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 2013  gennaio 12 Sabato calendario

ALITALIA PER IL FOGLIO DEI FOGLI


Dalla mezzanotte di sabato 12 gennaio è scaduto il lock up delle azioni Alitalia. A quattro anni dal salvataggio della compagnia di bandiera, i ventuno soci della cordata possono vendere liberamente le loro quote. In realtà il vincolo vero e proprio scade il 28 ottobre prossimo: allora verrà meno il diritto di prelazione che ciascun socio può vantare nei confronti di un altro che voglia vendere, e anche l’obbligo che il passaggio di quote venga sanzionato dal consiglio di amministrazione. [Antonella Baccaro, Corriere della Sera 9/1]

L’acquirente naturale di Alitalia dovrebbe essere Air France, socio industriale e primo azionista con il 25%, che però ha negato contatti e interesse a rilevare le quote almeno fino al 2014. Il presidente della compagnia Roberto Colaninno avrebbe sondato la banca d’affari Rothschild per studiare soluzioni diverse da Air France, anche se senza un mandato formale. Nei giorni scorsi ha negato ogni coinvolgimento Emirates mentre Etihad, anch’essa degli Emirati Arabi, ha dato timidi segnali d’interesse. [Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 12/1]

Air France sembrerebbe intenzionata a comprare il 75% delle azioni dei soci italiani non in contanti, ma con carta, cioè con proprie azioni in un aumento di capitale. Dopo il calo nel 2011, le azioni Air France-Klm sono risalite, al momento il gruppo ha un valore di Borsa di circa 2,4 miliardi di euro. Questo non sembra ancora sufficiente per poter offrire in concambio una quota azionaria che risponda al desiderio di molti soci italiani di incassare un premio (si parla del 30%) rispetto al capitale versato nel 2008. [Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore 8/1]

La compagnia del Golfo Etihad ha già rilevato in Europa il 29,1% di Air Berlin e il 3% di Air Lingus. Ed è legata a un’alleanza commerciale con Air France. Spiega Ettore Livini: «La mossa degli emiri pare più che altro tattica. Obiettivo: tenere acceso un faro su un mercato in rapida evoluzione e interessante come quello tricolore. Difficile che Etihad vada allo scontro frontale con Air France. Per almeno due motivi: il primo è che non può rilevare più del 49,9% di Alitalia (non essendo un vettore Ue farebbe saltare tutti gli accordi bilaterali di volo). Il secondo è che con i soldi necessari per acquistare il controllo del vettore italiano, Abu Dhabi potrebbe rastrellare direttamente in Borsa più del 50% del colosso dei cieli transalpino». [Ettore Livini, la Repubblica 9/1]

È probabile quindi che a breve non succederà nulla. I venti soci italiani sono divisi. I più piccoli vorrebbero vendere subito per limare le perdite. «Non è un mistero che gli imprenditori della cordata tricolore non vedano l’ora di uscire da un’operazione voluta più dalla politica che dal senno imprenditoriale e lontana, per molti, dalla loro attività principale. Tra i maggiori azionisti di Cai/Alitalia figurano la famiglia Riva (10,6% di Cai), i Benetton attraverso Atlantia (8,9%), Banca Intesa (8,9%), Angelucci (5,3%), Toto (5,3%), Equinox (3,8%), Unipol (ha ereditato il 4,4% di Fondiaria Sai), Cesare Carbonelli (3,1%), Pirelli, Gavio e Acqua Marcia (1,8% ciascuno). [Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 8/1]

Ora la vera emergenza per Colannno & Co. sono i conti. In seguito alle perdite accumulate dalla nascita a oggi, 678 milioni nei primi tre anni di attività, altri 173 milioni nei primi nove mesi del 2012, più quelle non ufficializzate che anche nei mesi successivi hanno continuato a mordere il conto economico, si prevede che entro pochi mesi la compagnia avrà bisogno di una ricapitalizzazione. A fine settembre il patrimonio netto consolidato era sceso a circa 300 milioni, rispetto ai 1.169 milioni della dote del 2009 (847 milioni versati dai soci italiani e 323 milioni da Air France-Klm). [Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore 8/1]

Ma come si è arrivati a questa situazione? Intanto, bisognerebbe ricordare che Romano Prodi nel 2006 mise all’asta l’azienda con criteri capaci di far fuggire tutti i possibili acquirenti. «Dopo aver perso due anni di tempo, per colpa di quel presidente del Consiglio e dei sindacati che tentavano disperatamente di mantenere in piedi il sistema di clientele e di favoritismi degli anni precedenti, arrivò questa offerta Air France alla quale fece il viso delle armi soprattutto Bonanni della Cisl. Berlusconi, subodorando un vantaggio elettorale, gli andò dietro. Air France, per perfezionare l’acquisto, aveva però posto cinque condizioni. Una di queste era che i sindacati (tutti e nove) fossero d’accordo. L’altra che il petrolio non crescesse di prezzo (a giugno arrivò a 140 euro)». [Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 12/1/2010]

Poi arrivò Berlusconi, che si affidò a Bruno Ermolli per mettere insieme un gruppo di «patrioti» intorno a Colaninno, a Intesa e a Carlo Toto, il patron della compagnia Air One indebitatissima con quella banca. Ricorda Sergio Rizzo: «Il Cavaliere era di nuovo sulla cresta dell’onda. Si fecero così avanti Francesco Bellavista Caltagirone, i Riva dell’Ilva di Taranto, Marco Tronchetti Provera, concessionari pubblici autostradali quali Gavio e Atlantia, la signora Edoarda Vesel, vedova di Camillo Crociani che aveva appena venduto allo Stato per 108 milioni il ramo d’azienda per anni monopolista del controllo dei cieli... Finché, cacciata dalla porta, pure Air France non rientrò dalla finestra. Alla grande, con il 25%: il singolo pacchetto azionario più consistente». [Sergio Rizzo, Corriere della Sera 10/1]

Certo, i manager che si sono succeduti a Fiumicino ci hanno messo del loro per far precipitare la situazione. Daniele Martini: «Basterebbe pensare a Giancarlo Cimoli, l’amministratore che tra le macerie ha salutato l’azienda dopo essersi infilato in tasca oltre cinque milioni di euro di buonuscita. Tutti però hanno un’attenuante: aver agito in stato di costrizione politica. E nello stesso tempo un’aggravante: non aver fatto nulla per sfuggire alla morsa, accomodandosi spensierati dietro ben remunerate scrivanie, come topi nel formaggio». [Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 11/1]


Antonella Baccaro sul Cds ha calcolato che il salvataggio Alitalia è costato allo stato circa 3,2 miliardi di euro. «Il costo più pesante che si imputa all’operazione lanciata per salvare l’italianità della compagnia è il maggior esborso che lo Stato si è caricato per non aver scelto la soluzione francese. Air France-Klm, osservano gli esperti, avrebbe pagato l’acquisto della compagnia tramite un concambio di azioni (che oggi, con la quotazione in Borsa di Af-Klm, sarebbe redditizio). In più si era impegnata a versare in Alitalia un miliardo di euro oltre a accollarsi 1,4 miliardi di debiti finanziari netti, che invece la soluzione Cai ha lasciato alla bad company, la vecchia Alitalia, la cui liquidazione, curata fino a un anno da dal commissario Augusto Fantozzi, non si è ancora conclusa». [Antonella Baccaro, Corriere della Sera 8/1]

Quando Fantozzi prese in gestione la bad company, nel novembre del 2008, conteggiò una massa passiva di 3 miliardi e 200 milioni di euro a fronte di entrate per un miliardo e 52 milioni dalla vendita a Cai (soltanto in parte in contanti) e di ipotetiche vendite degli asset per massimo 700 milioni di euro. La differenza fa esattamente quel miliardo e mezzo di debiti che Air France si sarebbe accollata. [Antonella Baccaro, Corriere della Sera 8/1]

Ora in piena campagna elettorale, la politica è tornata prepotentemente a interessarsi del futuro della nostra compagnia di bandiera. Livini: «I fan dell’italianità stanno provando a mettere una rete di protezione attorno ai soci tricolori. Il braccio armato potrebbe essere il Fondo di investimento strategico della Cdp, magari in appoggio a un’operazione che preveda un ingresso in minoranza di Etihad concordato con Parigi. Una soluzione che farebbe contenti tutti: Air France che non ha i mezzi per un’acquisizione tout court di Alitalia (almeno fino a quando i suoi titoli non saliranno ancora in Borsa), i soci italiani che non sarebbero costretti a mettere mano a portafogli non proprio ricchissimi e gli emiri che presidierebbero a quel punto anche il sud dell’Europa con una partecipazione diretta». [Ettore Livini, la Repubblica 9/1]