Stefano Zurlo, il Giornale 11/1/2013, 11 gennaio 2013
Carriere brillanti. Posizioni di tutto rispetto nella società. Visibilità già alta alla ruota del pavone dei media
Carriere brillanti. Posizioni di tutto rispetto nella società. Visibilità già alta alla ruota del pavone dei media. Non importa. Il richiamo del Palazzo funziona come una calamita irresistibile per la legione straniera arruolata al bancone della società civile. Professori, scienziati, giornalisti, magistrati: avevano già realizzato il loro libro dei sogni, ora lo chiudono e ne aprono un altro, o almeno ci provano, pronti a sedersi nei tanto vituperati banchi di Palazzo Madama o di Montecitorio. La lista delle eccellenze si allunga ogni giorno e quotidianamente sorprende: prendiamo Ilaria Capua, classe 1966, virologa di fama internazionale, in buona sostanza colei che ha scoperto il virus dell’aviaria. La prestigiosa rivista American Scientist l’ha consacrata fra i 50 cervelli al top mondiale, lei chiude bottega e si appresta a correre dietro lo scudo di Monti. Stesso percorso per un giornalista affermato e stimato come Mario Sechi, direttore del Tempo e volto televisivo, non ancora arrivato alla linea d’ombra dei 45 anni. Anche lui ha ceduto alla tentazione e si è imbarcato sul battello montiano lasciando la direzione del giornale. Certo, Sechi non è un «senatore» a fine corsa, in cerca, come si dice in questi casi, di un laticlavio. Però pure lui tenta il grande salto, dopo aver scalato la propria professione. Certo, queste scelte possono nascere all’incrocio di diversi input : il corteggiamento da parte dei big della politica, dosi supplementari di ambizione con bagno di adrenalina, la voglia di misurarsi sul terreno del consenso popolare e il desiderio di mettere al servizio del Paese il proprio talento, ma non va sottovalutato nemmeno il fascino intramontabile, anche se logoro, dei luoghi simbolo della casta. La casta sarà pure, con termini irriferibili, sulla bocca di tutti, ma la casta resta sinonimo di potere, di stipendi fissati ad un’altezza vertiginosa, di indennità lussuose, di privilegi che portano via dalla routine cui tutti siamo condannati. E allora scrivanie o cattedre, pure prestigiose, possono andare in soffitta. Andrea Romano, professore di storia contemporanea a Roma Tor Vergata, autore di numerosi libri sulle culture politiche del Novecento, editor per la saggistica della Marsilio editore, dovrebbe diventare il capolista dei centristi in Toscana. Il tutto sul crinale, pur sempre promettente dei 45 anni. Ed è ancora più corto il tratto compiuto da Miguel Gotor che a soli 41 anni è già sulla cattedra di storia moderna a Torino, sede di indiscusso spessore. Pure lui va ai blocchi di partenza, con la casacca del Pd. Per carità, quando il dato anagrafico è così favorevole si può anche immaginare che l’esperienza nella capitale sia un passaggio, una fase di arricchimento prima di concentrarsi di nuovo sui propri studi. Ma intanto si passa da un binario all’altro. E si archiviano, provvisoriamente o per sempre, chissà, biglietti da visita importanti. Massimo Mucchetti, classe 1953, era fino a pochi giorni fa vicedirettore ad personam della corazzata dell’editoria italiana, il Corriere della Sera . E scriveva con competenza di economia e finanza, temi caldissimi e di grande attualità. Oggi Mucchetti è già proiettato in una nuova vita e parte come capolista del Pd al Senato in terra lombarda. Tutti ai seggi, dunque. Come candidati. Si candida Antonio Ingroia, magistrato già sotto i riflettori delle tv e fino a poche settimane fa procuratore aggiunto nella delicatissima trincea di Palermo, autore di saggi corrosivi e di alcune delle inchieste più delicate della nostra epoca. Da ultimo Ingroia aveva ottenuto un incarico di grande importanza in Guatemala dove era stato chiamato dall’Onu a dirigere una task force in prima linea nella lotta ai narcos. L’avventura in Centroamerica è durata un battito di ciglia, ora Ingroia è di nuovo in Italia, agguerrito e roccioso interprete del mitico Quarto polo. Stefano Dambruoso invece si colloca al centro e accetta la sfida di Monti. Dambruoso aveva indagato, prima dell’11 settembre, sulla rete di Al Qaeda e il settimanale Time lo aveva consacrato in copertina. Oggi, sulla soglia dei cinquant’anni, Dambruoso, che non vuole tornare alla vita del Palazzo di giustizia, riprende quota nel centro montiano. E si separa dal suo pur glorioso passato. È la stessa traiettoria di molti personaggi che evidentemente sono convinti di farcela. Di non rimediare una brutta figura, anche perché le candidature di questo rango di solito sono trampolini sicuri. Ascensori che si fermano direttamente al piano dell’elezione. E qui portano al carrello dei bonus, messi in forse e mai cancellati, delle auto blu, tagliate e puntualmente circolanti, delle retribuzioni che svettano sempre lassù. Dove le altre professioni si affacciano raramente.