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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

INTERVISTA A MAURIZIO DECINA

Non ci poteva essere un momento più difficile per vestire i panni di consigliere Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni: con l’Europa, Telecom Italia, Rai e Mediaset che gli tengono il fiato sul collo e con il Paese davanti a un cambio di governo. Eppure è la sorte che si è scelto Maurizio Decina, uno dei padri delle telecomunicazioni italiane: 70 anni, è dal 1987 ordinario del Politecnico di Milano ed è stato nel consiglio di amministrazione di Italtel, Telecom Italia e Tiscali. E ora, da pochi mesi, quest’avventura in Agcom.
L’Europa chiede subito un’asta delle frequenze, per aprire a nuove emittenti il mercato televisivo italiano, troppo chiuso secondo Bruxelles. L’asta però adesso rischia di essere rinviata alle calende greche per l’opposizione di Rai e Mediaset, mentre il ministero per lo Sviluppo economico preme per avere subito da voi il bando di gara. Ma anche Telecom aspetta qualcosa: le regole per partire in tutta Italia con l’offerta di banda larga di nuova generazione.
«Sì, quando sono arrivato ho trovato tanti dossier aperti. Il precedente consiglio era scaduto a marzo e noi siamo entrati il 25 luglio. Di fatto, abbiamo cominciato a lavorare a settembre. Stiamo correndo per colmare il ritardo accumulato. E possiamo dire che ne abbiamo recuperato gran parte. A gennaio risolveremo entrambe le questioni. Daremo quindi il capitolato dell’asta al ministero dello Sviluppo economico».
L’Europa ha criticato molto una prima bozza di regolamento e ha chiesto di cambiarla per dare effettivamente spazio a nuove emittenti tv. Avete fatto una seconda bozza e ora è Mediaset che vi accusa, dicendo che così l’asta è poco interessante per le grandi emittenti. Invece la Rai, in un ricorso al Tar del Lazio, per risolvere alcune interferenze con le emittenti di Paesi vicini, chiede di avere nuove frequenze gratis e le vuole proprio dal pacchetto che dovrebbe andare all’asta...
«Chiariamo: Agcom segue gli ordini del Parlamento e dell’Unione europea. La legge 44, che ci dà l’incarico di fare le regole per l’asta, non indicava nessuna frequenza da riservare a nuovi entranti. L’Europa ha chiesto di dare tre frequenze ai nuovi, noi ne abbiamo riservata almeno una nonostante la legge italiana non lo prevedesse. Abbiamo preso in mano un dossier complicato e lo stiamo sistemando, per risolvere la procedura d’infrazione europea del 2008 per grave mancanza di apertura del mercato».
I prossimi passi?
«Procederemo a un riordino dello spettro delle radiofrequenze, per consentire lo sviluppo della banda larga mobile. Al momento l’Italia assegna 60 MHz per internet di quarta generazione (Lte) nella banda 800 MHz. Verranno liberati, per la banda larga, ulteriori 30 MHz nella banda 700 MHz, ora occupata dalla tivù. L’Europa raccomanda di fare così a partire dal 2016. Nel regolamento per l’asta, abbiamo stabilito che queste frequenze saranno assegnate per cinque anni alle tivù. Ergo, se saranno occupate tutte dalle emittenti tivù con la nuova asta, saranno disponibili per la banda larga nel 2017».
Sarà complesso mettere mano a una questione su cui Mediaset l’ha fatta da padrona con un consiglio Agcom dove su quattro consiglieri lei è il solo appoggiato dal Pd, mentre Antonio Preto e Antonio Martusciello sono di area Pdl...
«Compreso il presidente, siamo in cinque a votare le delibere. L’ultima versione del regolamento per l’asta è passata all’unanimità».
Altro dossier caldo: Telecom Italia. Già nove mesi fa ha presentato ad Agcom l’offerta all’ingrosso sulla nuova rete in fibra ottica e aspetta un vostro via libera per partire con i servizi a banda larghissima in tutta Italia...
«Già, c’era l’offerta, ma l’abbiamo messa di nuovo in consultazione per chiarire alcuni aspetti cruciali. Abbiamo poi ridotto i prezzi proposti da Telecom in misura molto significativa, per rendere più economico l’accesso dei concorrenti alla rete Telecom. Entro gennaio faremo la delibera finale.».
Quali sono i problemi?
«L’attuale modello di calcolo dei costi, adoperato per stabilire quanto devono pagare i concorrenti per usare la rete in rame, non va bene quando è applicato a nuovi impianti. Non favorisce gli investimenti di chi li deve costruire. Il fatto è che nessuno sa quanti saranno gli abbonati alle nuove reti tra 15 anni, e da questo dipende il ritorno dell’investimento. Un’ipotesi che stiamo valutando è revisionare ogni due-tre anni i prezzi all’ingrosso, per aggiustare il tiro».
Bisognerà non solo incentivare gli investimenti di Telecom, ma anche tutelare la concorrenza. La quadra come si trova?
«I consiglieri Agcom non fanno politica industriale. Ma ho fatto un’ipotesi: se ci fosse uno scorporo della rete Telecom, con la nascita di una nuova società, e sarebbe una bella notizia per l’Italia, potremmo adottare un modello denominato "Regulatory asset base". Cioè: la società viene da noi, ci dice qual è il business plan, gli investimenti, quanti utenti prevede di avere sulla nuova rete, e noi stabiliamo i prezzi anno per anno e la redditività degli investimenti, che può essere per esempio sul 13 per cento».
Tutto questo mentre Agcom dovrà continuare a tutelare gli utenti...
«Agcom è nata per occuparsi delle infrastrutture che trasportano informazioni. Ma il mondo sta cambiando. E bisogna osservare con attenzione il boom delle telecomunicazioni: fra 3-4 anni internet sarà ancora più importante. Ben presto dovremo affrontare i problemi tra utenti e fornitori di servizi web. Fra sette anni Agcom potrebbe cambiare nome, in AgInt. Il regolatore di internet».
Che può fare Agcom per internet?
«Avrà un ruolo importante per la difesa della rete e delle applicazioni. Sono contrario a tassare ciò che viaggia sulla rete: alla fine ne viene penalizzato il servizio e quindi l’utente. Per lo stesso motivo credo che vada ridotta l’Iva sul commercio elettronico. Ma vedo anche che non c’è neutralità delle applicazioni e i fornitori fanno quello che vogliono. Per esempio, non posso fare una telefonata tra Skype e un’altra applicazione di telefonia su internet. Apple non accetta alcune applicazioni sui propri iPhone».
Ma come può Agcom avere un peso in tali questioni se nemmeno lo Stato riesce a farsi sentire da Google quando si tratta di tasse?
«È un problema, ma si può affrontare. Va preparata la strada. A Skype posso dire: sul mio territorio puoi funzionare solo se rispetti certe condizioni. Certo è che, su internet, l’Italia da sola non può agire: regole più eque passano anche da accordi con gli Usa».
Su internet c’è un’altra sfida: la tutela del copyright, di musica, film, giornali. Finora Agcom ha rinunciato a fare una delibera...
«Faremo un regolamento per riformare la difesa della proprietà intellettuale. Si tratta di coniugare i due interessi in gioco: quello di una rete libera e quello della protezione della proprietà intellettuale. Bisogna ricercare forme più moderne di tutela del diritto d’autore, quali le licenze collettive; rimuovere gli ostacoli alla condivisione lecita di contenuti protetti dal diritto d’autore e i perduranti colli di bottiglia del sistema, come le finestre di distribuzione delle opere e i regimi di esclusiva. Bisogna promuovere l’offerta legale di contenuti digitali di alta qualità e favorire forme nuove di remunerazione».