Gian Luigi Paracchini, Style 10/1/2013, 10 gennaio 2013
CLAUDIO MARCHISIO
[Lo chiamano Piccolo Lord: 27 anni di cui 20 alla Juventus, bandiera del centrocampo anche in Nazionale, incarna la versione più aggiornata dell’atleta gentiluomo. Fatto di eleganza e decisione, famiglia e sartoria, francobolli e supercar, dedizione alle giuste cause e responsabilità sociale, mostre d’arte e History Channel. «In campo e fuori combatto, ma spero con fair play»] –
La storica raccolta di figurine Panini abbonda di calciatori ricercati nel vestire. Nessuno però è mai stato soprannominato «piccolo Lord» e «principino» prima di Claudio Marchisio, centrocampista della Juventus e della Nazionale: un certificato da dandy, che appaga il suo orgoglioso gusto per l’eleganza.
«Ero già così da piccolo» racconta; «crescendo non potevo che perfezionarmi. Ci tengo, mi piace. Anche all’allenamento mi presento in giacca e camicia, mise non così diffusa tra i ragazzi della mia età». Per lui, che il prossimo 19 gennaio compie 27 anni, e ne celebra 20 alla Juventus: primi calci in seconda elementare e da allora sempre bianconero, a parte una rapida deviazione (in prestito) a Empoli. Una bandiera, dunque: ma ancor di più il simbolo trasversale del nuovo atleta elegante, in campo come nella vita, nell’essere al passo con i gusti contemporanei così come nel mettere il suo successo al servizio degli altri. La sua sensibilità sociale va dalle idee progressiste in tema d’immigrazione al sostegno concreto (seppur discreto) alla ricerca sul cancro. Sposato con Roberta Sinopoli, papa di Davide (tre anni) e Leonardo (dieci mesi), Marchisio ama andar per musei, passa ore davanti a History Channel, è un buon gourmet, gioca a tennis con la moglie (ex azzurra under 16, lo suona regolarmente), ascolta il rock sofisticato dei Muse, colleziona francobolli (tocco snobistico-démodé), s’interessa e parla di tutto. Al netto di quel riserbo «vecchio Piemonte» con cui da buon borghese di Chieri (To) neutralizza gli attentati alla privacy. Naviga bene nel presente e il futuro è ancora lungo: come campione e come dandy.
La innervosisce più essere soprannominato «Piccolo Lord» e «Principino» o, come capita sempre meno, «Tardellino»?
Non mi seccava il fatto d’essere confrontato con un grande campione come Marco Tardelli. Tengo solo a essere me stesso. «Piccolo Lord» l’ha inventato Federico Balzaretti, mio compagno in Nazionale, ai tempi della Juve di Fabio Capello. «Principino», un po’ per i vestiti, un po’ per il comportamento in campo, è una creazione del giornalista Paolo Ziliani. Nomignolo che comincia a preoccuparmi...
Perché il soprannome la obbliga ad aggiornare sempre il guardaroba?
No. Perché se sul campo sei visto come un principino qualcosa non va, magari sei troppo lezioso...
Non parrebbe da certe sue entrate da fabbro più che da principe. Quale prevale delle due anime?
Direi 50 per cento fabbro, 50 per cento principe. A centrocampo si fa anche il lavoro sporco, si mostrano i denti: non sono un raffinato trequartista. Cerco però di vestire con raffinatezza. A prescindere che sia in jeans e pullover piuttosto che m giacca.
Ma come si piace di più?
Con un bel vestito, scarpe classiche, camicia e anche cravatta quando mi va. Mia moglie Roberta dice che vesto come uno molto più avanti d’età. Già mi vede a 35 anni davanti al caminetto con la pipa. Non mi tenta: però mi piace andare dal sarto, scegliere i tessuti, discutere del taglio e dei dettagli. Bottoni compresi.
Chi è il suo sarto? Anche discutendo con lui entra qualche volta a gambe unite?
Mi servo da Alessandro Martorana, uno delle mie parti. No, nessun intervento duro, magari all’inizio voleva imporre un po’ le sue idee ma non è così facile dribblarmi! Siamo diventati amici. Ultimamente gli ho chiesto che asciugasse un po’ i pantaloni, soprattutto in basso: era d’accordo. Lo smoking? Nelle occasioni in cui è richiesto, sono pronto. Taglio classico, papillon vero, gemelli ai polsi. E il tocco chic delle bretelle.
Un feticcio nel suo guardaroba? Un capo casual: il giubbotto di pelle nera. Irrinunciabile.
L’album dei calciatori è come un catalogo di fantasiose acconciature. Quando la vedremo con una bella cresta?
Non fa per me. È un fenomeno curioso: certi tagli di capelli creano il personaggio. Penso allo sconcerto che creerebbe il mio amico Mario Balotelli se si presentasse pettinato normalmente. Certo, il look può diventare anche una prigione.
Abiti sartoriali e pettinatura sobria. Ma quei colpi schiarenti sul ciuffo? Suvvia, confessi.
Ma no, è l’effetto del sole preso in vacanza! Ammetto trascorsi autoinflitti: volevo imbiondirmi un po’ ma ho sbagliato dosi e mi sono venuti i capelli arancioni. Una cosa da punk estremo.
Che cosa significa essere un gentleman in campo? Faccia nomi, prego.
Il calciatore gentleman incute rispetto, ti rispetta e ha carisma. Anche se ti stende con un fallo. Mi viene in mente il centrocampista inglese Steven Gerrard, per me un idolo, poi Paolo Maldini, Javier Zanetti e il mio ex compagno Alessandro Del Piero,
Ci sarà qualche giocatore che, al solo trovarselo davanti, le suscita una sana vena d’antipatia.
Non qualche faccia in particolare, ma una squadra, soprattutto dopo le finali ruvide di Coppa Italia e Supercoppa: il Napoli. Quando me li trovo di fronte scatta qualcosa.
Quanto si sente fortunato rispetto ai suoi coetanei? I calciatori hanno davvero il «sedere al caldo»...
Mi considero fra i pochi privilegiati, essendo in una società al top e giocando in Nazionale. Ma ho fatto tanti sacrifici per arrivarci, e ancor di più ne hanno fatti i miei. Mia mamma, per accompagnarmi in macchina agli allenamenti quando ero bambino, ha lasciato il suo tranquillo lavoro di assicuratrice. Avendo anche due sorelle, ciò ha pesato sul bilancio familiare. Di tanti ragazzi con cui ho cominciato, pochi ce l’hanno fatta. E dalla Serie B in giù non è certo che corrano stipendi milionari.
Lei quanto guadagna? Come investe i suoi soldi?
Non mi va di fare cifre, noi piemontesi siamo riservati su tutto, soldi compresi. Per quanto riguarda gli investimenti cerco di diversificare, se non altro per limitare i rischi. Da buon imprenditore mio padre mi ricorda sempre che ci vuole giudizio. Basta poco a bruciare anni di lavoro.
Tempo fa lei ha rinunciato al procuratore, figura cruciale ma spesso invadente nella vita del calciatore. È bello essere manager di se stessi?
In un calcio così articolato, pieno d’interessi e aspetti collaterali, i procuratori servono. Ho fatto questa scelta perché alla juve mi sento come a casa e non manca chi mi consiglia. Ho più responsabilità ma aiuta a maturare.
Pur nel fiore della carriera, ha in mente una professione alternativa al calciatore? Fra l’altro ha aperto anche un ristorante.
Sì, due anni fa, il Piazza Trento nella mia Chieri, ma quella non sarà mai una professione. Da ragazzo appassionato di geografia invidiavo gli agenti di viaggio. Poi ho preso un’altra strada. Fuori dal calcio oggi l’unico ruolo in cui mi vedo è da sostenitore della Fondazione Crescere Insieme al Sant’Anna Onlus e l’Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo.
Concorda sul matrimonio tra gay ma non che possano adottare figli; crede nella fami- glia supertradizionale, ma è favorevole alla società multietnica. Quanto è conservatore e quanto progressista?
Bisognerebbe essere entrambi. In Italia abbiamo capito tardi l’esigenza di aprirci al mondo dell’immigrazione. È un fatto culturale, e forse anche regionale. Noi piemontesi siamo un po’ ermetici anche tra parenti; al Sud, vedo la famiglia di Roberta, sono molto più solari, ma in ogni caso, tornando alla società multietnica, sono contento che il calcio sia servito.
E tutti quei cori razzisti?
Sono minoranze rumorose, spesso fischiate dal resto dello stadio. Guardiamo la composizione delle attuali nazionali di calcio: sono il migliore spot per una società senza barriere razziali.
Dunque un Marchisio conservator/progressista.
Ma per chi vota? Come dicevo, noi piemontesi siamo molto riservati...
Due parole sull’esperienza di Mario Monti e sulle ambizioni di Matteo Renzi.
Monti s’è fatto un sacco di nemici, però con il casino che c’era prima si poteva davvero fare meglio? Difficile dirlo. Renzi sa comunicare bene, mi piace la ventata d’aria nuova che ha portato. Se lo voterei? Chi lo sa...
Che effetto fa l’adrenalina provocata dalla vittoria? Davvero è più intensa della nascita d’un figlio? S
o a che cosa si riferisce. Quando nacque il mio secondogenito Leonardo dissi che niente mi aveva fatto godere come lo scudetto. Ma soltanto perché era una cosa mai provata prima. È evidente che la nascita d’un figlio non ha paragoni.
E quando le cose vanno male? Basta pensare all’ingaggio per consolarsi?
All’ingaggio pensi quando firmi il contratto, non quando vai in campo. Dopo la finale agli Europei persa 4-0 con la Spagna ci sentivamo cani bastonati. Nessuno parlava, nessuno ha dormito. Delusione difficile da smaltire. Ero mortificato per come non fossimo riusciti a entrare in partita. Ci stava perdere, ma non in quel modo. Roberta mi ha aiutato molto.
Come è cominciata la vostra storia?
Colpo di fulmine? Per me sì, la chiamavo, ero pronto a volare ma lei faceva la sostenuta. Poi una sera mi sono presentato su una terrazza al mare, in ginocchio, con anello in una mano e mazzo di fiori dall’altra. Ha detto di sì.
Che rapporto avete? Siete gelosi?
Lei è un tipo diretto: non le manda a dire a nessuno. Ed è competitiva essendo stata campionessa italiana a squadre di tennis under 16. Insomma, ragazza tosta. Gelosi? Tutti e due. Io di lei perché è bella e perché sono spesso lontano da casa! Lei di me perché avendo più di 850 mila amici su Facebook...
...Riceverà anche dichiarazioni d’amore.
Eh sì, appunto.
E la signora non gradisce minimamente.
Minimamente è la parola giusta. Invece a me quelle dimostrazioni, chiamiamole di simpatia, fanno piacere!
Ha molte passioni ma nessuna, dicono, come le auto ad alta velocità. Che macchine ha? Chi tifa in Formula Uno?
Una Ferrari GTO, una Lamborghini Aventador nera e una Jeep grigia. Tifo per il migliore, cioè Fernando Alonso. Cambiarlo con Sebastian Vettel? Vorrei vedere ad auto invertite chi vince...