Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 11/1/2013, 11 gennaio 2013
L’INTERVISTA NINETTO DAVOLI “CON PIER PAOLO PARLO TUTTI I GIORNI”
Nelle giornate particolari: “Quando devo decidere qualcosa di importante”, Ninetto parla ad alta voce con “Pierpà”. Il profilo incorniciato nelle foto sopra il tavolo. L’amico che ancora gli fa visita nei sogni. Il consiglio onirico che, mediato dal friulano, trasmuta in romanesco: “Pierpà me lo ripete sempre: ’Nine’, de fa’ quello che te viene facile è capace qualsiasi stronzo, tu devi fa’ il contrario, devi sperimentà”. In una via dedicata a un luogotenente di Giulio Cesare, nell’appartamento a due passi da Cinecittà che proprio Pasolini consigliò a Davoli al principio dei ’70, ogni cosa riporta a lui: “Venivo dalla borgata e mi ero trasferito in un tugurio non distante da ciò che avevo sempre visto. Pier Paolo venne in visita e disse: ‘fa schifo, devi scappare. Ho io la casa che fa per te’”. Capelli ormai bianchissimi che ritagliano i decenni, nipoti che sciamano, caffè sul fuoco: “C’ho una polmonite, ma non me può fa’ male, no?”, libri, memorie di 10 film insieme, reliquie: “il divano e gli altri mobili sono quasi tutti di Pier Paolo”. Davoli è appena tornato da New York, dove la sua risata piena ha accompagnato una riuscita retrospettiva su Pasolini organizzata dal Moma e dall’Istituto Luce: “Hai da vede’ le file, la curiosità, i 20enni. Pier Paolo è ancora un universo da scoprire”.
A lei accadde per caso.
Mi portarono su un set. Non sapevo neanche chi fosse: “Piacere, Pasolini”. Una carezza in testa. Una mano che si sporge da una macchina. Una voce: “Ciao, ciao”. Semplice. Come era lui.
Come era lei.
I ragazzini scalzi, la borgata, un terzo mondo che ricordo con tristezza e piacere. A casa lavorava solo papà. Mamma curava l’orto e con 5.000 lire al mese, doveva pensare a ogni cosa. Raso, raso, con grandi razioni di pane, sale e pomodoro, ce la faceva sempre.
La fame?
I sacrifici. I cessi all’aperto. L’inverno freddo, tra le lamiere. Mio fratello lavorava in pasticceria. Riportava a casa un po’ di crema. Era una festa. Roma era diversa. C’era solidarietà. Non è che non la riconosca, ma non mi ci trovo. Non mi adatto. Sulla deriva odierna, Pier Paolo aveva capito tutto. Salò è un film terribile. Definitivo. Una fotografia: “Siamo nella merda”. Che vuoi dire ancora?
Ne parlavate?
Proprio la sera in cui l’ammazzarono: “I giovani nun se possono più guarda’ in faccia Nine’, hanno espressioni cattive”. E io a ribattere: “Pà, le cose cambiano, si trasformano”. Gli faceva pena la gioventù del domani. Pensava saremmo arrivati al baratto. Ha sbajato? Non credo.
Nostalgia?
Se parli del passato ti guardano male, ma se penso a ieri, vedo una purezza che oggi non c’è più. Un tempo preciso, nell’incontro e nel gusto della conversazione e della conoscenza reciproca, completamente scomparso. Pier Paolo è stato amato e odiato. Era inevitabile. A volte lo aggredivo anch’io: “A Pà, ma che sei pazzo? Ma che stai a scrive che i poliziotti a Valle Giulia avevano ragione? Ma li mortè! Non le puoi di’ ‘ste cose”. E lui, paziente, ricominciava da zero. Spiegava.
La convinse a fare l’attore.
Ai tempi del Vangelo non volevo saperne: “Nun esiste, Pà”. Poi mi preoccupai di mettere paletti chiari: “Basta che nun me fai parla’”. In Uccellacci e Uccellini la spinta decisiva fu il denaro. “Guarda che ti pagano”. Io scettico: “Ma quanto?”. “Un milione”. “Che me danno?, quanno iniziamo?”. Improvvisavo le battute che dicevo nella vita, rappresentavo me stesso. Pier Paolo era svelto, si metteva in spalla la camera e girava. Una volta Tonino Delli Colli, il direttore della fotografia, lo inseguì: “Pierpà, nun ce sta la pellicola”. E lui: “Non fa niente”
Un’indagine sulla morte di Pasolini la fece anche Sergio Citti con un video.
Mai capito il senso di quella operazione. A cosa serve, a cosa sia servita. A Citti lo dissi. Non la prese bene. Discutemmo . Mi liquidò: “Che ne capisci te?”. Quel che è accaduto all’Idroscalo comunque non si saprà mai. Il caso è stato riaperto, inutilmente, un’infinità di volte e Pelosi non dirà la verità.
Perché?
Perché è un ragazzo che parla la lingua della borgata. E in borgata, con giudici e Polizia, parlano solo gli infami. Pelosi sicuramente non era solo. Materialmente, forse, Pier Paolo non l’ha ucciso lui. Magari ha visto e sa chi è stato, ma non confesserà. Paolo inciampò in una serata sbagliata, ma non credo che sia morto per una congiura. Se ci penso divento nervoso. Mia moglie che mi dice : “Perché non lo accompagni?” io che le rispondo: “Patri’, è adulto, non lo posso riportà ogni sera, vuò anna per conto suo”. Mangiammo al Pommidoro, a San Lorenzo, il proprietario è un caro amico. Non ci metto piede dal ’75. Il trauma non l’ho mai superato.
Pasolini oggi avrebbe 90 anni.
Ci manca il coraggio di parlare. Lui ce l’aveva. Era timido, buono e sensibile, se covava un’aggressività, era nelle idee. Poi era malinconico. Pessimista. Non rideva molto. Anzi, lo facevo ridere solo io. Guardi ‘sta foto, qui non ride tanto.
È il battesimo di suo figlio.
Si chiama Paolo, come lui. In chiesa, il giorno in cui mi sposai, Pier Paolo sembrava un cane bastonato.
Il suo matrimonio fu uno choc?
Uno choc no, ma un dispiacere sì.
Quanto ci mise a perdonarla?
Bè vabbè, nun è che me doveva perdonà, era successa una cosa normale. Un amico che si innamora non dimentica l’altro amico. A Paolo volevo un bene assoluto. Guai a chi me lo guardava. Je menavo.
Stesso carattere di Laura Betti.
Geniale, stupenda e matta, ma matta veramente. A casa sua, in via del Babuino, feci il bagno più bello della mia vita. Vidi la vasca: “Ma che è, una bara?”. Poi mi sdraiai. Il Badedas buttava schiuma. Non l’avevo mai vista. Fino a quel giorno mi ero lavato con il sapone Scala.