Paolo Bracalini, Il Giornale 11/1/2013, 11 gennaio 2013
Da venerati maestri o giovani promesse a soliti noti, o anche meno, nel lampo di una frase: mi candido
Da venerati maestri o giovani promesse a soliti noti, o anche meno, nel lampo di una frase: mi candido. Li si ascoltava con rispetto, ora li si guarda come dilettanti allo sbaraglio, messi sotto senza sforzo da mestieranti della politica che un attimo prima, davanti a loro, si sarebbero taciuti. È bastato un attimo e si ritrovano semplici questuanti di voti, tra i mille altri nel suk elettorale, ex personalità autorevoli divenute aspiranti colleghi di Scilipoti, con relativo downgrading istantaneo, giornalisti influenti prossimi a mutarsi in «un manipolo di frustrati, costretti a pigiare un pulsante in base agli ordini di partito» (Gramellini sulla Stampa). Ma chi gliel’ha fatto fare? L’effetto, su tutti, è tristemente peggiorativo: tendono a sgonfiarsi come palloncini. A Piero Grasso, quando parlava da procuratore nazionale dell’Antimafia, si dedicavano copertine di settimanali e interviste dalla prima pagina sui quotidiani, per rimarcare l’eccezionalità dell’interlocutore. Adesso, da candidato nell’esercito di mille candidati, e fuori dai recinti di competenza (le reti criminali, il business della ’ndrangheta, le rotte della cocaina), magari a parlare di Imu o di ricette per ridurre il debito pubblico, racimola persino lui, magistrato stimato, magre figure, esposto al giudizio ultimo del telespettatore-elettore. La Rete poi è spietata e commenta in diretta. Mentre Grasso parlava a Ballarò, da candidato tuttologo, su Twitter lo sbertucciavano come l’ultimo dei peones dalla sintassi malferma: «La mafia si mangia le mani. Ha fatto di tutto per screditare Grasso, bastava mandarlo a Ballarò», «Se Grasso lottava contro la mafia come lotta contro l’italiano, era un partita persa», e via con una lunga serie di stroncature micidiali. In tv, da politici, tocca parlare di tutto, e specie, di questi tempi di finanza pubblica, spread e swap, anche senza essersene mai occupati. A quel punto le ricette possono diventare bizzarre. Grasso, ad esempio, ha proposto che gli italiani consumino solo prodotti italiani, una specie di autarchia. Sempre Twitter: «Consiglio un corso di economia domestica agli ex-magistrati... Tra Ingroia e Grasso sto affogando nelle lacrime...». Perché un altro che ha perso l’aura di santone per diventare santino elettorale è proprio Ingroia, anche lui già decaduto al rasoterra dello show politico. Da candidato, il telespettatore ti fa, legittimamente, l’esame a raggi X, come ti vesti, come parli, come rispondi alle provocazioni, qualità che da magistrato o professore universitario potevi anche non avere, ma da politico sì. E qui, specie i magistrati, cascano col botto. «Grasso, Ingroia, Di Pietro. Per entrare in magistratura bisogna fare un esame di lingua italiana. E non superarlo». Anche Ingroia, pur controverso come pm, lo si leggeva con attenzione in cerca di segreti di Stato. Adesso, da capolista tra le liste, sembra anche lui l’avventore del Bar Sport, specie quando si arrabatta sull’economia. L’effetto del suo diario del Guatemala, già interrotto alla seconda pagina, è perturbante, perché letto inevitabilmente come programma politico. E vai con lo sfottò anche per lui, spernacchiabile in quanto già politico (categoria con credibilità pari ai venditori di orologi sul canale 956) quando dice che ha lasciato l’incarico Onu in Guatemala perché «quando la Patria chiama occorre rispondere», ma che se gli va male non ha dubbi «che alle Nazioni Unite e in Guatemala siano pronti a riaccogliermi», Onu a cui peraltro ha spiegato, dopo qualche settimana di permanenza caraibica, come migliorare la lotta «contro l’impunità a ogni latitudine, Guatemala compreso». Già pronto per la copertina di Crozza. Il downgrading colpisce tutti. Anche l’austero Monti, a cui prima ci saremmo rivolti con il voi, ora fa «wow» e faccine su internet, costringendo il direttore del Corriere (dove Monti vergava editoriali) a bacchettarlo pubblicamente: «Niente wow e faccine, è come andare in bermuda all’inaugurazione di un anno accademico». Gli altri già in mutande, Monti almeno in bermuda. Si sgonfia pure Irene Tinagli, docente universitaria e ora candidata montiana, dopo decenni di studi non trova di meglio, interrogata sulle ricette per abbassare le tasse, che dire: «Un gruppo di esperti sta studiando come». A quaranta giorni dal voto, attende gli esiti. Anche per lei riduzione di statura in vista. Salgono in politica, scendono di peso.