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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

MAL DI NAPOLI

Il più duro è il maestro Roberto De Simone. Il nome di Luigi De Magistris non viene mai fatto, eppure nella lettera che il musicologo ha spedito all’amico Giorgio Napolitano l’obiettivo è proprio lui. Il sindaco arancione. Il maestro parla di Napoli definendola «una malsana città diventata invivibile», e scrive di «gestioni artistico culturali» ormai in «condizioni degradate», «di sfrontato clientelismo istituzionale», «di inefficiente funzionalità delle strutture cittadine», «di marciume morale», persino «di un neofascismo - peggiore di quello storico - che promuove solo il radicalismo della superficialità».
L’autore de "La gatta Cenerentola" forse esagera, ma non è l’unico sotto il Vesuvio a pensarla così. Nel 2011 De Magistris stravinse le elezioni da outsider promettendo di rilanciare un capoluogo messo in ginocchio dalla vergogna delle montagne di immondizia, dalla criminalità dilagante e dall’immobilismo della giunta di Rosa Russo Iervolino. All’inizio del 2013 la rivoluzione di Gigi, come lo chiamano gli amici del Vomero, sembra però aver già segnato il passo, con la città intera che - tra blackout che durano 36 ore, degrado urbano e scioperi selvaggi a catena - mostra ogni giorno il fiato più corto. Non è un caso che nell’annuale sondaggio del "Sole 24 Ore" sul consenso dei sindaci l’ex magistrato sia passato dal primo al 17esimo posto - dal 70 al 59 per cento - perdendo ben 11 punti rispetto all’anno precedente. In Italia peggio di lui fa solo il vendoliano Massimo Zedda a Cagliari, mentre il rivale Vincenzo De Luca, vicerè di Salerno, è schizzato primo in classifica.
«Il sindaco ha fallito. Si muove come Bassolino, pensa solo all’effimero e ai grandi eventi come la Coppa America. È un flop pazzesco» chiosano ex supporter che a "l’Espresso" giurano di averlo votato. «È un capopopolo, uno che usa la fascia tricolore solo per la ribalta nazionale del movimento che ha fondato con Antonio Ingroia», attaccano gli intellettuali che a fine dicembre si sono incontrati all’Istituto degli studi filosofici per sfogare il loro disappunto. «De Magistris confessi le sue gravi responsabilità», ha rincarato pure la Cisl, che qualche giorno fa in un j’accuse durissimo ha insinuato di «gare negoziate per gli amici degli amici» e di «spazi pubblici assegnati senza delibere». Dopo nemmeno due anni dal trionfo elettorale, da quell’«abbiamo scassato!» urlato a Piazza Plebiscito davanti al popolo accorso per applaudirlo, il nuovo Masaniello deve fare dunque i conti con la delusione crescente dei napoletani. Stanchi di una città che resta invivibile e di uno stile di governo bonapartista, poco incline al dibattito e a volte distratto da ambizioni politiche nazionali. Difetti che gli stanno alienando le simpatie anche di chi, tra industriali, associazioni e intellettuali, credeva in lui. La Curia l’ha abbandonato già la scorsa estate, quando l’ex magistrato lanciò l’idea - rimasta come altre solo un titolo di giornale - di istituire un quartiere a luci rosse modello Amsterdam.
CAOS TRASPORTI
Governare Napoli, una delle metropoli più difficili e complesse d’Europa, non è semplice per nessuno. Soprattutto quando non c’è un euro in cassa, con debiti pregressi che superano il miliardo e mezzo di euro e un disavanzo che si aggira sugli 850 milioni. Eppure gli errori imputati al sindaco e alla sua giunta non sono pochi. Andiamo con ordine, partendo dal "lungomare liberato", grande intuizione che ha trasformato via Caracciolo in un’immensa area pedonale, una passeggiata spettacolare che lascia a bocca aperta i turisti (tornati ai livelli del periodo pre-monnezza) e i napoletani che l’affollano soprattutto nel week end. Epperò la ztl (che non ha alcun servizio ed è assai degradata nella parte verso Mergellina) ha completamente scardinato il delicato equilibrio urbano della città. Il traffico impazzito ha trovato sfogo nelle altre arterie dietro la Villa Comunale, congestionandole tutte.
«Basterebbe aprire l’isola agli autobus», chiedono i commercianti che attaccano «il fanatismo» dell’ex pm. «La gente si deve abituare, noi andiamo avanti, nessun cambiamento», risponde caustico il primo cittadino, che non vuole rinunciare alla sua cartolina (dal punto di vista mediatico via Caracciolo sta a De Magistris come piazza Plebiscito stava a Bassolino) e spinge i cittadini a usare la bicicletta. Proprio la realizzazione di nuove piste ciclabili, infatti, è un altro fiore all’occhiello della giunta arancione. Di ciclisti, però, se ne vedono ancora pochini. Sia perché Napoli è arrampicata sulla collina sia perché pedalare sui nuovi percorsi somiglia molto a una via crucis: gran parte della «ciclabile più lunga d’Europa» è stata creata semplicemente dipingendo sui vecchi marciapiedi sconnessi l’immagine di una bicicletta, mentre i tratti nuovi di zecca sono interrotti ogni dieci metri da incroci, buche e scooter in sosta selvaggia.
Il filosofo Biagio De Giovanni s’è sfogato sul "Mattino" ragionando di «una città immobile» dove «muoversi è impossibile. Basta tentare di prendere un autobus per verificare come non ci sia più il diritto alla mobilità». Già: le nuove ztl non sono state accompagnate da un potenziamento dei mezzi pubblici. Al contrario gli autobus dell’Anm sono rari come un vascello fantasma. Alcune linee come quelle che collegano Posillipo vantano record d’attesa di 30, 40 minuti, altre (come l’R2) sono affollate come bus indiani. Mentre i treni della Cumana e della Circumvesuviana (entrambe controllate da società della Regione comandata da Stefano Caldoro) sono al collasso, con scioperi selvaggi quotidiani (i dipendenti non vengono pagati regolarmente), decine di corse saltate e pendolari in costante crisi di nervi. Anche se si sceglie di prendere il taxi non c’è scampo: in mezza città a causa di cantieri e ztl le corsie preferenziali sono praticamente scomparse.
RIFIUTI E SCUOLA KO
«Raggiungeremo il 70 per cento di raccolta differenziata entro il 2011», giurò Gigi prima e dopo la sua elezione. Sono passati quasi due anni, è a Napoli il tasso è fermo (come ha rivelato qualche settimana fa il vicesindaco Tommaso Sodano) a un misero 25 per cento, poco più di quanto raggiunto dalla Iervolino negli anni migliori della sua gestione, mentre il porta-a-porta funziona bene solo a Scampia e Posillipo. Le montagne di immondizia non ci sono più, Napoli è più pulita grazie alla nave che porta i rifiuti negli inceneritori olandesi e, in massima parte, ai siti che in Puglia e in Emilia Romagna accolgono i rifiuti prodotti dai napoletani. L’emergenza però non è affatto scongiurata: a Natale cumuli di spazzatura sono tornati ad appestare il Vomero e Fuorigrotta, la multa europea pende come una spada di Damocle, mentre un vero ciclo integrato resta un miraggio: le discariche sono piene, gli impianti di compostaggio non sono stati fatti (Comune, Provincia e Regione non sono nemmeno riusciti a mettersi d’accordo sulla localizzazione), gli stir e il sito di trasferenza scoppiano e la Tarsu - la tassa sull’immondizia - resta la più alta d’Italia.
De Magistris polemizza con il governo e scarica le responsabilità sugli altri enti, spiegando che lui, di più, non poteva fare. Di certo, invece, il pasticcio della refezione scolastica sembra farina della sua giunta. A Napoli da settembre i bambini che frequentano asili ed elementari non hanno infatti più la certezza di avere un pasto sicuro (in alcuni istituti va a singhiozzo anche il riscaldamento). Un disservizio causato - attaccano le associazioni delle famiglie - dall’incapacità organizzativa di Annamaria Palmieri, l’assessore all’Istruzione che a cinque mesi dall’inizio dell’anno scolastico non è ancora riuscita a risolvere il problema. Il caos-pranzi (con genitori a volte chiamati a prendere i pargoli mentre stanno già al lavoro) è dovuto a più elementi: se il bando europeo è stato presentato troppo tardi (la gara è stata assegnata solo durante le feste natalizie) e gli infiniti passaggi burocratici tra un ufficio e l’altro hanno rallentato l’iter, l’assunzione da parte del Comune di 317 maestre precarie necessarie a garantire il tempo pieno è avvenuta solo a novembre inoltrato, dopo un estenuante braccio di ferro tra lo stesso De Magistris e l’ex city manager Silvana Riccio.
Prefetto di ferro ed ex capo dell’Ufficio dell’Alto Commissario per il contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione, la Riccio - chiamata dal sindaco in persona nel 2011 - è stata cacciata proprio per aver espresso dubbi sulla stipula dei nuovi contratti. Non per cattiveria, ma per paura di un intervento (praticamente certo) della Corte dei conti: nel 2012 il Comune - dopo aver assunto ben 346 netturbini senza alcuna gara pubblica - aveva già sfondato il tetto di spesa previsto per il personale. Come certificato da una dettagliata relazione degli ispettori del ministero dell’Economia, che (come ha scoperto "Repubblica Napoli") ha bocciato senz’appello i conti della municipalizzata, mentre i magistrati contabili hanno già definito «illegali» le assunzioni all’Asia, l’azienda per la raccolta rifiuti.
EPURATI E DIMISSIONATI
La Riccio non è l’unica ad aver perso la poltrona. De Magistris ha fatto secchi quasi tutti i collaboratori più importanti, un tempo fiore all’occhiello della sua rivoluzione. Chiunque critica il capo, perde il posto: l’ex presidente dell’Asia Raphael Rossi è stato sostituito perché si oppose all’assunzione (giudicata «inutile») di 23 persone; Roberto Vecchioni rinunciò a presiedere il Forum delle Culture per una polemica legata al compenso, mentre nel 2012 sono stati "dimessi" o fatti "dimissionare" pezzi da novanta come l’assessore alla legalità Giuseppe Narducci e quello al Bilancio Riccardo Realfonso. Quest’ultimo fu assessore al Bilancio anche della Iervolino, l’uomo che dunque meglio conosceva i conti disastrati del Comune, tanto da aver spinto il sindaco a ufficializzare il dissesto. «Luigi? Vuole portare avanti una politica di consenso populista basata sulle passerelle mediatiche» disse in un’intervista al "Fatto" dopo la defenestrazione. «Bisognava riorganizzare la macchina comunale, fare tagli severi alle spese, le società partecipate sono da rivoltare come un calzino: il sindaco, disattento o ostile, non mi ha seguito».
Oggi De Magistris comanda praticamente da solo: gli unici che ascolta sono suo fratello Claudio, consulente (a titolo gratuito) di tutti gli eventi culturali organizzati in città; il capo di gabinetto Attilio Auricchio (ex carabiniere e vero uomo forte che dallo scorso giugno guida pure la polizia municipale: il vecchio comandante non è stato riconfermato) e il presidente della Camera di commercio Maurizio Maddaloni (diventato vicepresidente del San Carlo).
Finora la politica culturale dei fratelli De Magistris non sembra aver lasciato segni importanti. I soldi destinati al marketing territoriale sono stati spesi quasi tutti per l’organizzazione della Coppa America (che di certo va annoverata tra i successi dell’amministrazione). Poi il nulla, o poco più. Al Pacino, che De Magistris aveva invitato con un video diventato cult su YouTube, non s’è fatto mai vedere. Bruce Springsteen, a cui è stata concessa gratuitamente piazza Plebiscito per un concerto (a pagamento), dovrebbe arrivare a maggio. Di grandi mostre nemmeno l’ombra, il museo Pan è in crisi, il Madre (della Regione) idem, in periferia non è stato organizzato alcunché di rilevante, la scena teatrale è in affanno. A Capodanno nella mega-discoteca di via Caracciolo hanno ballato in 300 mila, ma il boom della tecno non cancella le preoccupazioni sul destino del Forum delle Culture. La manifestazione di cui si discute da anni dovrebbe iniziare tra poche settimane, eppure il sito Internet non esiste ancora, né un programma ufficiale è stato mai presentato al pubblico. Dalla fondazione omonima si sono dimessi a raffica consiglieri e presidenti, e ora - visto che Regione e Comune non trovano un accordo - c’è il rischio che del Festival si occupino i giudici del Tar.
GIGI E LE SUE FAVOLE
Lo spread tra promesse fatte e quelle davvero mantenute è una delle cause principali del calo di consensi del sindaco. Per il rilancio di Bagnoli e Napoli Est non è stata messa alcuna risorsa, le strade sono sfasciate come sempre, i decumani del Centro storico restano preda di bancarelle e vu cumprà. Anche nel quartiere simbolo di Scampìa nulla è cambiato: omicidi, bombe e sparatorie scandiscono da mesi la quotidianità degli abitanti, la sicurezza resta un miraggio quasi ovunque. «Sono stufo dei soliti cliché» ha ribattuto il sindaco, «bisogna parlare anche delle cose che funzionano». Una recente delibera del Comune promette l’arrivo sotto le Vele di vigili urbani, stazioni della metro e sedi universitarie, «ma la copertura finanziaria non c’è» commenta laconico Giovanni Zoppoli dell’associazione Mammut, che come altre realtà di volontariato dall’inizio della consiliatura aspetta di ricevere soldi promessi che non arrivano mai. «De Magistris, va detto, è più presente sul territorio di altri predecessori. Ma è una presenza solo simbolica, senza soldi la sua delibera è un libro dei sogni».
Se le tasse locali restano troppo alte e creano malcontento dal basso, la democrazia partecipativa che doveva realizzarsi nelle "assemblee del popolo" non è mai partita: non a caso è dato per certo che l’assessore ai Beni comuni Alberto Lucarelli e quello alle Politiche sociali Sergio D’Angelo saranno candidati al Parlamento. Dovesse accadere, le critiche si sprecheranno: sono in tanti a mugugnare sulle ambizioni nazionali del sindaco e il suo cerchio magico, impegnati sia sul fronte Napoli che nel partito capeggiato da Antonio Ingroia. «Troppi errori, troppe delusioni» ripetono gli scontenti. Che cominciano a sospettare che la favola della "liberazione" cantata da De Magistris sia stata solo un fortunato slogan propagandistico, e temono che la speranza di un nuovo Risorgimento rischi di cedere il passo - ancora una volta - allo sconforto, alla rassegnazione e alla rabbia.