Federica Bianchi, l’Espresso 11/1/2013, 11 gennaio 2013
HILLARY FOR PRESIDENT
È stata davvero una grande carineria nei confronti del Segretario di Stato uscente Hillary Clinton. Venerdì 30 novembre, al culmine della serata del Saban Forum, incontro annuale degli ebrei americani e israeliani al quale era presente anche il primo ministro dell’Autorità palestinese Salam Fayyad, quando si sono spente le luci del grande salone del Willard Hotel di Washington per proiettare un video, è cominciata la celebrazione di Hillary Clinton. Nelle immagini sono sfilati uno dopo l’altro politici di primo piano di Israele come Benjamin Netanyahu, Ehud Barak, Tzipi Livni, il Segretario di Stato Usa appena nominato John Kerry, l’ex premier britannico Tony Blair e tutti hanno elogiato il lavoro di Hillary come numero uno della diplomazia degli Stati Uniti e la sua figura politica.
Finito il video, è partito un secondo filmato. Protagonista Barack Obama che della Clinton ha detto: «Tu sei stata al mio fianco in alcuni dei più importanti avvenimenti del mio mandato». Le luci si sono riaccese ed è partito l’applauso. David Remnick, direttore del "New Yorker" e uno dei pochi giornalisti invitati (il Saban Forum è un evento al 90 per cento off the record), ha scritto qualche giorno più tardi sul suo blog, a metà tra l’affettuoso e l’ironico: «Il film è stato un appoggio con quattro anni di anticipo sulle primarie del New Hampshire e dello Iowa. Il tono era così reverenziale che poteva apparire una produzione del comitato centrale del partito comunista sovietico per celebrare l’uscita di scena di Leonid Breznev, se mai Breznev avesse deciso di dare le dimissioni e se i sovietici avessero avuto le tecnologie adatte per un video di alta qualità».
Ironia a parte, Remnick ha messo a fuoco il dibattito sul futuro di Hillary Clinton. A Washington, nel Congresso come nei think tank dove si forma la politica americana, la domanda è diventata ancora più pressante dopo la disavventura ospedaliera del ricovero a Capodanno per un grumo di sangue in un’arteria tra il cervello e l’orecchio a causa di una caduta e relativa commozione cerebrale. Già, che cosa ha deciso di fare Hillary Clinton del suo futuro? Spendersi per la fondazione del marito Bill creando di nuovo la coppia The Clintons sulla scena mondiale? O dedicarsi ai libri di memorie, alle conferenze e alle consulenze milionarie? O più semplicemente prepararsi a fare la nonna nel caso la figlia Chelsea decida di avere uno o più figli?
Domande logiche e lecite. Ma quella che sovrasta tutte le altre è se Hillary abbia voglia di correre per la Casa Bianca nel 2016, quando Barack Obama chiuderà il secondo mandato e non sarà più rieleggibile. Al Saban Forum Hillary non ha svelato i suoi progetti. Anzi, pur essendo il suo uno dei discorsi chiave della serata, ha svicolato sostenendo che era inutile parlare, meglio ritrasmettere il film un paio di volte così da mandare a memoria tutte le acconciature dei capelli esibite negli ultimi 30 anni. La Clinton la butta sullo scherzo ogni qualvolta deve evitare di affrontare un argomento scivoloso. Un paio di giorni prima, presente anche Obama e nel corso di un intervento al Dipartimento di Stato, elogiò il suo vice capo di gabinetto e responsabile della programmazione politica Jake Sullivan: «Adesso viaggiamo per il mondo sempre insieme e le persone che incontro mi dicono di essere molto eccitate di incontrare un possibile futuro presidente degli Stati Uniti… Naturalmente, si riferiscono a Jake». Battute come quelle sui capelli o sui collaboratori sono sempre un mezzo per nascondere le vere intenzioni: per strategia politica, perché le decisioni sul da farsi non sono ancora mature e c’è la necessità di preparare con calma una battaglia politica. Lo ha già fatto nel 2008 quando scese in campo per le primarie e fu battuta proprio da Obama.
Nel solo caso in cui ha parlato esplicitamente della corsa del 2016 per la Casa Bianca, Hillary ha usato un’espressione ad alto tasso di ambiguità. Così ha risposto ai primi di dicembre alla domanda di Barbara Walters della televisione Abc sul futuro da candidata per la Casa Bianca: «Io non credo che lo farò una seconda volta. Mi basta averlo fatto già una volta». Dire «io non credo», fa solo capire che la Clinton sta ancora pensando alla ipotesi Casa Bianca. Un più chiaro «ho deciso che non correrò!» avrebbe reso cristallina la sua scelta e rimosso il problema più grosso di fronte al quale si trova il Partito democratico e gli esponenti che potrebbero avere voglia o essere in grado di presentarsi alle primarie: dal vice presidente Joe Biden alla pattuglia di governatori come Andrew Cuomo di New York o di sindaci come Julian Castro e Antonio Villaraigosa, rispettivamente di San Antonio in Texas e Los Angeles in California per finire alla neo senatrice Elizabeth Warren (vedi box qui sotto).
Hillary è in questo momento una barriera insormontabile per chiunque. Nessuno può muoversi annunciando la formazione di un comitato per esplorare la possibilità di lanciare la sfida alle primarie, il cui primo atto è il voto in New Hampshire e poi in Iowa. Nessuno può così verificare se ha possibilità reali a livello nazionale (solo il vice presidente Biden ha una visibilità in tutti gli Stati), può cominciare a costruire una rete di raccolta fondi e immaginare il tipo di campagna da fare per catturare da subito le simpatie degli elettori democratici. Risultato? Gli altri stanno tutti zitti e fermi in attesa della parola di Hillary Clinton e tutti sanno perfettamente che se uscissero allo scoperto e poi l’ex Segretario di Stato annunciasse la candidatura sarebbero spazzati via in un attimo.
Può sembrare strano che il presidente Barack Obama non si sia ancora insediato per l’inizio del secondo mandato (la cerimonia è stata fissata per lunedì 21 gennaio) e già si parli della prossima corsa presidenziale. La macchina è difficile da costruire, basti pensare solo alla quantità di denaro che serve: Obama ha raccolto e speso oltre un miliardo di dollari ed è facile immaginare che nel 2016 ci vorrà una cifra sicuramente più alta. Tanta è l’ansia di capire in che direzione si andrà che ci sono già alcuni sondaggi commissionati dalla Public Policy Polling.
Chi conduce già da adesso la classifica delle analisi elettorali è Hillary Clinton (Biden e Cuomo sono preferiti rispettivamente da 17 e 6 elettori democratici). Tutte le società di sondaggio che hanno testato campioni a livello nazionale sono giunte al medesimo risultato: l’ex Segretario di Stato, ex senatore, ex First Lady è nel cuore degli americani. Non solo dei democratici; anche una fetta importante di coloro che votano repubblicano giudicano in modo positivo la Clinton. Il 65 per cento degli americani vedono con favore una sua candidatura: tra i democratici il sì raggiunge l’82 per cento, tra i repubblicani il 23 per cento. Tra le donne poi Hillary Clinton sbanca: due su tre sono pronte a votarla se si candida e questa percentuale sale (tre su quattro) considerando soltanto le donne che hanno meno di 50 anni.
Le premesse per una nuova corsa ci sono tutte: prestigio, esperienza, popolarità. A favore della Clinton si sono già espressi personaggi di spicco del Partito Democratico, come l’ex speaker della Camera e oggi capo della minoranza Nancy Pelosi: «Se decide di correre penso che vincerà. E alla Casa Bianca avremo un presidente ben preparato o meglio preparato di chiunque altro abbia servito in quella carica». Anche consiglieri politici, come James Carville, la cui parola viene tenuta in gran conto e che sono presenti alle più importanti trasmissioni di dibattito politico dicono che Hillary può essere il cavallo vincente dei democratici: «Le primarie sarebbero sue facilmente. E ogni democratico che conosco mi dice "Dio, speriamo che decida di correre"». Perfino avversari riconosciuti non nascondono la difficoltà di una sfida contro Hillary Clinton. L’ex speaker della Camera ed ex candidato repubblicano alle primarie del 2012 Newt Gingrich sostiene questa tesi: «Se nel 2016 dovremo sfidare Hillary Clinton, supportata dal marito Bill e da un ancora popolare Barack Obama, cercare di vincere sarà davvero come sfidare la squadra più forte nel Superbowl. E il Partito Repubblicano di oggi è incapace di competere a quel livello».
Non resta allora che aspettare il momento in cui Hillary Clinton dirà con chiarezza sì o no. Secondo Jody Cantor del "New York Times" (qualche mese fa ha mandato in libreria una ricostruzione della vita alla Casa Bianca che ha fatto arrabbiare non poco Michelle Obama), la Clinton attenderà fino ad aprile o maggio 2013 per rendere note le sue decisioni. Una data che calza perfettamente con due necessità: riprendersi dalle fatiche degli ultimi anni (solo nel 2012 ha speso 87 giorni in volo da un Paese all’altro) e capire se ci sono conseguenze cliniche all’incidente che l’ha portata in ospedale e sempre che il grumo di sangue in un’arteria non sia in realtà qualcosa di più serio che la metterebbe automaticamente fuori dalla corsa. Le persone più vicine all’ex Segretario di Stato hanno anche chiarito che nelle riflessioni che Hillary farà contano molti elementi, ma non l’età, visto che nel 2016 avrà 69 anni. Nessun problema, Ronald Reagan entrò alla Casa Bianca proprio a quell’età, ci è rimasto per otto anni e la sua presidenza ha profondamente influenzato la politica, l’economia e l’intera società americana.
Con il trascorrere del tempo verranno fuori altre possibili strade che Hillary Clinton può intraprendere. Sembra che la presidenza di Yale University le sia stata già offerta, così come la guida della Soros Foundation. Per il momento, dunque, l’ormai ex Segretario di Stato appare solo una donna che ha possibilità illimitate di costruire una nuova vita. «Ma essere Hillary Clinton non è questione semplice», ha scritto sul "New York Times" Jody Cantor: «E il suo futuro prossimo assomiglia meno a un assegno in bianco che a un’equazione differenziale di secondo o terzo grado».