MARK FRANCHETTI*, La Stampa 14/1/2013, 14 gennaio 2013
Nostalgia dell’Urss l’impero rivalutato - Vent’anni dopo il crollo dell’Urss ecco un sondaggio che potrebbe apparire sorprendente: quasi la metà dei russi rimpiange la sua fine
Nostalgia dell’Urss l’impero rivalutato - Vent’anni dopo il crollo dell’Urss ecco un sondaggio che potrebbe apparire sorprendente: quasi la metà dei russi rimpiange la sua fine. Che strano, potrebbero pensare in tanti fuori dalla Russia. Ma come? Non era un impero del male che opprimeva il suo popolo? Ma non volevano la libertà, i russi? Questo è l’errore fondamentale che l’Occidente, soprattutto l’America, continua a fare nell’analizzare la Russia. Tendiamo a pensare che vent’anni fa la Russia fu «liberata» dopo sette decenni di repressione comunista, e che adesso, ovviamente, vorrebbe diventare come noi. Per decine di milioni di russi la verità è molto diversa. Ammettono che l’Urss era piagata da tanti mali, ingiustizia e crudeltà. Era un Paese ben lontano dall’ideale. Ma era un impero, una superpotenza la cui influenza veniva pareggiata solo da quella dell’America. L’Urss era temuta e rispettata. Contava. Durante la guerra fredda provavamo un brivido a vedere le parate militari sovietiche attraversare la Piazza Rossa. La maggior parte dei sovietici ne andava fiera. Difficile sopravvalutare il trauma psicologico che milioni di russi hanno subito nel perdere il loro impero. La popolarità da rockstar di Mikhail Gorbaciov in Occidente e l’antipatia viscerale con cui viene visto in patria ne sono il sintomo. L’Occidente lo plaude per il suo contributo alla fine dell’Urss. La Russia lo disprezza per lo stesso motivo. L’ironia della sorte sta nel fatto che Gorbaciov voleva soltanto riformare l’Urss, non ucciderla. E anche lui ne rimpiange il collasso. Ma nella nostalgia russa per il passato sovietico c’è molto di più che l’orgoglio nazionale ferito. In Occidente siamo succubi della nostra stessa propaganda della Guerra Fredda, pensando che tutto quello che era sovietico fosse nefando. Ma per quelli cresciuti con il comunismo, l’Urss era la patria, con la sua cultura, tradizioni, principi e ricordi d’infanzia. La nonna di mia figlia Sasha ai tempi sovietici era un’anticomunista. Ma 20 anni dopo la fine dell’Urss quasi tutti i suoi ricordi di quel periodo sono positivi. La legge, l’ordine, la solidarietà, lo Stato sociale che garantiva un posto all’asilo, un lavoro, una pensione, cure mediche, accesso a una buona istruzione e alla cultura. Grazie alla privatizzazione post-comunista, lei oggi è proprietaria del suo appartamento, ma a 67 anni percepisce solo 300 euro di pensione al mese. Il suo disgusto nei confronti della Russia di oggi, con la sua corruzione e ingiustizia sociale, è tale che in soli 20 anni è passata dall’odiare i comunisti ad affermare che il suo Paese oggi ha bisogno di un nuovo Stalin. Per quanto queste opinioni possano apparire sconvolgenti, un fatto è innegabile: per lei e per decine di milioni di russi travolti dalla transizione dal comunismo al capitalismo sfrenato, la vita in Urss era migliore. E questo è importante perché nel suo cuore Vladimir Putin, leader del Paese dal 2000 e ancora per molti anni a venire, è un sovietico. Anche lui rimpiange intensamente il collasso dell’Urss. E se si vuole capire meglio come la Russia vede se stessa e il resto del mondo nel 2013, bisogna accettare il fatto che le ferite psicologiche inflitte dalla perdita dell’impero sono ancora fresche. Milioni di russi, Putin incluso, guardano all’Occidente soprattutto all’America e alla Gran Bretagna - con un complesso sia di superiorità che di inferiorità. Il primo è dettato dal ricordo dell’impero che fu. Il secondo dalla sua morte. Eravamo una potenza, ora non più. La Guerra Fredda è finita più di 20 anni fa, ma i suoi pregiudizi persistono da entrambi i lati. Molti in Occidente reagiscono alla Russia negativamente in maniera istintiva. Durante la sua campagna elettorale contro Obama, Mitt Romney è arrivato a dipingere la Russia come la maggiore minaccia estera per l’America. Dall’altra parte, in Russia, l’anti-americanismo è sempre più forte. Buona parte dei russi pensa che il suo Paese sia assediato dall’Occidente: «Ci vogliono deboli, vogliono il nostro petrolio». «Guardate come la stampa britannica parla male di Berlusconi», dissi una volta a un ufficiale dell’Fsb (ex Kgb), cercando di difendermi dalle accuse di parlare male di Putin sul giornale. «Ah - mi rispose - ma non ci è sfuggito che avete cominciato a perseguitare Berlusconi dopo che è diventato amico di Putin». L’America ha accolto la fine dell’Urss con esultanza. Era naturale. Ma altrettanto ovvio era il risentimento con il quale i russi avrebbero accolto il suo trionfalismo e le sue continue prediche. Con il tempo il rimpianto per l’Urss non potrà che diminuire, man mano che cresceranno nuove generazioni nate dopo la sua fine. Resta da vedere quale sentimento rimpiazzerà la nostalgia. «Non potete capire la Russia con la ragione», dicono i russi con orgoglio, citando un loro poeta. È un loro vecchio trucco, insistere sul mito che la Russia sia troppo enigmatica e complessa per venire compresa. Non è cosi. Vent’anni dopo, questa è la chiave per capire la Russia di Putin. Sono passati solo vent’anni da quando la bandiera sovietica venne ammainata per sempre dal Cremlino. Per la storia, vent’anni sono un battito di ciglia. Non è una scusa, è un fatto. *Corrispondente da Mosca del Sunday Times di Londra