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 2013  gennaio 12 Sabato calendario

ECCO IL CARAVANSERRAGLIO DEL PROFESSORE

L’idea deve essergli venuta in Parlamento, quando ha conosciuto le meraviglie del «milleproroghe»e della annuale «legge mancia», quei provvedimenti in cui da destra e da sinistra si infila davvero di tutto senza nemmeno guardare. Deve essere così che Mario Monti ha scelto i candidati per le sue liste alla Camera e al Senato. Perché il modello è proprio quello: il contenitore in cui infilare frettolosamente di tutto, e a leggere i nomi si capisce che questa volta Enrico Bondi non debba avere fatto questo gran lavoro (non era il mestiere suo, però ha accettato l’incarico). Così in un partito che non c’è e che anche secondo i sondaggi più favorevoli può ambire al massimo a fare eleggere qualche manciata di deputati e senatori, c’è il rischio serio di portare a palazzo gente che la pensa su temi anche rilevanti in maniera esattamente opposta.
La lista civica per Monti punta ad esempio a fare eleggere Lucio Romano, presidente di Scienza e Vita, Gian Luigi Gigli, il medico che cercò fino all’ultimo di salvare la vita di Eluana Englaro, e con lui Gregorio Gitti, genero di Giovanni Bazoli, professore di solidissimo potere, ma anche uno dei firmatari del manifesto 2009 sul biotestamento che intimava al parlamento di non varare la legge voluta dia cattolici, lasciando ai malati il diritto «elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, senza rimanere prigioniera di meccanismi artificiali di prolungamento della vita». Monti probabilmente non ha scelto Gitti per questa sua opinione, né per la sua vecchia battaglia per consentire a Marco Pannella di correre per la segreteria Pd, ma per la grande trama di potere economico e conflitti di interesse del suo candidato (avvocato di affari, consigliere di amministrazione di numerose società, presidente del comitato remunerazioni di Edison). L’antinomia su un tema non banale come il senso della vita è però evidente.
Se poi si pensa che l’avventura politica di Monti è nata con la benedizione forse troppo precipitosa dei vertici della Chiesa italiana, si può immaginare che colpo abbia fatto fra le porpore vedere l’attuale premier candidare ai vertici della sua lista due leader militanti gay dichiarati. Del primo, Alessio De Giorgi, direttore di gay.it, Libero ha offerto ieri le prove fotografiche di una particolare sobrietà. De Giorgi ha anche due primati di quelli da fare esultare la Chiesa: è il primo gay ad essersi sposato in Italia con il suo compagno (all’ambasciata francese di Roma), ed è anche il primo ad avere già divorziato dal suo compagno sei anni dopo con un semplice telegramma inviato al Tribunale di Parigi. Il secondo, Giuliano Gasparotti ha un profilo personale certamente più sobrio. Ma certo non offre grandi garanzie di stabilità politica: era uno dei principali collaboratori di Matteo Renzi, presidente delle Officine Democratiche che ha animato tutte le Leopolde del caso. Si è battuto come un leone per le primarie alla segreteria del Pd. Il 21 dicembre scorso (non una vita fa), ha annunciato sui social network: «Bisogna sapere fare un passo indietro per fare tutti insieme un passo avanti. Non mi candido (questa volta) anche perché il meglio deve ancora venire». Dieci giorni dopo Gasparotti partecipava alle primarie per scegliere i parlamentari del Pd. E alla mezzanotte fra il 30 e il 31 dicembre commentava: «Un milione di voti sono un grande successo per queste primarie parlamentari. Bravi tutti coloro che hanno partecipato, complimenti a Rosa, Dario e David a Firenze ed un abbraccio al nostro Matteo Biffoni che a Prato ha sbaragliato tutti: grandissimo». Nove giorni dopo quell’abbraccio Gasparotti tradiva tutti e passava con Monti che lo candida capolista. Un capolavoro.
Anche Mario Mauro, capogruppo del Pdl all’europarlamento, ha spiegato la sua scelta pro-Monti con l’amore per l’Europa, di cui l’attuale premier è simbolo. Coerentemente di candida al Senato in Lombardia e quindi è destinato a dimettersi dal Parlamento europeo che ritiene più inutile di quello italiano.
Si candida con Monti il suo ministro della Salute, Renato Balduzzi. E questo si capisce. Con lui Giovanni Monchiero, presidente della Federazione delle Asl italiane che fino a un minuto prima ha dileggiato la riforma Balduzzi e attaccato Monti perché con i suoi tagli aveva messo la sanità in ginocchio. E questo si capisce meno. Entra in lista anche l’editore genovese di Primocanale, Maurizio Rossi. Sempre protagonista di polemiche pubbliche, travolto anche lui da quelle locali per avere acquistato una tv delle Coop rosse licenziando tutti i giornalisti del Cdr. Per ingentilire un po’ la truppa, Monti ha voluto Annalisa Minetti, medaglia di bronzo alle Paraolimpiadi (lei è ipovedente) e cantante di un certo successo. La lista ha dunque la sua Minetti. Pure bella, e infatti vinse il titolo di «Miss Ragazza in gambissime» a Miss Italia. Fra i candidati di spicco anche Carmine Lentino, animatore di un Forum dei giovani che nessuno conosceva fino a quando proprio Monti non lo convocò alle consultazioni per la formazione del suo governo. Lentino da allora si è sciolto. Erano anni che aspettava questo momento. Siccome è giovane da tempo, ci provò senza successo con Romano Prodi nel 2006. Poi con Silvio Berlusconi nel 2008. Nella speranza di riuscirci, il povero Lentino mandò poche settimane prima delle elezioni a Silvio un telegramma strappalacrime per la morte di mamma Rosa. Ma non servì. Poi la costanza e la raffica di lodi al potente di turno hanno fatto centro: questa volta ci è riuscito.