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 2013  gennaio 12 Sabato calendario

Ieri sera in tutti i teatri italiani il pubblico s´è alzato in piedi e ha battuto le mani in omaggio a Mariangela Melato

Ieri sera in tutti i teatri italiani il pubblico s´è alzato in piedi e ha battuto le mani in omaggio a Mariangela Melato. Come molti grandissimi attori, anche lei avrebbe voluto morire sul palcoscenico, ma non si può scegliere né prenotare il luogo dell´ultima parola. Le penultime, via sms, le aveva rivolte agli amici più cari, mercoledì. L´aveva fatto con una chiarezza tutta sua e una puntigliosità da Milano che non c´è più (se le cose puoi farle tu non lasciarle fare agli altri), una Milano che le era rimasta dentro anche dopo quarant´anni di residenze romane. La prima era in via Santa Maria dell´Anima, vicino a piazza Navona. Come l´ultima, in via dei Giubbonari. Sembrava la casa di una studentessa, o di un´insegnante, per via dei tanti libri. Di una diva, no di sicuro. Nemmeno sembrava una diva quella ragazza magnetica, fuori dai canoni usuali della bellezza, che aveva fissato l´intervista alle 10 di mattina, e in tuta da ginnastica diceva «ce lo facciamo un cafferino?» e poi sistemava la caffettiera sul fuoco. Una grandissima attrice, poi ognuno può ricordarla nei ruoli che preferisce, in quel caleidoscopio impazzito che crea una morte dolorosa. Uno dei frammenti più colorati è la sciura Raffaella Pavoni Lanzetti, signora oca della Milano-bene, poi strapazzata da Giannini, il marinaio Gennarino. Nel parlare aveva imitato la sorella di Krizia, che le telefonò dopo la prima: «Sei una stvonza, ma devo dive che mi hai copiato bene». I film della Wertmuller con Giannini , Travolti da un insolito destino, Mimì metallurgico rivelavano il lato da commedia brillante di Mariangela ed erano alternati a quelli più impegnati, con Petri, Monicelli, Giuseppe Bertolucci, Brusati, gli ultimi due con registi non famosissimi (Zaccaro e Ventura) perché lei s´innamorava dei ruoli, dei personaggi, non sceglieva in base all´ingaggio. Lei era libera, meravigliosamente libera, a volte dolorosamente libera, ma la solitudine faceva parte delle scelte. O forse si potrebbe parlare di solitarietà, conio di Aldo Busi, che è uno stato diverso dalla solitudine: è il bastarsi, il non dipendere. È dire, e lei l´ha detto in tante interviste, che una donna può realizzarsi anche senza avere un marito, anche senza fare figli. Non l´ha solo detto, l´ha vissuto. Il cinema era per lei divertimento, passione, ma il vero amore era il teatro. Iniziò nel ´60 con la compagnia di Fantasio Piccoli, e poi Fo, Visconti, Strehler, molto Ronconi. È stata Medea e Madre Coraggio, i personaggi cui era più affezionata sono Olimpia, Ersilia Drei, Blanche di Un tram che si chiama desiderio, una donna di 337 anni nell´Affare Makropulos e per contrappasso (per curiosità, perché bisogna sempre mettersi alla prova) le sarebbe toccato Maisie (strepitosa, impersonava senza bambineggiare una bambina di pochi anni). Siccome era capace di fare tutto (cantare, ballare, recitare) non s´è negata una commedia musicale con Garinei-Giovannini (Alleluja brava gente). Né uscite brillanti in tv, un´altra scheggia del caleidoscopio è lei che entra in scena appallottolata in una valigia e ne esce alla Zizi Jeanmaire. Né uno spettacolo stile one woman show (lei con sei boys): Sola me ne vo, aveva anche scritto i testi, riecco la solitarietà: «Sono cresciuta con l´idea dell´indipendenza. Non sento la mancanza di un marito o di un figlio. Non sopporto le donne che elencano i loro amori sbagliati, è come darsi dell´imbecille. Io sono selettiva, non ho mai perso tempo o spartito la vita con un cretino». Uno degli uomini più importanti nella sua vita è stato Renzo Arbore. La lunga storia, riannodata cinque anni fa, sembrava finita. «Dopo sette anni, è bastato un mese di convivenza ad aprire qualche crepa. Presenti sempre ma conviventi mai». Il più importante è stato Adolf, il padre, radici ad Hannover, cognome Hoening, italianizzato sotto il fascismo. Vigile urbano. «Bellissimo nella divisa da ghisa, i baffi alla David Niven. Quando mi portava per mano ai giardini di piazza Cavour ero la bambina più felice del mondo. Parlava poco, ma mi faceva sentire sicura nella sua ombra. Era stato internato a Dachau. Ogni "prima" mentalmente la dedico a lui, è morto che avevo appena cominciato a recitare. Credo di non aver mai preso seriamente in esame un possibile marito perché edipicamente l´avrei messo a confronto con mio padre, e avrebbe vinto mio padre». Il dolore degli ultimi mesi, Il dolore di Marguerite Duras come ultimo spettacolo (insieme a Nora alla prova con la regia di Ronconi), lanciato con successo e poi interrotto per la malattia. Il lungo monologo di una donna che aspetta il marito, internato a Dachau. «Il monologo lungo era roba da primedonne, quel che ho sempre cercato di non essere. Ma siccome c´è sempre da imparare, mi ci sono buttata. Da qui in poi voglio fare solo spettacoli utili. Grazie a quei coglioni di negazionisti molti giovani non sanno cos´è stato l´Olocausto e allora proviamo a farglielo capire». Milanese di zona Brera, commessa e vetrinista alla Rinascente, esordio al cabaret di Franco Nebbia in I love you, rana toro, testi di Vaime, Mariangela è nata e cresciuta in una Milano di ringhiera (per la solidarietà) e di frontiera: il Giamaica come i Deux Magots, Brera come la Rive Gauche, Mariangela truccata da Juliette Greco. «Sono legata a una città scomparsa, questa è involgarita, infestata da gente finta, povera di cuore, nemica della cultura». E l´Italia? «Per me la cultura serve a comportarsi meglio, ma alla maggior parte dei politici della cultura non importa nulla. L´Italia sembra fondata non sul lavoro, non parlo solo del posto ma della cultura del lavoro, del sacrificio, ma sull´ingiustizia. Dopo aver detto peste e corna di questo o quel governo dovremmo prendercela anche con la nostra immobilità, la nostra schifosa rassegnazione. La nostra tv è da terzo mondo, o si cucina o si canta, tutto è plastica e finta felicità, il nostro cinema è pieno di bravini, di precisini che non trasmettono granché, si salva ancora il teatro perché è tutto senza rete di sicurezza, non è come al cinema che una scena la puoi rifare venti volte finché non viene bene». Essere curiosi mantiene giovani, o rallenta l´invecchiamento. Non lo temeva, né temeva le rughe. Citava la Magnani che diceva al truccatore: «Core, nun me le toccà che ciò messo ´na vita per avelle». Aveva una sola paura: «Quella di perdere il controllo del cervello, dei pensieri, dei sentimenti». Non è accaduto. Si chiude il sipario, per modo di dire. Prévert (Cet amour) era la prima recita in pubblico, davanti ad Esperia Sperani. E Prévert l´accompagni: le jardin reste ouvert pour ceux qui l´ont aimé. Anche se Mariangela è stata più d´un giardino. È stata l´isola del tesoro. Lei era l´isola, lei era il tesoro.