Flavio Vanetti, Sette 11/1/2013, 11 gennaio 2013
«E PENSARE CHE VOLEVO FARE L’ECONOMISTA»
[Un panettiere come sponsor, il gioco degli investimenti,
il sogno di sfidare Bolt (in bicicletta). Il discesista azzurro
si racconta. Spingendosi persino nel terreno minato
della politica. E su un certo Tomba precisa: «Tre medaglie a un Mondiale, in discipline diverse, non le ha vinte nemmeno lui»] –
B
ella, questa: sentirsi «modello e monello» aiuta a essere un campione dello sci. «Sì, è così. Perché prestare l’immagine al mondo della moda, crea il personaggio. E ’’massaggia’’ il tuo ego. Invece, quella dose di monello è indispensabile per andare allo start, fare il pieno di adrenalina, lanciarsi lungo un pendio e accarezzare la velocità, che è poi la colonna sonora della mia esistenza».
Christof Innerhofer, in verità, è diventato un numero uno prima che sbocciasse la sua propensione per le sfilate (ora è tra i testimoni di una griffe italiana) e per le sedute fotografiche, anche se il ragazzone di Gais – profondo Alto Adige – non manca di ricordare di essersi già dedicato a questa «mission» quando ancora non aveva al collo le tre medaglie dei Mondiali di Garmisch 2011. Reclamizzava mutande e aveva un piano pruriginoso, confessato tra fragorose risate nei giorni gloriosi in Baviera: regalare qualche completino “giusto” dello sponsor ad amiche carine. «Altri tempi» sospira “Inner”, «all’epoca ero single e non dovevo giustificarmi. Oggi ho a fianco Martina, una giornalista, e tanto è cambiato. Una volta una relazione importante mi faceva sentire in gabbia, mentre ora il legame mi stabilizza. In breve: torno a casa e sono contento di sapere che c’è chi mi aspetta». Un dongiovanni redento, insomma, approdato alla ribalta per un presunto flirt con la svizzera Lara Gut, cresciuto nella fama («Ho buone “conoscenze” ovunque, ma mai come quelle che vantava Tomba») e ora accucciato nella pace di un fidanzamento «in progress».
Eppure il monello non è archiviato. È solo confinato – con facoltà di riapparire – nel passato di una storia semplice, basata su un papà carrozziere, su una madre che ha fatto tanti lavori, compresa la panettiera nel negozio dal quale il figlio avrebbe ottenuto la prima sponsorizzazione («Due milioni di lire: di strada ne ho fatta...»), su una sorella di un anno maggiore che reputava il fratello più coccolato dai genitori («Ma non è vero...»). Di Christof si ricordano i numerosi danni che creava a se stesso e alle cose. «Ero un demonio e non avevo paura di nulla, né in bici né sugli sci. All’ospedale ero diventato famoso: incidenti e punti di sutura. Quando guarivo, ricominciavo... Un Gianburrasca? Sì, era più forte di me, non potevo restare seduto tranquillo. Capitava la stessa cosa a scuola, dove ero tra i migliori in matematica e discreto nelle altre materie. Anzi, a volte anche meno di discreto... Ma a un certo punto ho messo la testa a posto: non mi sono buttato in compagnie strane, non mi sono fatto condizionare. Sarebbe stato facile sbandare: le prime feste, le prime ragazze, l’ozio; e io non ero un santo. Però avevo degli obiettivi e non li ho persi. Oggi sono in pace con me stesso, non devo riappropriarmi di nulla».
La lezione gliel’ha data il mondo del lavoro. «Ero a Malles, lì ho cominciato a comprendere come funziona la vita. Quando sono diventato maggiorenne, sono finito nel cantiere di un amico: in inverno, oltre a gareggiare, guadagnavo quattro soldi come maestro di sci, mentre in primavera e in estate montavo e smontavo ponteggi. La prima volta fu drammatica: dieci ore di lavoro, alle sette di sera ero già pronto per il letto. Però mi ha fatto bene: ho capito che cosa significa meritarsi una paga. Prima mi dava fastidio se in estate dovevo andare a sciare sui ghiacciai, era meglio starsene in piscina ad adocchiare qualche bella tipa. Una volta conosciuta la realtà del cantiere, invece, la vacanza era mettere gli sci...».
Cerca di svegliarti e provaci ancora: questo si è detto “Inner”. Quel giorno l’Italia ha perso un operaio specializzato e ha guadagnato un ottimo atleta delle nevi, corredato di riti intimi («Prima di ogni start mi faccio il segno della croce: ho fede»), di sensazioni chiare («Provo paura? No, solo rispetto per la pista»), di un’arma totale («Faccio la differenza dove gli altri si spaventano») e di piccole scaramanzie: nella giacca a vento ha sempre un portafortuna, ma non svela quale.
Ma nella sua vita non c’è stato subito lo sci. «Prima sono venuti il calcio – ero un mediano aggressivo –, il tennis e l’hockey su ghiaccio. Poi ho selezionato e nel setaccio è rimasta la disciplina più logica alla quale potessi dedicarmi». Lo sci è prima di tutto la neve, «la mia passione, quello per cui vivo; su di essa mi piace essere veloce, sfidare gli altri, vincere». Inoltre, significa montagne: se Christof non le vede, sta male: «Sono uno che sta volentieri in città, ma che non saprebbe vivere lontano dai suoi luoghi». Quando frequenta i monti, rinasce: «Vale pure per le passeggiate e per andare per funghi. Ho due record: 28 chili raccolti da solo, 93 in quattro».
Facile è stato trovare lo spunto per dedicarsi all’agonismo: i giorni nei quali saliva sui podi del Trofeo Topolino, palestra di tanti sciatori “veri”, erano quelli di Alberto Tomba. «Desideravo diventare come lui. Però quando ho cominciato a coltivare il progetto, ho capito quanta strada ci fosse da percorrere. Avevo smarrito il sogno, ma poi si è ripresentato. A furia di inseguire Alberto, ho fatto qualcosa di meno. Ma anche di meglio. Mi allargo? Macché: tre medaglie a un Mondiale, in tre discipline, non le ha vinte nemmeno lui».
Stop. Qui si impone una cesura, come quando nello slalom il tracciatore varia il percorso. Basta sci, per il momento, avanti con altro. E con domande a bruciapelo. Per esempio, non sarà originale, ma ci sta: sudtirolese o altoatesino? «Ci risiamo... (sbuffata e sguardo corrucciato) Se parlo con un tedesco, sono sudtirolese; se dialogo con un italiano, sono altoatesino. Non ho problemi, con certi argomenti. Dopo le vittorie al Mondiale hanno cercato di mettermi in difficoltà, ma io sono rilassato e non ci casco». Il personaggio e il successo, cosa significano? «Il successo genera la motivazione per continuare a fare qualcosa in più degli altri. Ma un atleta forte deve essere capace sia di vincere sia di perdere. E perdere aiuta a imparare a vincere. Il personaggio? Porta con sé una caratteristica, distingue i tanti che salgono sul podio dai pochi che rimangono nella memoria. Che cosa si ricorderà di me? Che sono stato un vincitore».
O un economista. Inner adora l’economia, aspetto centrale di una modernità che un po’ gli piace e un po’ no. «La tecnologia e la Rete ci stanno rendendo tutto più facile, ma penso che nel passato non fossero necessari. Io, per esempio, non uso Twitter, frequento Facebook solo per i tifosi e adopero Skype con moderazione. Una volta non c’erano queste cose e non c’erano nemmeno i cellulari e la Playstation; ma la gente campava bene ed era forse più contenta». Internet, peraltro, lo aiuta a seguire la materia amata. «Se non fossi diventato sciatore, avrei fatto l’economista: capisco di trend e di aziende. L’economia è a sua volta adrenalinica ed è fondamentale per la cultura generale. Però se investo, lo faccio più che altro per gioco: i rischi me li prendo già in pista». L’economista Mario Monti non l’ha convinto come primo ministro («Mi ha fatto pagare più tasse...») e nel contenzioso sullo spread, Christof sta a metà strada tra Silvio Berlusconi e Angela Merkel. «Voto per la via di mezzo. Monti ha messo in difficoltà più gente di quella che ha aiutato, Berlusconi ci ha lasciato vivere più tranquilli. D’altra parte, la Merkel ha anche ragione: dopo quanto è capitato in Grecia e in Spagna, è meglio tenere tutto sotto controllo. La disciplina ci vuole!». Ma quale valore dà ai soldi Innerhofer? «Sì dice che di fronte alla salute valgano poco. È vero: quella non la comperi. Però i quattrini aiutano a vivere sereni, a patto di non esagerare: chi ne ha troppi, non sa come spenderli e sta male. A me basta sapere che ne ho già messi da parte per costruire una casa come dico io. Quelli per il futuro me li guadagnerò da qui in poi, se non sarò sciocco...». E se sarà sempre solido e risoluto in pista, perché questo è, e rimane, il suo posto di lavoro.
Eppure Christof non si è precluso escursioni con la fantasia. Per esempio, ha immaginato di confrontarsi con Usain Bolt, «uno che stimo per il campione che è e perché sa comunicare». Avrebbero dovuto incontrarsi a Roma, ma tutto è saltato. «Non sarebbe stato un testa a testa nei 100 metri: avrei fatto il doppio del suo tempo. Avremmo dovuto conoscerci e basta. Sarebbe bello essere veloce quanto Usain, ma al massimo lo potrei battere con la bici, dove sono un vero "animale": nei test sono arrivato a sprigionare 508 watt di potenza». Anche il pianeta della F1 lo attira: «Però sono troppo alto per stare nell’abitacolo. Alonso o Vettel? Dico Button: Jenson non ha vinto sempre, non ha avuto momenti facili e, come me, è tornato forte». Dopo la gloria, infatti, “Inner” ha conosciuto gli incidenti e un clamoroso colpo di sfortuna: l’hanno tamponato per due volte in auto. «Nella prima occasione ho pensato: mamma mia che cosa non fanno le bionde pur di conoscermi... Era un uomo. Nella seconda ero sicuro: ci siamo... Ma era di nuovo un maschio».
Simpatico, è simpatico. E ha pure la lingua tagliente, se necessario: «Il circuito della Coppa del mondo è come una grande famiglia. Ma non manca chi ti sta sull’anima. Fuori i nomi? Lindsey Vonn, la fuoriclasse americana, è la numero uno. Davvero str...: non ci ho parlato mai, nemmeno un ciao. La incroci e non ti guarda. Rapporto zero, esattamente come con la tedesca Hoefl-Riesch». Ora che ha benedetto il suo mondo, Innerhofer può anche spiegarci che cosa farà in febbraio al Mondiale di Schladming. Ripeterà la tripletta del 2011, oro in super G, argento in supercombinata, bronzo in discesa? «Non penso sia difficile: diciamo che è più o meno impossibile. Mi basterebbe tornare con una medaglia». È il minimo sindacale. Il monello non può non alimentare il modello...