racconta an­che di una passione mai spenta a partire dalla giovinezza: i film muti di Buster Keaton, il sodali­zio con Buñuel, l’amicizia con i fra­telli Marx e con Walt Di­sney. Il carto­ne animato Destino , idea­to per quest’ul­timo, sull’on­da di Fanta­sia , mette in scena un viag­gio iniziatico nel deserto, troppo carna­le e troppo crudele per il giovane pubblico americano...
Si esce dal «cervello dell’arti­sta » portandosi dietro il catalo­go visionario delle paure e delle angosce del XX secolo, a volte su­blimato ed esorcizzato dallo sberleffo, dalla ironia demolitri­ce, dalla consapevolezza che l’unica arma per accettare l’as­surdità del vivere consiste nel vivere assurdamente. Dalí ne fece la sua divisa.